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La Redazione

 

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Non è grazie al capitalismo che viviamo più a lungo, ma alla democrazia, ai sindacati, alla sanità e all’istruzione

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Il 21 Febbraio 2020
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JASON HICKEL

filmsforaction.org

Negli ultimi tempi noti sapientoni, tra cui Steven PinkerJordan Peterson e Bill Gates [1], hanno parlato del progresso delle aspettative di vita globale per difendere il capitalismo da una crescente ondata di critiche.

Certamente c’è molto da festeggiare su questo fronte. Dopo tutto, l’aspettativa di vita media umana è migliorata molto. “Gli intellettuali sono inclini a scandalizzarsi quando leggono una difesa del capitalismo”, scrive Pinker nel suo recente libro, Enlightenment Now. Ma è “ovvio – sostiene –che il PIL pro capite sia correlato alla longevità, alla salute e all’alimentazione”.

È una storia che ci è familiare. La narrazione prevalente è che il capitalismo sia stato una forza progressista che ha messo fine alla servitù della gleba e abbia dato il via a un enorme aumento del tenore di vita. Ma questa favola non regge alle prove.

I movimenti politici progressisti hanno sfruttato le risorse economiche per fornire beni pubblici solidi

Certo, la schiavitù era un sistema brutale che generava una straordinaria miseria umana. Ma non è stato il capitalismo a porvi fine. Come dimostra la storica Silvia Federici, una serie di ribellioni contadine di successo in tutta l’Europa nel XIV e XV secolo ha rovesciato i signori feudali e ha dato ai contadini un maggiore controllo sulle terre e le loro risorse. I frutti di questa rivoluzione furono sorprendenti in termini di benessere. I salari raddoppiarono e la nutrizione migliorò. Secondo gli standard dell’epoca, fu un periodo di incredibile progresso sociale.

Poi ci fu il contraccolpo. Sconvolta dal crescente potere dei contadini e dei lavoratori, e furiosa per l’aumento dei salari, la nascente classe capitalista organizzò una controrivoluzione. Si cominciò con l’eliminare le common land [1] per costringere i contadini a lasciare la terra, con l’intenzione esplicita di abbassare il costo dei salari. Con le economie di sussistenza distrutte, la gente non aveva altra scelta che lavorare per pochi centesimi semplicemente per sopravvivere. Secondo gli economisti di Oxford Henry Phelps Brown e Sheila Hopkins, i salari reali diminuirono fino al 70% dalla fine del XV secolo fino al XVII secolo. Le carestie divennero comuni e l’alimentazione peggiorò. In Inghilterra, l’aspettativa media di vita scese da 43 anni nel 1500 a poco più 30 anni nel 1700.

In breve, l’ascesa del capitalismo ha generato un prolungato periodo di impoverimento. È stato uno dei periodi più sanguinosi e tumultuosi della storia del mondo. Eppure Pinker si comporta come se nulla di tutto ciò fosse accaduto. Invece salta direttamente al periodo industriale moderno. È stato il capitalismo industriale, afferma, che ha davvero fatto migliorare l’aspettativa di vita.

Ma anche qui gli storici hanno una storia più complessa da raccontare. Simon Szreter, uno dei maggiori esperti mondiali di dati storici sulla salute pubblica, dimostra che la crescita industriale nel XIX secolo non ha innescato un miglioramento dell’aspettativa di vita, ma piuttosto un impressionante peggioramento. “In quasi tutti i casi storici – scrive Szreter – il primo e più diretto effetto della rapida crescita economica è stato un impatto negativo sulla salute della popolazione”.

L’evidenza di questo trauma”, continua, “si può chiaramente riscontrare in una discontinuità negativa di generazione in generazione delle tendenze storiche dell’aspettativa di vita e della mortalità infantile”. Attingendo a un’ampia gamma di studi, Szreter dimostra che in Gran Bretagna le popolazioni direttamente interessate dalla crescita industriale hanno registrato un costante calo dell’aspettativa di vita dagli anni 1780 al 1870, fino a livelli che non si vedevano dalla peste nera del XIV secolo.

In effetti, è proprio dove il capitalismo si è più sviluppato che questo disastro fu più pronunciato. A Manchestere Liverpool, i due giganti dell’industrializzazione, l’aspettativa di vita crollò rispetto alle zone non industrializzate del Paese. A Manchester scese a soli 25,3 anni. Nel Surrey rurale, nel frattempo, la gente poteva aspettarsi di vivere 20 anni di più.

E non è solo in Gran Bretagna che vediamo questo modello. Secondo Szreter, la stessa cosa è accaduta in “tutti i paesi in cui è stato studiato”, compresi Germania, Australia e Giappone. Catastrofi simili si sono verificate in questo stesso periodo in colonie come l’Irlanda, l’India e il Congo quando vennero inserite a forza nel sistema industriale europeo.

