DI JACQUES SAPIR
russeurope.hypotheses.org
Oggi siamo posti di fronte ad una sfida assoluta: la Repubblica o la guerra civile. Ci è chiaro, a causa di questi tragici attentati del 13 novembre che fanno da eco a quelli dello scorso gennaio, che si profila la guerra di tutti contro tutti. Ci serve capire questa sfida, se vogliamo vincerla ed evitare peggiori scenari. A tal fine, però, ci serve misurare l’importanza e affermare il significato di queste parole che sono Sovranità, Legittimità, Legalità, Laicità. Ci viene imposto il nuovo imperativo categorico di comprendere e percepire il perché ed il come queste nozioni siano indissolubilmente legate. Ci serve anche comprendere come esse si articolino in una società che è storicamente eterogenea.
Sovranità ed eterogeneità
La sovranità definisce quella libertà di decidere che caratterizza le comunità politiche che sono i popoli attraverso il quadro della Nazione e dello Stato. Questa libertà, tuttavia, non è costruita a partire dall’individuo. Essa non può che costruirsi collettivamente. Questa svista della dimensione necessariamente sociale e collettiva della nostra libertà caratterizza d’altra parte il punto di vista “liberale” (nel senso che i francesi danno a questo termine). Li conduce in realtà all’anomia.
E’ necessario, allora, comprendere cosa costituisca un “popolo” e conviene anche comprendere che, quando parliamo di un “popolo”, non stiamo parlando d’una comunità etnica o religiosa, ma di una comunità politica d’individui riuniti che prendono il loro avvenire nelle loro stesse mani (1). Riferirsi a questa nozione di sovranità, volerla difendere e farla vivere, definirsi, dunque, quali “sovrani”, implica di comprendere che viviamo dentro delle società eterogenee e che l’unità si costruisce, soprattutto politicamente. Questa unità non è mai data né naturale (2). Bisogna comprendere che l’eterogeneità degli individui è un fatto ineliminabile. Essa risulta dalla storia della popolazione francese, ma anche dal funzionamento quotidiano e permanente dell’economia capitalista che produce in permanenza nuove forme di divisioni; essa risulta, infine, dal nostro rapporto con l’ambiente che ci circonda, dalle differenti risposte che forniamo alle diverse costrizioni di fronte alle quali siamo posti. Prima, dunque, c’è l’eterogeneità.
Questa eterogeneità, comunque, deve fondersi in una cultura politica comune che permetta a degli individui eterogenei e differenziati di formare delle visioni del futuro, ciò che in economia chiamiamo “previsioni”, e che esse siano convergenti. Senza queste previsioni, non possiamo passare dal “popolo in sé” al “popolo per sé”. É la sovranità della nazione che costituisce la condizione che rende possibile la formazione di una cultura politica comune. Ciò che rende la sovranità un bene fondamentale, che giustifica il fatto che ci si definisca sovrani, è che la nostra originaria eterogeneità deve dare origine, posteriormente, alla cultura politica senza la quale non si potrebbero intravvedere progetti comuni e senza la quale non si potrebbe avere la democrazia. Riferirsi, dunque, alla nozione di sovranità implica superare l’idea di un popolo naturalmente omogeneo, fondato su base etnica o da una comunità di credenti, e di pensare la questione della laicità.
Chi sono gli esecutori ?
Ritorniamo agli eventi, purtroppo tragici, di gennaio e di novembre 2015. Si è immediatamente detto che gli autori dei crimini di gennaio non erano altro che ragazzi perduti venuti dalla disperazione. Sia, ammettiamolo pure. Allo stesso tempo possiamo ammettere che questi ragazzi siano state vittime di discriminazione. Tuttavia, è opportuno ricordare che non tutti i ragazzi che soffrono, tutti i ragazzi perduti, imbracciano necessariamente le armi per uccidere i propri simili. L’esistenza della sofferenza sociale è difficilmente contestabile, anche se non si possono fare generalizzazioni. Tra gli autori di questi atroci atti, rinveniamo anche figli di commercianti, quelli che chiamiamo “la piccola borghesia”. Sofferenza sociale, forse, ma questa non giustifica né spiega il passaggio al terrorismo. All’opera c’è anche un’ideologia terroristica e il fatto che questa ideologia abbia una base religiosa sembra porre problemi a qualcuno. Di nuovo il discorso del “non facciamo un’amalgama” riempie alcuni media. Riconosciamo, tuttavia, che questo discorso viene fatto oggi meno frequentemente di quanto si fece a gennaio.
