Robert F. Kennedy Jr. – L’utile idiota della lobby israeliana

Opporsi a Israele ha un costo politico che pochi, compreso Robert F. Kennedy Jr. sono disposti a pagare. Ma, se ci si oppone, ci si distingue come persone che antepongono i principi alla convenienza.

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Chris Hedge
scheerpost.com

Il lungo incubo dell’oppressione dei palestinesi non è una questione banale. È un problema in bianco e nero di uno Stato coloniale che impone alla popolazione indigena della Palestina un’occupazione militare, una violenza orribile e l’apartheid, sostenuta da miliardi di dollari americani. È l’onnipotente contro l’impotente.

Israele usa le sue armi moderne contro una popolazione prigioniera che non ha esercito, né marina, né aviazione, né unità militari meccanizzate, né comando e controllo, né artiglieria pesante, mentre finge che i suoi massacri generalizzati siano guerre. I rozzi razzi lanciati contro Israele da Hamas e da altre organizzazioni della resistenza palestinese – un crimine di guerra perché prendono di mira i civili – non sono lontanamente paragonabili alle bombe Mark-84 da 2.000 libbre “bunker-buster” con un “raggio di uccisione” di oltre 32 metri e che “creano un’onda supersonica di pressione quando esplodono” che vengono sganciate da Israele su quartieri palestinesi affollati, alle migliaia di palestinesi uccisi e feriti e alla distruzione mirata delle infrastrutture di base, tra cui le reti elettriche e gli impianti di depurazione dell’acqua.

I palestinesi di Gaza vivono in una prigione a cielo aperto che è anche uno dei luoghi più densamente popolati del pianeta. A loro vengono negati i passaporti e i documenti di viaggio.

Nei territori occupati la malnutrizione è endemica. Secondo un rapporto della Banca Mondiale del 2022, “un’alta percentuale” della popolazione palestinese è “carente di vitamine A, D ed E, vitamine che svolgono un ruolo chiave per gli organi visivi, per la salute delle ossa e nella funzione immunitaria”. Il rapporto rileva inoltre che a Gaza oltre il 50% delle persone di età compresa tra i 6 e i 23 anni e più della metà delle donne incinte sono anemiche e “più di un quarto delle donne incinte e più di un quarto dei bambini di età compresa tra i 6 e i 23 mesi [in Cisgiordania] sono anemici”.

Dopo 15 anni di blocco israeliano, l’88% dei bambini di Gaza soffre di depressione, secondo un rapporto del 2022 di Save the Children, e oltre il 51% dei bambini ha ricevuto una diagnosi di PTSD [sindrome depressiva post traumatica] successivamente alla terza grande guerra su Gaza nel 2014. Solo il 4,3% dell’acqua di Gaza è considerato adatto al consumo umano. I palestinesi di Gaza sono stipati in tuguri insalubri e sovraffollati. Spesso mancano le cure mediche di base. Il tasso di disoccupazione, il 46,6%, è tra i più alti al mondo.

L’obiettivo del Sionismo, fin da prima della nascita di Israele, è stato quello di cacciare i palestinesi dalla loro terra e di ridurre quelli rimasti ad una lotta per la sussistenza di base, come nota lo storico israeliano Ilan Pappe:

Il 10 marzo 1948, un gruppo di undici uomini, leader sionisti veterani insieme a giovani ufficiali militari ebrei, avevano dato gli ultimi ritocchi ad un piano per la pulizia etnica della Palestina. La sera stessa erano stati inviati ordini militari alle unità sul campo per preparare l’espulsione sistematica dei palestinesi da vaste aree del Paese. Gli ordini erano accompagnati da una descrizione dettagliata dei metodi da utilizzare per l’espulsione forzata della popolazione: intimidazione su larga scala; assedio e bombardamento di villaggi e centri abitati; incendio di case, proprietà e beni; espulsione dei residenti; demolizione delle case e, infine, posizionamento di mine tra le macerie per impedire il ritorno degli abitanti espulsi. Ogni unità aveva ricevuto un proprio elenco di villaggi e quartieri da colpire in base al piano generale. Il nome in codice era Piano D (Dalet in ebraico)…

Una volta messo a punto il piano, c’erano voluti sei mesi per completare la missione. Al termine, più della metà della popolazione nativa della Palestina, oltre 750.000 persone, era stata sradicata, 531 villaggi erano stati distrutti e 11 quartieri urbani erano stati svuotati dei loro abitanti.

