Quando mostri la realtà dell’Africa, l’imbecille guarda il dito. Sul grilletto

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DI CARLO BERTANI

carlobertani.blogspot.com

 

“La pacchia è finita.”

“I porti italiani rimarranno chiusi.”

“Non parteciperemo più al business dei migranti.”

“I migranti ci rubano il lavoro.”

“Aiutiamoli a casa loro.”

 

La pacchia è finita

Che in Africa ci fosse quella gran “pacchia”, nessuno degli africani se n’era accorto. Anche raccogliere pomodori per 5-20 euro/giorno (dipende dalla magnanimità del padrone) non è certo il paese del Bengodi, e dei 36 euro stanziati dal governo italiano per migrante/giorno, in tasca loro non ne arriva nessuno, o ben pochi. Difatti, c’era la fila delle ONG e dei gestori dei centri d’accoglienza, che non aspettano altro che d’avere una concessione. Schiavisti di Stato, ecco cosa sono e, da quando mondo è mondo, gli schiavisti hanno sempre lavorato per il loro tornaconto personale.

Perciò, inviare nell’etere queste roboanti dichiarazioni è pura disinformazione, che ho sempre combattuto da qualsiasi parte giungesse.

I porti italiani rimarranno chiusi

Qui ci sono due argomenti in uno: la chiusura dei porti come atto giuridico e la destinazione dei migranti come soluzione pratica del problema.

La chiusura dei porti selettiva (ossia per bandiere di nazionalità) è, giuridicamente, quasi un atto di guerra. In altre parole: richiede prima un dialogo diplomatico, o meglio, sta a significare un dialogo diplomatico che s’è arenato. O che non c’è mai stato. In tempi passati, o la cosa si risolveva diplomaticamente, oppure il più forte li riapriva a suon di cannoniere.

Siccome il mare è un elemento molto pericoloso – e ve lo dice uno che lo conosce – quando si hanno delle persone a circa 20 miglia dalla costa – e dunque in mare aperto – se le imbarcazioni sono in condizioni di creare pericolo per la vita, il soccorso in mare è obbligatorio. Se non avviene, è codificato come omissione di soccorso e il comandante, allo sbarco, viene chiamato a risponderne.

Non voglio fare la figura dell’ingenuo: so benissimo che queste persone si mettono in mare per essere “salvate”: perciò, il problema è la loro destinazione definitiva, non dove sbarcano. A tal riguardo – forse comprendendo che l’Europa si sta giocando parecchio su questa vicenda, e non volendo essere ricordata nella Storia come la “liquidatrice” dell’UE – Angela Merkel ha mangiato la foglia, ingoiando anche il picciolo: “E’ un problema europeo”, non facile da digerire anche per Angelona, che ha vicini abbastanza riottosi in materia (Austria ed Ungheria, tanto per cominciare) ed oppositori interni che basano il loro futuro politico proprio sul perdurare del problema: tanti migranti, tanti voti in più per i partiti che cavalcano il problema, senza riflettere che – dopo – dovranno risolverlo.

Non parteciperemo più al business dei migranti

Questa è un’affermazione che mi sento di sposare in toto e senza riserve, perché la tratta dei migranti (o schiavi) perdura da circa mezzo millennio e, in un mondo così “compenetrato” come oggi avviene (reti telematiche, trasporti veloci, ecc), rischia veramente d’essere il detonatore che fa scoppiare la bomba sottostante, che ha sempre il solito nome: sperequazione nella ripartizione della ricchezza planetaria.

L’Europa è un continente di circa mezzo milione d’abitanti, che nel volgere di un paio di generazioni si ridurrà alla metà dei suoi abitanti, causa il deteriorarsi delle condizioni di vita (lavoro, sicurezza, speranza, infelicità, giustizia, ambiente, violenza, malgoverno, pessima alimentazione, ecc, ecc, ecc) è giunta al punto che la fertilità del maschio europeo si è abbassata notevolmente. Ricerche mediche raccontano proprio questo: meno spermatozoi attivi e validi. La donna europea ha un tasso di natalità di poco superiore ad 1.

L’Africa, intorno al 1960, aveva 250 milioni d’abitanti. Oggi, ne conta circa 2,2 miliardi. Il tasso di natalità delle donne africane è pari a 4,4. Tre volte quello europeo.