Cosa intendiamo affermare quando diciamo: “Non cadiamo nell’islamofobia”? Si tratta di affermare una cosa evidente, che non tutti i musulmani sono terroristi. Ciò è sicuramente buono e sano da ripetere, ma non fa andare avanti il dibattito, perché non pone il problema dell’interpretazione letterale dei testi religiosi. Bisognerebbe dire, cosa che si fa raramente, purtroppo, che le popolazioni di religione musulmana sono troppo spesso le prime vittime de l’islamismo politico, cosa anch’essa evidente. Bisogna dire questa verità a voce alta e forte. Si tratta, infine, di dire che l’ascesa dell’islamismo politico è il frutto della distruzione del nazionalismo arabo ad opera delle potenze occidentali, il frutto di un processo storico che è iniziato con il colpo di stato di Mossadeq in Iran negli anni ’50 e che si è ripetuto in molteplici paesi ed occasioni. Ciò costituisce una verità che è stata largamente dimenticata (3).
L’islamismo politico è anche il prodotto delle alleanze tessute nel Medio Oriente dalle potenze occidentali con dei regimi reazionari, veicoli e produttori di valori profondamente regressivi, come se fossero beni d’esportazione come il petrolio e il gas naturale. Infatti, chi finanzia la creazione in Francia di moschee e l’arrivo degli imam che sono i vettori di un discorso profondamente anti-repubblicano?
Queste tre affermazioni costituiscono tre elementi essenziali di un discorso che si basa sulla differenziazione tra gli individui, da un lato, e le loro credenze ed ideologie, dall’altro. Questo discorso contiene delle verità che è a tutt’oggi essenziale dire nei paesi occidentali, ma che in pochi dicono, in primo luogo coloro che pretendono di lottare contro l’islamofobia.
Il rinnegamento della Repubblica
Il discorso, comunque, può anche avere un altro significato, ben più contestabile. Con l’intento di combattere una sedicente “islamofobia”, si può preparare il terreno per una messa fuori discussione dell’Islam e delle altre religioni. È un errore grave, dalle conseguenze potenzialmente tragiche. Questo errore segna una capitolazione intellettuale in relazione ai principi fondamentali della Repubblica. È opportuno, quindi, affermare che tutta la religione del mondo fornisce delle idee e delle rappresentazioni e che, a cagione di ciò, tutta la religione è criticabile. Tutte le religioni debbono poter essere sottomesse al vaglio della critica e all’interpretazione, non solo ad opera dei credenti.
Dire che solo gli ebrei abbiano il diritto di criticare la Torah, i cristiani il Nuovo Testamento, i musulmani il Corano, e dire di applicare questo principio per tutte le religioni, sarebbe negare il diritto della critica e della sua universalità. Il diritto del parlare bene o male del Corano come della Bibbia, della Torah come dei vangeli, è un diritto inalienabile di tutti senza il quale non ci sarebbe più alcun libero dibattito. Un credente deve accettare di vedere la sua fede sottomessa alla critica, se vuole vivere nel seno di un popolo libero e se vuole anche che questo popolo lo accetti nel suo seno. Questo scambio implica che ci si debba sottomettere alle leggi liberamente discusse da tutti e che non si cerchi di imporre la propria. È uno dei principi della costituzione della comunità politica che chiamiamo popolo.
Da questo punto di vista, le interpretazioni letterali dei testi religiosi, la pretesa a volerne dare un’applicazione in quanto “legge divina” al di sopra delle leggi umane, tutto ciò che caratterizza il fanatismo, è inconciliabile con la partecipazione a questa comunità politica. La confusione tragica nella quale si riduce una gran parte dell’elite politica francese è tutta qui. Essa è piena di conseguenze. Gli attacchi contro i musulmani (come quelli contro gli ebrei, i cristiani, i buddisti, etc…) sono inqualificabili e insopportabili. Ma, bisogna ripeterlo senza tregua, abbiamo il diritto di criticare, ridere, prendere in giro e anche di detestare qualunque religione.
Al contrario, è scandaloso e criminale pretendere di ridurre un essere umano solo alla sua dimensione religiosa. Ciò deve essere giustamente represso dalle leggi ed è contro questo principio che si applicano i fanatici. È proprio questo, bisogna comprenderlo, a separarci radicalmente dal loro modo di pensare.
