Pepe Escobar – The Cradle.co – 9 maggio 2023
L’Asia occidentale è una regione che sta vivendo una grande attività geopolitica. I recenti sforzi diplomatici, avviati dalla Russia e supervisionati dalla Cina, hanno garantito un riavvicinamento tra l’Iran e l’Arabia Saudita, a lungo latitante, mentre il ritorno della Siria nella Lega Araba è stato accolto con grande clamore. Questa ondata diplomatica segna un allontanamento dalle tattiche imperiali del “divide et impera”, utilizzate per decenni per creare fratture nazionali, tribali e settarie in questa regione strategica.
La guerra per procura in Siria, sostenuta dall’Impero e dai suoi gruppi terroristici – compresa l’occupazione di territori ricchi di risorse e il furto di massa del petrolio siriano – continua a infuriare nonostante Damasco abbia avuto la meglio. Questo vantaggio, indebolito negli ultimi anni da una raffica di sanzioni economiche occidentali, sta ora crescendo in modo esponenziale: lo Stato siriano è stato ulteriormente rafforzato dalla recente visita ufficiale del presidente iraniano Ebrahim Raisi – che si è impegnato a espandere i legami bilaterali – alla vigilia del ritorno della Siria nella Lega Araba.
“Assad deve andarsene” – un meme uscito direttamente dall’arroganza collettiva occidentale – ma alla fine non se n’è andato. Nonostante le minacce imperiali, gli Stati arabi che avevano cercato di isolare il presidente siriano sono tornati ad apprezzarlo, guidati da Mosca e Teheran.
La Siria è ampiamente discussa nei circoli informati di Mosca. C’è una sorta di consenso sul fatto che la Russia, ora concentrata nella guerra per procura “tutto o niente” contro la NATO, non sarà attualmente in grado di imporre una soluzione di pace per la Siria, ma ciò non preclude ai sauditi, agli iraniani e ai turchi la possibilità di un accordo a guida russa.
Se non fosse stato per il comportamento aggressivo dei neoconservatori straussiani all’interno della “tangenziale di Washington” (espressione per indicare il centro del potere decisionale, N.d.T.), si sarebbe potuta raggiungere una pace globale e multiterritoriale, che comprendesse tutto, dalla sovranità della Siria a una zona smilitarizzata nei territori russi di confine occidentali, alla stabilità nel Caucaso e a un certo grado di rispetto per il diritto internazionale.
Tuttavia, è improbabile che un accordo di questo tipo si concretizzi ed è anzi probabile che la situazione in Asia occidentale peggiori. Ciò è dovuto in parte al fatto che il Nord Atlantico ha già spostato la sua attenzione sul Mar Cinese Meridionale.
Una “pace” impossibile
L’Occidente collettivo sembra mancare di un leader decisivo: l’Egemone è attualmente “guidato” da un presidente rimbambito e telecomandato da un branco di raffinati guerrafondai. La situazione è degenerata al punto che la tanto sbandierata “controffensiva ucraina” potrebbe in realtà essere il preludio di un’umiliazione della NATO che farà sembrare l’Afghanistan una Disneyland nell’Hindu Kush.
È possibile che ci siano delle analogie tra la Russia-NATO di adesso e la Turchia-Russia prima del marzo 2020: entrambe le parti scommettono su una svolta militare cruciale sul campo di battaglia prima di sedersi al tavolo dei negoziati. Gli Stati Uniti ne sono disperati: persino Henry Kissinger, “l’oracolo” del XX secolo, predice ora che, con il coinvolgimento della Cina, ci saranno negoziati prima della fine del 2023.
Nonostante l’urgenza della situazione, Mosca non sembra avere fretta. La sua strategia militare chiave, come si è visto a Bakhmut/Artemyovsk, consiste nell’utilizzare una combinazione di tecnica della lumaca e macchina tritatutto. L’obiettivo finale è quello di disarmare la NATO nel suo complesso, piuttosto che solo l’Ucraina, e finora sembra funzionare brillantemente.
La Russia è in gioco per il lungo periodo, prevedendo che un giorno l’Occidente collettivo avrà un momento “Eureka!” e capirà che è ora di abbandonare la corsa.
Ora supponiamo che, per qualche intervento divino, i negoziati inizino tra qualche mese, con il coinvolgimento della Cina. Mosca – e Pechino – sanno di non potersi fidare di nulla di ciò che l’Egemone dice o firma.
Inoltre, la vittoria tattica degli Stati Uniti è già stata decisiva: la Russia sanzionata, demonizzata e separata dall’Europa, e l’UE cementata come un vassallo deindustrializzato e insignificante.
Presupponendo che ci sia una pace negoziata, si può dire che assomiglierà ad una Siria 2.0, con un massiccio equivalente di “Idlib” proprio alle porte della Russia, cosa del tutto inaccettabile per Mosca.
