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La Redazione

 

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Petty politics

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A cura di Tonguessy
Il 30 Maggio 2019
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DI TONGUESSY

comedonchisciotte.org

D’accordo: le pratiche democratiche, intese come politiche del conflitto fatte scorrere entro alvei più o meno determinati, sono ormai pezzi di modernariato legati a concetti quali le classi e le relative identità. Roba buona per i mercatini di Natale, o giù di lì. Gli eserciti di allora, addestrati attraverso una catena di comando ben organizzata, si affrontavano a viso aperto mostrando con orgoglio i propri vessilli frutto di anni di elaborazioni e strategie.

Il neoliberismo dopo avere condotto battaglie senza esclusione di colpi allo scopo di azzerare propri nemici storici, oggi si vanta di possedere quello stesso armamentario ideologico che ha combattuto con ogni mezzo. Si è passati così dal thatcheriano “la società non esiste, esistono gli individui” che fa piazza pulita di concetti come classi e relative lotte rimettendo tutte una serie di questioni (non ultima quella teleologica) nelle mani del singolo, a “la lotta di classe esiste e l’abbiamo vinta noi” di W. Buffett. Nella postmodernità, come ho già più volte scritto, si vive senza quei fari che hanno illuminato per secoli il percorso degli umani, ed ogni concetto deve convivere forzatamente con il proprio contrario in un clima di post-verità che concede, o forse impone, alle antinomie un clima di esaltazione reciproca.

L’individuo investito di questo potere illimitato e senza più i confini dei rigidi canoni ideologici si ritrova così padrone assoluto di tutti gli spazi che la postmodernità ha progressivamente svuotato durante il processo di annichilimento della modernità, prova sconfortante di quanto possa andare male l’utopia anarchica quando si preclude una certa educazione alla res publica, sempre più additata come causa di tutti i mali. Il privato ed il suo solipsismo da border line, al contrario, godono dell’indiscussa fiducia del dio Mercato, in linea con l’etica protestante che ha ormai invaso e colonizzato ogni aspetto del sociale.

Così mentre una volta gli appassionati frequentavano i cineforum e gli immancabili dibattiti dove si discuteva sui valori, oggi, in osservanza del motto thatcheriano, ci si iscrive a Netfilx, luogo virtuale che si materializza nei salotti di casa. Non segue alcun dibattito moderato dall’esperto di turno, ed ognuno è libero di fissare la post-verità che maggiormente si adatta ai flussi di pensiero anche contorti della propria consapevolezza. Questa e altre modalità postdemocratiche si concretizzano in assunti che avrebbero fatto impallidire l’Uomo Qualunque: i politici sono tutti uguali, lo Stato è una minaccia, c’è sempre qualcuno che ti vuole fregare, io sono meglio degli altri, e via elencando pensieri disgreganti di affermazione individuale e disfacimento sociale.

Mentre la modernità, dal Rinascimento in poi, era stata in grado di dimostrare una granitica capacità di creare nuovi stimoli e relazioni con tutte le conseguenze che ne derivavano (la Natura come mezzo e non fine), con la postmodernità si assiste solo ad una distruzione. Il nome stesso non identifica alcuna creazione, quanto un sistema di post-valori che pretendono di sostituirsi a quelli precedenti senza avere l’autorità di poterlo fare. La postmodernità è e rimane, in buona sostanza, un atto violento di svuotamento e negazione che riporta l’uomo ad una situazione temporalmente distante, in un passato da cui ci si credeva ormai affrancati. Tempi in cui le aggregazioni in classi sociali avevano prodotto scontri e incontri tra identità forgiate al fuoco delle ideologie. Fatte crollare queste ultime, tanto le classi che le identità sono sparite sotto al cumulo delle macerie di questa demolizione controllata.