Questi fatti politici e storici, che, conoscendo l’arabo, avevo documentato per sette anni come reporter, quattro dei quali come capo ufficio per il Medio Oriente del New York Times, sono difficili da ignorare. Anche da lontano.

Avevo visto i soldati israeliani schernire in arabo dei ragazzi dagli altoparlanti della loro jeep blindata nel campo profughi di Khan Younis, a Gaza. I ragazzi, di circa 10 anni, avevano poi lanciato pietre contro il veicolo israeliano. I soldati avevano aperto il fuoco, uccidendone alcuni e ferendone altri. Nel lessico israeliano questo fatto si era trasformato in bambini coinvolti in un fuoco incrociato. Ero a Gaza quando i jet d’attacco F-16 avevano sganciato bombe a frammentazione da 1.000 libbre su quartieri densamente popolati. Avevo visto i cadaveri delle vittime, compresi quelli dei bambini, allineati in file ordinate. Questa strage era diventata un attacco chirurgico ad una fabbrica di bombe. Avevo visto Israele demolire case e condomini per creare zone cuscinetto tra i palestinesi e le truppe israeliane. Avevo intervistato famiglie indigenti accampate tra le macerie delle loro case. La distruzione era diventata la demolizione delle case dei terroristi. Avevo visitato i resti bombardati di scuole, cliniche mediche e moschee. Avevo sentito Israele affermare che razzi o colpi di mortaio sparati a casaccio dai palestinesi avevano causato queste e altre morti, o che i luoghi attaccati venivano usati come depositi di armi o siti di lancio. Io, come tutti gli altri reporter che conosco e che hanno lavorato a Gaza, non ho mai visto alcuna prova che Hamas usi i civili come “scudi umani”. Ironia della sorte, esistono prove dell’uso di scudi umani da parte dell’esercito israeliano, che l’Alta Corte di Israele ha ritenuto illegale nel 2005.

C’è una logica perversa nell’uso che Israele fa della Grande Bugia – Große Lüge. La Grande Bugia alimenta le due reazioni che Israele cerca di suscitare: il razzismo dei suoi sostenitori e il terrore delle sue vittime.

La sfida ad Israele, la cui palese interferenza nel nostro processo politico rende le più tiepide proteste contro la politica israeliana una pulsione politicamente suicida, esige un prezzo politico molto alto. I palestinesi sono poveri, dimenticati e soli. Ecco perché sfidare il trattamento riservato da Israele ai palestinesi è la questione centrale che deve affrontare qualsiasi politico che pretenda di parlare a nome dei vulnerabili e degli emarginati. Opporsi a Israele ha un costo politico che pochi, compreso Robert F. Kennedy Jr. sono disposti a pagare. Ma, se ci si oppone, ci si distingue come persone che antepongono i principi alla convenienza, che sono disposte a lottare per i miserabili della terra e, se necessario, a sacrificare il proprio futuro politico per mantenere la propria integrità. Kennedy non supera questa prova cruciale di coraggio politico e morale.

Kennedy, invece, rigurgita ogni menzogna, ogni tropo razzista, ogni distorsione della storia e ogni commento avvilente sull’arretratezza del popolo palestinese propinato dagli elementi più retrogradi e di estrema destra della società israeliana. Contribuisce a diffondere il mito di quello che Pappe chiama “Israele fantastico“. Questo, da solo, lo scredita come candidato progressista. Mette in dubbio il suo giudizio e la sua sincerità. Lo rende un altro mediocre rappresentante del Partito Democratico che balla al macabro ritmo del governo israeliano.

Kennedy ha giurato di battersi per “il caso morale di Israele”, che equivale a battersi per il caso morale del Sudafrica dell’apartheid. Ripete, quasi alla lettera, i punti chiave del libro di propaganda israeliano messo insieme dal sondaggista e stratega politico repubblicano Frank Luntz. Lo studio di 112 pagine, contrassegnato come “non destinato alla distribuzione o alla pubblicazione”, trapelato a Newsweek, era stato commissionato dall’Israel Project. Era stato scritto all’indomani dell’Operazione Piombo Fuso, nel dicembre 2008 e nel gennaio 2009, quando erano stati uccisi 1.387 palestinesi e nove israeliani.