Sarebbe difficile esagerare la sofferenza che queste cifre rappresentano. Raccontano la storia di intere popolazioni che sono state espropriate dalla classe capitalista e ridotte in schiavitù nelle fabbriche e nelle piantagioni della rivoluzione industriale. Eppure nulla di tutto questo appare nella rosea narrazione di Pinker.

Solo negli anni Ottanta del XIX secolo le aspettative di vita urbana cominciarono a crescere, almeno in Europa. Ma cosa ha spinto verso questi miglioramenti improvvisi? Szreter ritiene che sia stato un semplice intervento: l’igiene.

I sostenitori della sanità pubblica avevano scoperto che la salute dei cittadini poteva essere migliorata separando le acque di scarico dall’acqua potabile. Eppure il progresso verso questo obiettivo è stato osteggiato, e non consentito, dalla classe capitalista – i proprietari terrieri libertari e i proprietari di fabbriche si rifiutarono di permettere ai funzionari di costruire sistemi igienico-sanitari sulle loro proprietà, e si sono rifiutati di pagare le tasse necessarie per portare a termine i lavori.

La loro resistenza è stata vinta solo quando i cittadini hanno ottenuto il diritto di voto e i lavoratori si sono organizzati in sindacati. Nei decenni successivi questi movimenti hanno fatto leva sullo Stato per intervenire contro i proprietari terrieri e i proprietari di fabbriche, per fornire non solo sistemi sanitari, ma anche assistenza sanitaria universale, istruzione e alloggi pubblici. Secondo Szreter, l’accesso a questi benefici pubblici ha stimolato l’aumento dell’aspettativa di vita per tutto il XX secolo.

Pinker non fa alcun riferimento a questo impulso. La sua argomentazione si basa invece su una trama dispersiva nota come curva di Preston, che mostra che i paesi con un PIL pro capite più alto tendono ad avere un’aspettativa di vita maggiore. Ma egli sostiene questa causa laddove non ci esistono prove. Infatti, nuove ricerche hanno scoperto che il fattore causale dietro la curva di Preston non è affatto il PIL, ma l’istruzione.

Ovviamente, i servizi sociali richiedono risorse. Ed è importante riconoscere che la crescita può aiutare a raggiungere questo obiettivo. Ma gli interventi che contano quando si tratta di aspettativa di vita non richiedono alti livelli di PIL pro capite. L’Unione Europea ha un’aspettativa di vita più alta degli Stati Uniti, con il 40% di reddito in meno. Costa Rica e Cuba hanno battuto gli Stati Uniti con solo una frazione del reddito, ed entrambi hanno ottenuto i loro maggiori guadagni in termini di aspettativa di vita nei periodi in cui il PIL non cresceva affatto. Come? Con l’introduzione dell’assistenza sanitaria universale e dell’istruzione.

“Le serie storiche mostrano chiaramente che la crescita economica in sé non ha implicazioni positive dirette e necessarie per la salute della popolazione”, scrive Szreter. “Il massimo che si può dire è che crea il potenziale a lungo termine per il miglioramento della salute della popolazione”.

I dati storici dimostrano chiaramente che la sola crescita economica non comporta implicazioni dirette e necessariamente positive per la salute della popolazione”, scrive Szreter. “Il massimo che si possa dire è che crea il potenziale a lungo termine per un miglioramento della salute della popolazione”.

La realizzazione o meno di tale potenziale dipende dalle forze politiche che determinano la distribuzione del reddito. Diamo credito a ciò che è dovuto: l’incremento dell’aspettativa di vita è stato indotto da movimenti politici progressisti che hanno sfruttato le risorse economiche per erogare massicci benefici pubblici. La storia dimostra che, in assenza di queste forze progressiste, la crescita ha spesso funzionato contro il progresso sociale, non a suo favore.

 

Jason Hickel è un antropologo economico e autore di The Divide: Una breve guida alla disuguaglianza globale e alle sue soluzioni.

Note:

  1. Tre sostenitori del neoliberismo
  2. Per Common land, nel Regno Unito, si intende un terreno di proprietà collettiva

Fonte: https://www.filmsforaction.org/articles/its-not-thanks-to-capitalism-that-were-living-longer-but-progressive-politics/ 13.02.2020

Articolo originale: https://www.theguardian.com/commentisfree/2019/nov/22/progressive-politics-capitalism-unions-healthcare-education 22.11.2019

 

Traduzione per Comedonchisciotte.org a cura di Riccardo Donat-Cattin

 

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