Non vorrei che qualcuno prendesse per partigianeria quanto scrivo: sto soltanto esponendo dei dati, numeri che tutti potrete trovare sul Web e che sono di pubblico dominio ed universalmente riconosciuti.

Abbiamo un problema? Direi di sì.

Un identico problema esiste fra Israele e la cosiddetta “striscia di Gaza”, laddove le donne israeliane superano a fatica (con enormi aiuti di Stato) i 2 figli per donna (popolazione costante), mentre dall’altra parte la natalità supera i 4 figli per donna. Come risolvono il problema gli israeliani? Bombardandoli, massacrandoli, imprigionandoli, deportandoli.

Il problema dei cosiddetti “più forti” è soltanto per quanto tempo riusciranno a risultare tali: i Latini ci riuscirono fino al 476 d. C. , ma già dal 300 le cose si erano messe male. Durò ancora più di un secolo prima che un Goto disarcionasse dal trono un fanciullo Romano e spandesse le sue larghe chiappe sul trono dei Cesari.

Le pressioni migratorie non hanno soluzioni (pensiamo quanto protesse la Cina dai Mongoli la Grande Muraglia) e le uniche alternative possibili sono due: opporsi oppure trattare. Finché si può farlo.

In fin dei conti, la fine della tratta negriera che dura da 5 secoli non farà che portare all’esplosione violenta il continente africano: anche perché qualcuno – scelleratamente – ha pensato bene d’aprire il vaso di Pandora e spezzarlo a terra in cocci, ossia la distruzione dell’Africa Settentrionale come entità statuali abbastanza solide.

Tirando le somme, potremmo affermare che è giusto “eticamente” mettere fine alla tratta, ma capirne anche le inevitabili conseguenze.

I migranti ci rubano il lavoro

Se qualcuno ritiene valida questa affermazione, mi scriva. Non conosco più tanta gente in giro per lo Stivale, ma una raccomandazione per andare a raccogliere arance, pomodori, olive, uva od altri prodotti agricoli mi sento di poterla promettere senza temere d’essere smentito. Ovviamente, dai 5 ai 20 euro/giorno, per 10-12 ore di lavoro, sotto la torrida canicola od al gelo invernale.

L’ultima notizia, tanto per informare, me l’ha data un amico di Acqui Terme e riguarda la potatura dei vigneti, che si esegue in Inverno. Un agricoltore è stato “impalato” – ossia legato ad un palo e lasciato lì – poiché aveva disatteso la parola data a dei migranti: al termine del lavoro, dai sette euro/giorno era sceso a 5, unilateralmente. Per fortuna, quegli slavi non osarono mettere in pratica l’impalamento rituale, così come lo descrive Ivo Andric ne “Il ponte sulla Drina”.

Ci ho provato io stesso con mio figlio: perché non metti a coltura i terreni della famiglia? Con tutto l’aiuto possibile da parte della famiglia stessa, in termini d’investimenti e – per qual che si può a questa età – di aiuto materiale. Oggi lavora con un’azienda informatica e si è scordato di quella proposta.

Le canne crescono, lungo le strade, rigogliose come non mai. Negli stessi, identici posti, 40 anni fa dovevi quasi litigare per tagliarne un fascio per legarci i pomodori, per metterle ai fagioli…insomma, per tutte le esigenze dell’orto. Oggi, le giovani generazioni italiane osservano le zappe lasciate nella rimessa da padri e nonni, e non hanno la minima curiosità nei loro confronti.

Perciò, non stiamo a raccontare queste frottole: se qualcuno vuole andare ad accudire animali oppure sgobbare in un cantiere edile, il posto lo trova. Ma non si può rispondere al cellulare e messaggiare ogni 5 minuti, no, non si può proprio.

Aiutiamoli a casa loro

Quando sento questa bella litania, mi saltano nella mente antiche e linde parrocchie con preti sorridenti da pubblicità dell’8 per mille, oppure eleganti librerie con ben in vista i libri di Marx che circondano divani soft e luci soffuse, o ancora collezioni di fotografie coloniali che spiegano quanto “bene” hanno fatto gli italiani all’Africa. A quel punto, non so se per noia o per disperazione, mi monta veramente il sangue alla testa.

Ma chi spapera in giro queste fregnacce, sa cos’è l’Africa?

L’Africa, dal punto di vista agricolo, è soltanto secondo all’Antartide per sfiga campestre. Tolti gli enormi deserti, rimangono soltanto le valli del Nilo, del Niger e del Congo, più qualche arido altipiano (come quello dove vivono i Masai e le loro magre vacche) e qualche sterpaglia che onoriamo del nome di “savana”.