Questo documento strategico è il progetto di come i politici e i lobbisti israeliani vendono Israele. Espone l’ampio divario tra ciò che i politici israeliani dicono e ciò che sanno essere la verità. È fatto su misura per dire al mondo esterno, soprattutto agli americani, ciò che vogliono sentirsi dire. Il rapporto è una lettura obbligatoria per chiunque cerchi di affrontare la macchina della propaganda israeliana.

Il documento, ad esempio, suggerisce di dire al mondo esterno che Israele “ha diritto a confini difendibili”, ma consiglia agli israeliani di rifiutarsi di definire quali dovrebbero essere questi confini. Consiglia ai politici israeliani di giustificare il rifiuto di Israele di permettere a 750.000 palestinesi e ai loro discendenti, espulsi dal loro Paese durante la guerra del 1948, di tornare a casa, sebbene il diritto al ritorno sia garantito dal diritto internazionale, facendo riferimento a questo diritto come ad una “richiesta”. Raccomanda inoltre di sostenere che i palestinesi cercherebbero di migrare in massa per impossessarsi delle terre all’interno di Israele. Suggerisce di menzionare le centinaia di migliaia di rifugiati ebrei provenienti da Iraq, Siria ed Egitto che erano fuggiti dall’antisemitismo e dalla violenza nel mondo arabo dopo la creazione dello Stato ebraico. Il documento raccomanda di dire che anche questi rifugiati “hanno lasciato proprietà dietro di loro”, in sostanza giustificando il pogrom israeliano con il pogrom che gli Stati arabi avevano compiuto dopo il 1948. Raccomanda di dare la colpa della povertà dei palestinesi alle “nazioni arabe” che non hanno fornito “una vita migliore ai palestinesi”.

L’aspetto più cinico del rapporto è la tattica di esprimere una finta compassione per i palestinesi, che vengono incolpati della loro stessa oppressione.

“Occorre mostrare empatia per entrambe le parti!”, si legge nel documento. “L’obiettivo della comunicazione filo-israeliana non è semplicemente quello di mettere a suo agio chi già ama Israele. L’obiettivo è conquistare nuovi cuori e nuove menti per Israele senza perdere il sostegno che Israele già ha”. Il documento afferma che questa tattica “disarmerà” il pubblico.

Dubito che Kennedy abbia letto o sentito parlare del rapporto Luntz. Ma gli sono stati trasmessi i contenuti e lui, ingenuamente, li ha ripetuti a pappagallo. Israele vuole solo la pace. Israele non pratica la tortura. Israele non è uno Stato di apartheid. Israele concede agli arabi israeliani diritti politici e civili che non hanno in altre parti del Medio Oriente. I palestinesi non vengono presi deliberatamente di mira dalle Forze di Difesa Israeliane (IDF). Israele rispetta le libertà civili e i diritti di genere e di matrimonio. Israele ha “il miglior sistema giudiziario del mondo”.

Kennedy fa altre affermazioni, come la sua bizzarra dichiarazione che l’Autorità Palestinese pagherebbe i palestinesi per uccidere gli ebrei in qualsiasi parte del mondo, oltre a falsificazioni della storia elementare del Medio Oriente, talmente assurde che le ignorerò. Ma, di seguito, elencherò alcuni esempi sostenuti da un mare di prove che fanno implodere i punti di vista ispirati da Luntz e che Kennedy ripete per conto della lobby israeliana, sordo alle evidenze che potrebbero sgretolare il suo egoistico attaccamento al “Fantastico Israele”.

Apartheid

Secondo il rapporto delle Nazioni Unite del 2017: “Le pratiche israeliane nei confronti del popolo palestinese e la questione dell’apartheid” Israele ha stabilito un regime di apartheid che domina il popolo palestinese nel suo complesso. Dal 1967, i palestinesi, come popolo, hanno vissuto in quelli che il rapporto definisce quattro “dominazioni”, in cui i frammenti della popolazione palestinese sono apparentemente trattati in modo diverso, ma condividono l’oppressione razziale che deriva dal regime di apartheid.

Queste dominazioni sono:

1. La legge civile, con restrizioni speciali, che ha competenza sui palestinesi che vivono come cittadini di Israele;

2. La legge sulla residenza permanente che riguarda i palestinesi che abitano nella città di Gerusalemme;

3. La legge militare che si occupa dei palestinesi, compresi quelli nei campi profughi, che vivono dal 1967 in condizioni di occupazione belligerante in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza;

4. La politica che preclude il ritorno dei palestinesi, rifugiati o esiliati, che vivono al di fuori del territorio sotto il controllo di Israele.