In questo clima si sviluppano nuove forme di interazione sociale e nuove politiche. I vecchi mastodonti politici di una volta sono ormai oggetti museali che appassionano pochi studiosi. Il nuovo, abbandonate le vetuste certezze ideologiche, si muove lungo il crinale del né-né. Non da ieri le forze politiche, fatto proprio il diktat neoliberista del crollo delle ideologie (Huntington, Fukuyama), ne seguono le indicazioni di percorso. E’ un gioco a due (it takes two to tango!) dove da una parte i politici fanno di tutto per screditarsi e dall’altra i think tank immettono dosi massicce di propaganda antistatalista nei confronti di masse che reagiscono agitandosi non contro le verità teleguidate ma contro il condannato in contumacia.

Tutto deve essere privatizzato, Stato è brutto mentre privato è bello. Il servizio pubblico è sinonimo di inefficienza, quindi va trasformato in fornitura commerciale. A questo punto neanche la politica serve più, legata com’è mani e piedi alla gestione di uno Stato che rappresenta solo l’useful idiot messo a copertura degli interessi del privato. Non a caso un imprenditore di successo su cui molto è già stato detto ha governato l’Italia per quasi un ventennio. Del relativo conflitto di interessi ne stiamo ancora discutendo senza essere mai arrivati ad una qualche soluzione.

Colin Crouch ci informa che siamo in postdemocrazia, fenomeno politico di cui da la seguente definizione: “la democrazia sfida i privilegi di classe in nome delle classi subordinate; la postdemocrazia nega l’esistenza di entrambi, privilegi e subordinazione” [1] e prosegue spiegando che “la globalizzazione degli interessi economici e la frammentazione della restante popolazione producono questo fenomeno, spostando l’asse politico da coloro che cercano di limitare le disuguaglianze di ricchezza e potere a favore di coloro che desiderano riportarle ai livelli predemocratici”. [2]

E’ quindi perfettamente consona alle aspettative della postdemocrazia la versione 2.0 chiamata democrazia diretta e realizzata attraverso la piattaforma Rousseau dato che, secondo il Garante per la privacy, lascia “i risultati delle votazioni esposti ad accessi ed elaborazioni di vario tipo”. Petty politics, appunto.

Lo stato di entropia democratica che oggi viviamo non è quindi un avvenimento episodico, ma strutturale, ed una sistema annidato al suo interno è la formazione politica. Una volta esistevano le scuole di partito che formavano i quadri dirigenti secondo precisi criteri (fedeltà alla linea politica, capacità di analisi e di dialogo, presenza etc..) e questi a loro volta formavano i sostenitori che diffondevano una precisa idea di società. Oggi di tutto quello cosa ne è restato? Praticamente nulla. Ed il partito più antisistema mette in chiaro che “Il M5S non è un partito e non ha bisogno di imitazioni di scuole politiche di indottrinamento come quella delle Frattocchie del Pci”.  Affidarsi allo spontaneismo nell’epoca dell’edonismo offre l’humus perfetto per danni sociali incalcolabili, lasciando libero sfogo ai molti narcisisti patologici che proliferano nella postmodernità, scandita com’è dalla deregulation.

Il brillante imprenditore di cui sopra, re del vago e principe dell’antinomia (trattato di Bengasi e successiva partecipazione ad Odyssey Dawn: in soli tre anni Gheddafi passa da alleato prezioso a nemico numero uno) in qualità di autorevole portavoce delle petty politics amava circondarsi di yesmen (e avvocati) rendendo il dibattito politico interno assolutamente irrilevante, mentre all’esterno fiorivano gli scontati anatemi contro inesistenti comunisti. Non pensiate che tale lungo periodo non abbia prodotto un imprinting culturale estraneo a quanto descritto in questo articolo. Questo stato di cose ha generato un disadattamento politico cronico, un rumore di fondo che si riflette nei modi in cui gli individui, dopo aver perso ogni riferimento alla propria classe di appartenenza ed in preda all’esaltazione del minimalismo culturale, si rivolgono al potere.