Quando giunsero gli europei per “destinare” loro terre migliori in altri continenti – il ben noto “Triangolo degli schiavi”, durato circa 4 secoli nella sua forma arcaica – erano giunti pressappoco al termine del loro Neolitico ed iniziavano, probabilmente, una fase pre-imperiale, intendendo qualcosa di simile agli Assiri od ai Sumeri.

Testimonianze di questo genere sorgono in Ciad, in Niger e in altri Paesi della parte Nord dell’Africa sub-sahariana. Ma arrivarono gli assatanati portoghesi, poi spagnoli, olandesi, inglesi, francesi, italiani…

Perché i nostri avi andarono in Africa?

Dapprima per semplice rapina: oro, sempre lui. Poi schiavi per il nuovo business del cotone, infine scoprirono le miniere, e fu la fine dell’Africa.

Il più forte mangia il più debole? Vero. Però, gli statunitensi hanno completato il “lavoro”: privati i Nativi del loro habitat, sono stati confinati nei vari lager tipo Pine Ridge, dove alcol e droghe completano il lavoro del glorioso Winchester 32. Indi, per acquietare la loro coscienza, hanno persino creato l’Università dei Nativi (che si trova in Minnesota) e girato il film Balla coi lupi. Adesso siamo tutti a posto: crepate in pace, amen.

In questo, dobbiamo riconoscere che anche gli israeliani si stanno difendendo bene con le loro fortificazioni impenetrabili dalle quali, in ben protetti bunker sotterranei, le bionde soldatesse di Tzahal puntano il joystick e premono: alè, un altro palestinese ammazzato. Era di qua del confine (tracciato da chi?)…o forse un po’ più in là…ma che importa…tanto, nella Bibbia è scritto che Cam sarà solo il servitore di Sem e di Japhet…

Nelle versioni più “soft” e senza indicare la nazionalità, lo stesso software lo venderanno come videogioco: ne ho visti mille che gli assomigliano.

L’ultimo anello di questa infamia senza fine ci porta al mondo dei trapianti, al loro commercio, ai tanti minori che scompaiono. Non ci credete? Mettete in ricerca i termini “migranti” e “trapianti”, poi cliccate, se avete stomaco e coraggio, quello d’osservare cadaverini di bambini (i più richiesti, ancora non infettati dall’AIDS e dalle epatiti) squartati e legati come salami dopo il prelievo.

Ma veniamo ai rimedi, ossia “come” aiutarli a casa loro.

I missionari comboniani provarono a “saltare” alcuni millenni di Storia e fecero arrivare trattori e motozappe. Per un po’ funzionò, però quando cominciarono a rompersi non si trovò nessuno che li sapesse riparare: fine dell’antropologia “creativa”.

Provarono ad insegnare loro ad addomesticare i bufali, ma la biologia può essere sperimentale solo in laboratorio: impossibilitati ad usare buoi a cavalli (clima) o zebre (debolezza del piede, già tentato dagli europei). Forse, oggi, qualcuno corre ancora dietro a dei riottosi bufali, con scarsi risultati.

I più hanno scelto un animale più docile da ammansire, che viene dalla lontana Russia: si chiama Kalashnikov, e basta spostare una levetta perché partano colpo singolo, tre colpi oppure la raffica. Facile da usare, robustissimo, è ciò che fa per l’Africa. E per i soliti padroni.

Perché, gli africani, e per cosa combattono fra di loro? Per le banane, i manghi, le antilopi?

No, svolgono in conto terzi la guerra delle miniere.

Perché – e forse questa storia non la conoscerete – dopo lunghe trattative sul commercio internazionale dei metalli/minerali non ferrosi – ossia, Oro, Argento, Platino, Wolframio, Tantalio, Rame, Selenio, Vanadio, Uranio, petrolio, gas naturale, Piombo, Stagno, Mercurio, Nichel, Litio (sali), Cadmio, Cromo e cromite, Manganese, ecc,ecc – si giunse ad una regolamentazione, ossia al concetto di “tracciabilità” dei minerali commerciati.

Le ragioni?