Il 19 luglio 2018, la Knesset israeliana aveva votato “per approvare la Legge fondamentale sullo Stato-nazione ebraico, che sanciva costituzionalmente la supremazia ebraica e l’identità dello Stato di Israele come Stato-nazione del popolo ebraico”, come ha spiegato il gruppo per le libertà civili Adalah, con sede ad Haifa. Si tratta della legge suprema in Israele “in grado di prevalere su qualsiasi legislazione ordinaria”.

Nel 2021 il gruppo israeliano per i diritti umani B’Tselem aveva pubblicato il rapporto “Un regime di supremazia ebraica dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo: Questo è apartheid“. Nel rapporto si leggeva:

In tutta l’area compresa tra il Mar Mediterraneo e il fiume Giordano, il regime israeliano attua leggi, pratiche e violenza di Stato volte a consolidare la supremazia di un gruppo – gli ebrei – su un altro – i palestinesi. Un metodo chiave per perseguire questo obiettivo è quello di progettare lo spazio in modo diverso per ciascun gruppo.

I cittadini ebrei vivono come se l’intera area fosse un unico spazio (esclusa la Striscia di Gaza). La Linea Verde non significa quasi nulla per loro: che vivano ad ovest di essa, all’interno del territorio sovrano di Israele, o ad est di essa, in insediamenti non formalmente annessi a Israele, è irrilevante per i loro diritti o il loro status.

Dove vivono i palestinesi, invece, è fondamentale. Il regime israeliano ha diviso l’area in diverse unità che definisce e governa in modo diverso, attribuendo ai palestinesi diritti diversi in ciascuna di esse. Questa divisione è rilevante solo per i palestinesi… Israele concede ai palestinesi un diverso pacchetto di diritti in ognuna di queste unità – tutti inferiori rispetto ai diritti concessi ai cittadini ebrei.

“Dal 1948”, si legge nel rapporto, “Israele ha preso oltre il 90% della terra all’interno del suo territorio sovrano e ha costruito centinaia di comunità ebraiche, ma nessuna per i palestinesi (con l’eccezione di diverse comunità costruite per concentrare la popolazione beduina, dopo averla espropriata della maggior parte dei suoi diritti di proprietà)”.

“Dal 1967, Israele ha attuato questa politica anche nei Territori Occupati, espropriando i palestinesi di oltre 2.000 km² di territorio con vari pretesti. In violazione del diritto internazionale, ha costruito oltre 280 insediamenti in Cisgiordania (compresa Gerusalemme Est) per più di 600.000 cittadini ebrei. Ha ideato un sistema di pianificazione separato per i palestinesi, designato principalmente per impedire la costruzione e lo sviluppo, e non ha istituito una sola nuova comunità palestinese”.

Colpire i civili

Contrariamente alle affermazioni di Kennedy, secondo cui “la politica dell’esercito israeliano è quella di attaccare sempre e solo obiettivi militari”, il fatto che l’esercito israeliano e altre branche dell’apparato di sicurezza colpiscano deliberatamente i civili e le infrastrutture civili è stato ampiamente documentato da organizzazioni israeliane e internazionali.

Il rapporto Goldstone del 2010, di oltre 500 pagine, aveva indagato sugli attacchi aerei e terrestri durati 22 giorni di Israele a Gaza, avvenuti dal 27 dicembre 2008 al 18 gennaio 2009. Il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite e il Parlamento europeo avevano approvato il rapporto.

L’attacco israeliano aveva causato la morte di 1.434 persone, tra cui 960 civili, secondo il Centro palestinese per i diritti umani. Più di 6.000 case erano state distrutte o danneggiate, con danni per 3 miliardi di dollari in una delle aree più povere del pianeta. Tre civili israeliani erano stati uccisi da razzi lanciati verso Israele durante l’assalto.

I risultati principali del rapporto erano che:

– Numerosi casi di attacchi letali israeliani contro civili e obiettivi civili sono stati intenzionali, anche il fatto che, allo scopo di diffondere il terrore, le forze israeliane hanno usato civili palestinesi come scudi umani, nonostante tali tattiche non avessero un obiettivo militare giustificabile.

