ILPOLISCRIBA
Poiché tanto del savio quanto dello stolto non rimane
ricordo eterno; giacché, nei giorni a venire, tutto sarà da
tempo dimenticato
Qoelet
In una città del Nord, 8 luglio 2018
Odore di merda, non della propria merda che si sente ogni giorno nel proprio cesso, l’odore di quella degli altri, il fetore di quella dei tuoi vecchi, dei vecchi altrui … flebo, cerotti arrotolati su farfalline idrauliche, tubicini, sponde di letti dove si aggrappano abbandonate braccia d’ossa e pelle smorta.
Guardo mio padre e i padri d’altri, quel che resta di lui, di noi, di questa società.
È domenica.
Fuori è estate, un’estate rovente che asfalta il cielo di luce; dentro… un inverno senza fine.
È qui che l’Occidente muore giorno per giorno … radiografato, sottoposto a TAC, RMN, ecografie, chemioterapia, trapianti d’organo, ablazioni cardiache, bypass arteriosi… finché la privatizzazione del sistema non fagociterà tutto, scagliandoci in un incubo assicurativo all’americana.
È qui che i figli della mia generazione non conoscono il vero amore, la vera pietà, pensando di esser vicini a chi li ha generati o adottati, vomitando audiomessaggi whatsapp in sorde orecchie, con bocche da ventriloqui vacanzieri, mentre le labbra grinzose che non sono in grado di rispondere, vomitano umori giallastri, espulsi da fegati marci, sui touchscreen.
L’assenza è ovunque: si siede su sedie vuote, non ha braccia che sollevano, non ha mani che prendano altre mani, non ha bocca per rispondere all’aiuto, non ha occhi per contemplare la disfatta dell’uomo, non ha spalle per farsi carico del peso di vite sdrucite, non ha cuore per la compassione, per il perdono, non ha rabbia per i rimorsi, non ha desiderio di lenire, non ha lacrime, non ha sorrisi caritatevoli, non teme la morte; chiamata con il campanello dal verso corvino, si ritira per un breve istante sostituita da Operatori Sanitari in numero sempre più esiguo in rapporto ai degenti.
Leggo nello sguardo di mio padre quella fottuta paura che io vorrei evitargli ed evitare a me stesso.
Siamo entrambi codardi, sono tutti codardi.
Le coppie di ottantenni che si accudiscono fra loro mi angosciano, per quanto ammiri di loro quella tenacia di restare insieme, vivi finché morte non li separi, quell’ostinazione sentimentale che non sono riusciti a trasmettere ai figli, tanto meno ai loro nipoti erasmus.
Io e mia moglie sembriamo due alieni in questa domenica strafatta di azzurro.
Ci avvicendiamo intorno al capezzale di un uomo che fu qualcosa che non è più e di cui al personale medico non frega nulla al di fuori della mera, seppur vitale, assegnazione di farmaci e pasti.
Lui è il letto numero 3.
L’empatia non esiste, ci si limita alla correttezza, all’eseguire l’eseguibile, a cercare di portare a termine il proprio turno, spesso, doppio turno …
Non c’è tempo per soffermarsi a pensare, occorre cambiare padelle, pappagalli, svuotare sacche di piscio, preparare medicazioni, distribuire pillole, togliere e mettere cannule, aspirare catarro, ossigenare, riempire fogli e fogli di carta con rapporti al minuto, secondo i protocolli che la direzione dell’ospedale impone e cambia ad ogni nuovo dirigente che s’inventa un modo per rendere il lavoro degli infermieri il più stressante possibile.
Mio padre lo sta uccidendo il fumo e una vita di eccessi e trascuratezza che ora peseranno sul Sistema Sanitario Nazionale …
Gli infermieri che vanno su e giù per la corsia faranno la stessa fine, lo sanno, ma non gli rimangono che le sigarette per continuare a raggiungere il target quotidiano assegnato al reparto, perché non possono permettersi la cocaina che arriva ai piani alti.
Ogni malato è un costo, e questo costo va ridotto.
L’umanità è scavalcata dall’amministrazione; si spera di trovare camici bianchi rispettosi, di non incorrere nella spocchia dei primari, nella luna storta di una coordinatrice (ex caposala), o nell’incompetenza tecnica e linguistica di un tirocinante o di una tesista.
“Mi scusi infermiera, ma mio padre ha la disfagia e non può mangiare gli spinaci”… provo a rimediare una purea di patate.
“Senta, qualcuno può aiutarmi a sollevarlo, dice che non respira”… aspetto mezz’ora.
“Dottore, vorrei sapere cosa dicono i referti della biopsia”… attendo due giorni.
E questa del Nord è la sanità che funziona: immagino quella del Sud, quella dei reparti svuotati per far spazio ai festini dei primari.
Mi aggiro per i corridoi mentre mia moglie allevia con una crema l’estrema vascolarizzazione dei piedi afflitti da stenosi poplitea del mio povero vecchio che non mi ha mai dato ascolto quando gli rimproveravo il suo stile di vita, “… è da coglioni cercare di morire sani”, mi diceva, e forse non aveva tutti i torti.
Sbircio nelle altre stanze tra i sudari.
C’è un silenzio che urla rassegnazione, sciami scarni di congiunti … sempre più anziani.
Vecchi che assistono vecchi, a loro volta malati che non si curano perché nessuno da loro il cambio, che si sacrificano offrendo quel che resta della loro vita agli ultimi giorni mutilati di chi hanno scelto per concludere il tempo delle afflizioni fisiche e morali.
I bambini non sono ammessi … le visite dalle alle … l’elenco delle badanti segnalate dall’ospedale.
Mentre raschio le dentiere che ancora permettono a mio padre di biascicare ricordi confusi e qualche triste parola sul diritto al suicidio assistito, se mai non potesse più essere nutrito normalmente, cerco di mediare tra parenti, sperando, con poca convinzione, di non finire in un amaro film di Monicelli.
Fonte: http://alcesteilblog.blogspot.com
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13.07.2018