Per obbligare le aziende a pagare prezzi di mercato (di per sé già bassi: pensiamo al prezzo del Rame (1), che negli ultimi 100 anni ha subito una diminuzione reale del 50%) e per tassare alla fonte queste importazioni. Un trattato rispettato dagli USA, da parecchi Paesi africani ma non da…l’UE!

L’UE preferisce che la dichiarazione di tracciabilità sia “facoltativa”, insomma…come vuoi, quanto vuoi, come ti fa comodo…

Ovvio che, se si compra in “nero”, i conti si regolano come qualsiasi mercato illegale, ossia a colpi di mitra. Avete capito chi finanzia le varie milizie africane?

Ma un medico africano (2), il dott. Mukwege, decide di porre fine a questo disgusto e sale in Europa, viene accolto a Strasburgo e parla di fronte al Parlamento Europeo (che gli consegna il premio Sakarov per l’informazione). Le reazioni dei parlamentari – di fronte allo stillicidio di prove (il medico è un ginecologo, e parla soprattutto di violenza sulle donne da parte delle varie milizie) – è drammatica: qualcuno, addirittura, piange.

Poi, però, vota. Sarà stato un miracolo, ma il titubante Parlamento Comunitario trova la forza del leone e vota una legge che obbliga – tout court – le aziende europee alla tracciabilità dei loro acquisti internazionali. Sembra fatta. E invece.

Il commissario delegato al problema sospende la seduta ed invoca “tempo” per “mediare” all’interno della Commissione – non eletta da nessuno, terra felix per le varie lobbies – e, d’incanto, il Partito Popolare si ricompatta: si decide (il voto cambia) che la questione sarà appannaggio di una “trattativa” fra il pronunciamento del Parlamento e la Commissione. Ossia, si discuterà ancora…qualcuno di voi immagina come andrà a finire?

Era un buon passo per iniziare a riconoscere agli africani, almeno, la “proprietà” di quelle risorse minerarie – un modo per “aiutarli a casa loro” – ma non è stato fatto. Il secondo, inevitabile, riguarda la democrazia in quei Paesi: guarda a caso è stata “messa in atto” per sovvertire l’Africa del Nord, ma a nessuno salta in testa d’andare a mettere a posto le cose nell’Africa sub-sahariana, dove i vari “capataz” regnano indisturbati, protetti dalle milizie pagate, pagate…da chi?

Un aneddoto, abbastanza noto in Africa, recita che ad un nuovo “presidente” venga portata una valigia piena di dollari. A lato, una pistola: scelga.

Ultima domanda, che mi pongo e vi pongo, è: cosa ci fanno 800 militari italiani in Niger? La missione, approvata nella scorsa legislatura, ebbe i voti della Lega ma non quelli del M5S. E, partita in sordina con minimi finanziamenti, a conti fatti ci costerà più di un miliardo l’anno. Cosa fanno laggiù?

Una speranza, però, c’è. Una soluzione può arrivare.

Nel Sudafrica dell’apartheid (alleato storico di Israele) Mandela prospettò cosa sarebbe successo dopo pochi decenni: milioni di bantu contro migliaia di bianchi. Fu grande saggezza compiere quelle scelte, anche se molti non furono d’accordo. La soluzione opposta? Un bagno di sangue, e le risorse auree del Sudafrica completamente in mano ai neri. Oggi, De Beer è quasi monopolista dei diamanti in quelle terre, ma le transazioni sono tutte tracciate, diversamente da come avviene in Congo. E i sudafricani, pur vivendo ancora in condizioni di lavoro pessime, non emigrano.

Le strade facili terminano, alla fine, per sfociare in demagogia e in disinformazione: si prendono voti, si guadagnano consensi, ma è come puntare sulla sopravvivenza dell’Impero Romano ai tempi di Costantino.

Léopold Sédar Shengor – presidente del Senegal e poeta – già disse in anni lontani che “il futuro dell’Africa riposa nel ventre delle donne africane, non negli occhi dell’uomo bianco, quegli occhi da dio, azzurri come il cielo”.

Meditate, gente, meditate.

 

Carlo Bertani

Fonte: http://carlobertani.blogspot.com

Link: http://carlobertani.blogspot.com/2018/06/quando-mostri-la-realta-dellafrica.html

20.06.2018

 

 

(1) http://www.metallirari.com/storia-del-rame-prezzi-e-tendenze-secolari/

(2) https://www.lettera43.it/it/articoli/politica/2015/05/20/guerra-dei-minerali-in-africa-lue-sfida-le-lobby/148611/

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