– Le forze israeliane si sono impegnate nell’uccisione deliberata, nella tortura e in altri trattamenti inumani di civili e hanno deliberatamente causato una vasta distruzione di proprietà, al di fuori di qualsiasi necessità militare, effettuata in modo sconsiderato e illegale.

– Israele ha violato il suo dovere di rispettare il diritto della popolazione di Gaza ad un adeguato standard di vita, compreso l’accesso a cibo, acqua e alloggi adeguati.

Il 14 giugno di quest’anno, B’Tselem ha riferito che “alti funzionari israeliani” sono “penalmente responsabili per aver consapevolmente” ordinato attacchi aerei che “si prevedeva avrebbero danneggiato i civili, compresi i bambini, nella Striscia di Gaza”.

Contrariamente al mito diffuso da Kennedy, i rapporti e le inchieste, sia delle Nazioni Unite che dei gruppi per i diritti, nazionali e internazionali, quando indagano su presunti crimini di guerra riportano abitualmente anche le violazioni sospette o note dei militanti palestinesi. Come aveva osservato B’Tselem nello stesso rapporto del 2019, in totale, quattro israeliani erano stati uccisi e 123 feriti.

Il mese scorso, l’esperta delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967, l’avvocato e accademica italiana Francesca Albanese, ha presentato il suo rapporto al Consiglio dei diritti umani dell’ONU. Si tratta di una lettura molto cupa.

La privazione della libertà è stata un elemento centrale dell’occupazione israeliana fin dal suo inizio. Tra il 1967 e il 2006 Israele ha incarcerato oltre 800.000 palestinesi nei territori occupati. Sebbene abbia avuto un’impennata durante le rivolte palestinesi, l’incarcerazione è diventata una realtà quotidiana. Oltre 100.000 palestinesi erano stati detenuti durante la Prima Intifada (1987-1993), 70.000 durante la Seconda Intifada (2000-2006) e oltre 6.000 durante la “Intifada dell’Unità” (2021). Circa 7.000 palestinesi, tra cui 882 bambini, erano stati arrestati nel 2022. Attualmente, quasi 5.000 palestinesi, tra cui 155 bambini, sono detenuti da Israele, 1.014 dei quali senza accusa o processo.

Tortura

Secondo il Comitato pubblico contro la tortura in Israele, tra il 2001 e il 2019 erano state presentate circa 1.200 denunce per “presunte violenze durante gli interrogatori dello Shin Bet“.

“Non sono state formulate accuse”, riferisce il comitato. “Questa è l’ennesima dimostrazione della completa impunità sistemica di cui godono gli interrogatori dello Shin Bet”.

I metodi coercitivi includono molestie sessuali e umiliazioni, percosse, posizioni stressanti imposte per ore e interrogatori durati fino a 19 ore, nonché minacce di violenza contro i membri della famiglia.

“Hanno detto che avrebbero ucciso mia moglie e i miei figli. Hanno detto che avrebbero cancellato i permessi di mia madre e mia sorella per le cure mediche”, aveva raccontato un sopravvissuto nel 2016. “Non riuscivo a dormire perché anche quando ero in cella mi svegliavano ogni 15 minuti… Non riuscivo a distinguere il giorno dalla notte… Ancora oggi urlo nel sonno”, aveva detto un altro nel 2017.

Il relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura, Nils Melzer, aveva espresso “la sua massima preoccupazione” dopo una sentenza del dicembre 2017 della Corte Suprema di Israele che esentava gli agenti di sicurezza da indagini penali nonostante il loro indiscusso uso di “tecniche di pressione” coercitive contro un detenuto palestinese, Assad Abu Gosh. Aveva definito la sentenza una “licenza di torturare”.

Abu Gosh “sarebbe stato sottoposto a maltrattamenti, tra cui percosse, essere sbattuto contro i muri, avere il corpo e le dita piegate e legate in posizioni stressanti e dolorose e privazione del sonno, oltre a minacce, abusi verbali e umiliazioni. Gli esami medici confermano che Abu Gosh soffre di varie lesioni neurologiche dovute alle torture subite”.