Perché, a partire dalla Rivoluzione francese, noi consideriamo che la Repubblica non debba distinguere che per il merito e non per il sesso o per un’appartenenza comunitaria. È, allora, triste vedere una parte della sinistra seguire i fondamentalismi religiosi nella riduzione di un uomo alle sue credenze e sposare il cammino che conduce al comunitarismo. Rinnegando i propri principi, questa sinistra rinnega sé stessa. Perde qualunque diritto a conservare la qualifica di sinistra. Non va, infine, taciuto che questo rinnegamento ha per origine un rinnegamento ancora più antico: quello della sovranità.
La Res Publica
E’ opportuno, dunque, comprendere a fondo la posta in gioco del dramma che si sta giocando sotto i nostri occhi. La Res Publica, questo principio del bene comune che è alla base della Repubblica e che deriva dalla sovranità, implica la distinzione tra spazio privato e spazio pubblico. Lo spazio pubblico si definisce mediante processi d’esclusione e di inclusione. Il processo d’esclusione si attua mediante la creazione delle frontiere. Non si potrebbe tollerare che si facciano entrare in uno spazio pubblico dei nuovi membri, giusto per sovvertire le decisioni. Si capisce bene che ammettere un simile principio sarebbe la morte della democrazia.
La contropartita, però, è che non sono necessarie nuove esclusioni tra i membri della comunità politica. Ne consegue che i cittadini non debbono essere distinti per appartenenza religiosa o per razza o per chissà quale altro criterio ritenuto naturale. I cittadini non esistono che per la loro comune appartenenza ad un corpo politico territoriale: la Nazione.
Scopriamo, così, che il principio di laicità deriva da quello di sovranità. La laicità non è un elemento aggiunto alla Repubblica: ne è in realtà il cemento (4). Non è anodino che uno dei più grandi pensatori della sovranità, Jean Bodin, che visse durante il XVI secolo nel bel mezzo dell’orrore delle guerre di religione, ebbe scritto a suo tempo un trattato sulla sovranità (5) e uno sulla laicità (6).
Perché, una volta stabilito che la “cosa pubblica” o “Res Publica” è il fondamento reale della sovranità, come ci invita a pensare Jean Bodin, ci serve definire il “popolo” che eserciterà questa sovranità , sia direttamente che tramite forme di delegazione. Questo spiega perché la questione della sovranità è così centrale: perché implica la definizione della comunità politica che l’esercita.
JACQUES SAPIR
Fonte: http://russeurope.hypotheses.org
Link: http://russeurope.hypotheses.org/4478
18.11.2015
Traduzione a cura di Nicola Palilla per il sito www.comedonchisciotte.org
NOTE
[1] On avoue ici une influence de Lukacs G., Histoire et conscience de classe. Essais de dialectique marxiste. Paris, Les Éditions de Minuit, 1960, 383 pages. Collection « Arguments »
[2] Cette question est largement traitée dans le livre écrit pour le Haut Collège d’Economie de Moscou, Sapir J., K Ekonomitcheskoj teorii neodnorodnyh sistem – opyt issledovanija decentralizovannoj ekonomiki (Théorie économique des systèmes hétérogènes – Essai sur l’étude des économies décentralisées) – traduction de E.V. Vinogradova et A.A. Katchanov, Presses du Haut Collège d’Économie, Moscou, 2001. Une partie de l’argumentation est reprise sous une forme différente dans Sapir J., Les trous noirs de la science économique – Essai sur l’impossibilité de penser le temps et l’argent, Albin Michel, Paris, 2000.
[3] Voir Sapir J., « Le tragique et l’obscène », note publiée sur le carnet RussEurope le 25 septembre 2014,http://russeurope.hypotheses.org/2841
[4] Poulat E. Notre Laïcité, ou les religions dans l’espace public, Bruxelles, Desclées de Bouwer, 2014.
[5] Bodin J., Les Six Livres de la République, (1575), Librairie générale française, Paris, Le livre de poche, LP17, n° 4619. Classiques de la philosophie, 1993.
[6] Bodin J., Colloque entre sept sçavants qui sont de différents sentiments des secrets cachés des choses relevées, traduction anonyme du Colloquium Heptaplomeres de Jean Bodin, texte présenté et établi par François Berriot, avec la collaboration de K. Davies, J. Larmat et J. Roger, Genève, Droz, 1984, LXVIII-591, désormais Heptaplomeres.
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