In pratica, avremo gruppi terroristici banderisti – la versione slava dell’ISIS – liberi di vagare per la Federazione Russa con autobombe e droni kamikaze. L’egemone potrà accendere e spegnere la guerra per procura a piacimento, proprio come continua a fare in Siria, Iraq e Afghanistan con le sue cellule terroristiche.
Il Consiglio di Sicurezza di Mosca sa bene, sulla base della farsa di Minsk riconosciuta anche dall’ex cancelliere tedesco Angela Merkel, che si tratterà di una Minsk superpompata: il regime di Kiev, o meglio il regime post-Zelensky, continuerà a essere armato fino alla morte con nuovi espedienti della NATO.
Ma anche l’altra opzione – in cui non c’è nulla da negoziare – è altrettanto minacciosa: una guerra perpetua.
Indivisibilità della sicurezza
Il vero accordo da negoziare non è la “pedina Ucraina” nel loro gioco: è l’indivisibilità della sicurezza. Esattamente quello di cui Mosca stava sensatamente cercando di convincere Washington con le lettere inviate nel dicembre 2021.
In pratica, ciò che Mosca sta facendo attualmente è realpolitik: colpire la NATO sul campo di battaglia fino a indebolirla abbastanza da accettare un’operazione militare strategica (SMO). La SMO includerebbe necessariamente una zona demilitarizzata tra la NATO e la Russia, un’Ucraina neutrale e nessuna arma nucleare stazionata in Polonia, nei Paesi Baltici e in Finlandia.
Tuttavia, dato che l’Egemone è una superpotenza in declino e “non capace di accordi”, non è certo che tutto ciò possa reggere, soprattutto considerando l’ossessione dell’Egemone per l’espansione infinita della NATO. “Capacità di non accordo” (недоговороспособны), per inciso, è un termine che i diplomatici russi hanno coniato per descrivere l’incapacità delle loro controparti americane di attenersi a qualsiasi accordo firmato, da Minsk all’accordo sul nucleare iraniano.
Questa miscela incandescente diventa ancora più complessa con l’introduzione del vettore turco.
Il ministro degli Esteri turco Cavusoglu ha già chiarito che se il presidente Recep Tayyip Erdogan manterrà il potere alle elezioni presidenziali del 14 maggio, Ankara non imporrà sanzioni alla Russia né violerà la Convenzione di Montreux, che vieta il passaggio di navi da guerra da e verso il Mar Nero in tempo di guerra.
I rischi della svolta geopolitica di Ankara
Ibrahim Kalyn, il principale consigliere di Erdogan per la sicurezza e la politica estera, ha giustamente sottolineato che non c’è una guerra tra la Russia e l’Ucraina; si tratta piuttosto di una guerra per procura tra la Russia e l’Occidente, utilizzando l’Ucraina.
È per questo che l’Occidente collettivo sta investendo pesantemente in una campagna “Erdogan deve andarsene”, che viene finanziata in modo massiccio per spingere verso il seggio presidenziale una coalizione stranamente assortita. In caso di vittoria dell’opposizione turca – e di inizio “rientro del debito” verso l’egemone – potrebbero essere nuovamente previste sanzioni e violazioni di Montreux.
Ma Washington potrebbe avere una sorpresa. Kemal Kilicdaroglu, leader dell’opposizione turca, ha lasciato intendere verrà mantenuto un atteggiamento più o meno equilibrato dell’inclinazione di Ankara in politica estera, mentre alcuni osservatori ritengono che, anche se Erdogan sarà spodestato, ci saranno dei limiti al ritorno della Turchia verso l’Occidente.
Erdogan, approfittando dell’apparato statale e della sua immensa rete di clientele, sta facendo di tutto per assicurarsi la rielezione. Solo allora potrebbe passare da una continua copertura delle sue scommesse a una mossa per diventare un vero attore nell’integrazione eurasiatica.
Ankara sotto Erdogan, allo stato attuale, non è filo-russa; essenzialmente, cerca di trarre profitto da entrambe le parti. I turchi vendono droni Bayraktar a Kiev, hanno concluso accordi militari e allo stesso tempo, sotto il mantello degli “Stati turchi”, investono nelle tendenze separatiste in Crimea e a Kherson.
Allo stesso tempo, Erdogan ha estremo bisogno della cooperazione militare ed energetica russa. A Mosca non si fanno illusioni sul “Sultano” o sulla direzione che sta prendendo la Turchia. Se la svolta geopolitica di Ankara sarà ostile, saranno i turchi a perdere i primi posti nel treno eurasiatico ad alta velocità, dai BRICS+ all’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO) e tutti gli spazi intermedi.
Pepe Escobar è un analista geopolitico e autore indipendente. Il suo ultimo libro è Raging Twenties. È stato politicamente cancellato da Facebook e Twitter. Seguitelo su Telegram.
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Scelto e tradotto da CptHook per ComeDonChisciotte