Senza un piano organico di ampio respiro che coinvolga il presente ed il futuro tenendo bene a mente il passato, l’orizzonte politico si restringe al solo “carpe diem, quam minimum credula postero”. Afferra la giornata confidando il meno possibile nel domani. Se non è minimalismo questo. Prendiamo una definizione a caso: “Il minimalismo è la ricerca consapevole di ciò che porta gioia nella nostra vita e l’eliminazione volontaria di tutto il resto”. Un prete pedofilo può essere minimalista, ricercando bambini ed eliminando tutte le noiose richieste di chiarimenti da parte dei genitori? Un politico può accettare tangenti, case gratis, costosi orologi in quanto portatori di gioie mentre scarta l’eventualità futura di un processo? L’attuale società del superfluo ama gli edonisti minimalisti, persone che si esaltano davanti alla propria individualità corredata da un numero tendente all’infinito di gadget. La gioia del possesso senza alcun interesse per il futuro, con un occhio di riguardo verso gli elementi feticistici del virtuale prima di tutto; quindi selfie come se piovesse a sancire il trionfo dell’apparenza, della spettacolarizzazione.

Che dire quindi delle rivendicazioni di piazza odierne? I Gilet Gialli, ad esempio, sono partiti in quarta a causa di un piccolo aumento dei carburanti salvo poi mettere dentro le loro analisi una serie di rivendicazioni ben più importanti. Non è che siano partiti dalle proposte di nazionalizzazione per arrivare a calmierare i carburanti, hanno fatto il percorso inverso. Poi giusto per dare retta a Crouch non si vogliono organizzare in un partito politico, e restano un gruppo di individui senza organizzazione politica. Lo spontaneismo senza organizzazione ha nulle speranze di sopravvivenza, questo ci ha insegnato la Storia. Che fine hanno fatto i Forconi? Purtroppo questo sembra essere il meglio, lo stato dell’arte del nuovo millennio.

Petty politics. Il primo maggio a Milano si è tenuta l’immancabile manifestazione dei sindacati unitari: numerose le bandiere ormai stinte sorrette da tesserati ormai anziani. Parallelamente si è tenuta la manifestazione dei ciclofattorini, portatori a pedali di diritti negati, apoteosi del precariato.

Ci sono riusciti. La parcellizzazione, la frammentazione elettorale per favorire una egemonia politica di matrice economica ma ancor prima psicologica ha sublimato ogni forza antisistema canalizzandola verso un congelamento del dissenso, ormai teleguidato tanto nelle forme più anarchiche quanto in quelle più democratiche.

Tra ermeneutica del solipsismo narcisista e minimalismo dell’inutile, la narrazione sembra avere trovato la propria bara, costretta ad essere replicante in chiave minore dei potenti avvicendamenti storici di un tempo. Non c’è pathos né gloria nella prevedibile spettacolarità del pensiero postmoderno. Le petty politics rappresentano la quintessenza di questa miseria relazionale che partendo dal Rinascimento e dalla centralità dell’Uomo, sono riuscite a porre l’uomo destrutturato al centro delle strutture, eziologia ed anamnesi di quella malattia diventata ormai incurabile che si chiama capitalismo.

“Partoriscono a cavallo di una tomba, il giorno splende un istante, e poi è di nuovo notte.” S. Beckett- Aspettando Godot

 

Tonguessy

Fonte: https://comedonchisciotte.org/

30.05.2019

 

Note dell’autore:

*Petty Politics: Nelle amministrazioni di grosse organizzazioni americane esiste l’ufficio Petty Cash dove si effettuano rimborsi per spese di piccole entità. Il termine petty però non sta solo a identificare minutaglie, quisquilie ma anche qualcosa di moralmente riprovevole, qualcosa di meschino. Non ho trovato una parola italiana che veicolasse questo doppio significato
[1] Colin Crouch “Postdemocrazia” pag 61
[2] Colin Crouch “Postdemocrazia” pag 29

 

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