Libertà civili

Dopo le elezioni del novembre 2022 in Israele è salita al potere una coalizione di estrema destra, teocratica, nazionalista e apertamente razzista. Itamar Ben-Gvir, del partito ultranazionalista Otzma Yehudit, “Potere ebraico”, è il ministro della Sicurezza nazionale. Otzma Yehudit è popolato da ex membri del partito Kach del rabbino Meir Kahane, a cui era stato vietato di candidarsi alla Knesset nel 1988 per aver sposato una “ideologia quasi-nazista” che includeva la richiesta di pulizia etnica di tutti i cittadini palestinesi di Israele e di tutti i palestinesi che vivono sotto l’occupazione militare israeliana. La sua nomina, insieme a quella di altri ideologi dell’estrema destra, tra cui Bezalel Smotrich, ministro delle Finanze, fa cadere nel dimenticatoio i vecchi tropi usati per difendere Israele: che è l’unica democrazia in Medio Oriente, che cerca un accordo pacifico con i palestinesi in una soluzione a due Stati, che l’estremismo e il razzismo non hanno posto nella società israeliana e che Israele deve imporre forme draconiane di controllo sui palestinesi per prevenire il terrorismo.

Secondo quanto riferito, il nuovo governo di coalizione sta preparando una proposta di legge che verrebbe utilizzata per impedire a quasi tutti i membri palestinesi/arabi della Knesset di sedere nel parlamento israeliano, oltre a vietare ai loro partiti di presentarsi alle elezioni. Le recenti “riforme” giudiziarie hanno sminuito l’indipendenza e la supervisione dei tribunali israeliani. Il governo vorrebbe chiudere Kan, la rete radiotelevisiva pubblica, anche se la proposta è stata modificata per correggerne i “difetti”. Smotrich, che si oppone ai diritti LGBTQ e si auto-definisce un “omofobo fascista“, ha dichiarato martedì che congelerà tutti i fondi destinati alle comunità palestinesi di Israele e a Gerusalemme Est.

Israele ha promulgato una serie di leggi per limitare le libertà pubbliche, bollare ogni forma di resistenza palestinese come terrorismo ed etichettare i sostenitori dei diritti dei palestinesi, anche se ebrei, come antisemiti. La modifica di una delle principali leggi israeliane sull’apartheid, la “legge sui comitati di villaggio” del 2010, concede ai quartieri con un massimo di 700 famiglie il diritto di rifiutare gli insediamenti [palestinesi] per “preservare il tessuto” della comunità. Israele ha oltre 65 leggi che vengono utilizzate per discriminare direttamente o indirettamente i cittadini palestinesi di Israele e quelli dei Territori occupati.

La legge israeliana sulla cittadinanza e l’ingresso in Israele impedisce ai cittadini palestinesi di Israele di sposare i palestinesi della Cisgiordania e di Gaza.

In Israele è vietato anche il matrimonio interreligioso.

Come spiega Jacob N. Simon, che è stato presidente della Jewish Legal Society presso il Michigan State University College of Law:

La combinazione dei requisiti legati alla linea di sangue per essere considerati ebrei dalla Corte Rabbinica Ortodossa e la restrizione dei matrimoni che richiedono cerimonie religiose mostra l’intento di mantenere la purezza della razza. In fondo, questo non è diverso dal desiderio di avere ariani di sangue puro nella Germania nazista o bianchi di sangue puro negli Stati Uniti del sud di Jim Crow.

Coloro che sostengono queste leggi discriminatorie e abbracciano l’apartheid israeliano sono accecati da ignoranza, razzismo o cinismo. Il loro obiettivo è disumanizzare i palestinesi, sostenere un intollerante sciovinismo ebraico e indurre gli ingenui e i creduloni a giustificare l’ingiustificabile. Kennedy, privo di una bussola morale e di un sistema di credenze radicato in fatti verificabili, non solo ha deluso i palestinesi, ha deluso anche noi.

Chris Hedge

Fonte: scheerpost.com
Link: https://scheerpost.com/2023/08/13/chris-hedges-robert-f-kennedy-jr-the-israel-lobbys-useful-idiot/
13.08.2023
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

Chris Hedges è un giornalista vincitore del Premio Pulitzer, è stato corrispondente estero per 15 anni per il New York Times, periodo in cui è stato capo ufficio per il Medio Oriente e capo ufficio per i Balcani. In precedenza aveva lavorato all’estero per il Dallas Morning News, il Christian Science Monitor e la NPR. È il conduttore del programma “The Chris Hedges Report.”

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