Loreto Giovannone continua la sua rassegna di articoli dove rilegge in modo critico episodi e personaggi del periodo risorgimentale. Si occuperà in particolare della repressione del fenomeno un tempo definito come “brigantaggio meridionale”. Dopo Alessandro Buglione di Monale e Pietro Fumel è la volta del Generale Enrico Cialdini, autore di una «italianizzazione del sud fatta a fucilate e baionettate», come scrive lo stesso Giovannone.
Buona lettura.
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Macellai dei Risorgimento: Generale Enrico Cialdini
Di Loreto Giovannone, altaterradilavoro.com
L’Unità italiana è circondata da oscura pervicace ignoranza, ancora oggi si persiste nell’esaltazione unitarista di assassini, comandanti militari, per la sanguinosa conquista del meridione a colpi di vendette e rappresaglie su una parte delle popolazioni civili.
L’invasione sabauda del sud: Dopo l’armistizio di Villafranca, conseguenza di una decisione unilaterale della Francia, si accelerarono i preparativi anglo-sabaudo dell’invasione dello Stato Pontificio e del Regno delle Due Sicilie, già decisa da tempo. Il generale Enrico Cialdini fu spostato a Brescia e vi rimase sino alla formazione dei corpi d’armata, che avvenne nel 1860 dopo l’annessione dell’Italia Centrale al regno di Vittorio Emanuele. Allora il generale Cialdini andò colla sua divisione a Bologna, e assunse il comando del 4° corpo… In quei giorni il generale Garibaldi era sbarcato a Marsala… il governo [Cavour] di Vittorio Emanuele risolvevasi a dar mano all’impresa dell’Italia meridionale (Enrico Cialdini generale d’armata, UTE, Torino, 1861).
Casa Savoia con la sotterranea organizzazione della massoneria anglo-francese-italica, interessata alla rapina del Regno e delle ricche casse del cugino Borbone, con arroganza e prepotenza colonizzatrice, partecipò all’enorme banchetto della rapina degli stati annessi.
In seguito alle annessioni aggiunsero almeno altri tre filoni:
1) Gli italici finanziamenti dei lavori pubblici, non è un caso che attiva da subito fu la società Vittorio Emanuele per la costruzione delle ferrovie, settore dove gli inglesi, partner Savoia, erano scaltri investitori sin dalla colonizzazione in India e si affiancarono alla casa Sabauda.
2) Tutta la produzione mineraria Toscana in cui Vittorio Emanuele II ebbe interessi diretti dopo la sentenza del 1862, sentenza che ne sanciva la privativa per lo Stato. Interessi diretti con società quotate in borsa per il commercio del rame e il controllo della enorme produzione mineraria della Liguria, del Piemonte, della Toscana, della Sardegna, in particolare con la società estrattiva Monteponi. La ingente produzione vide la via dell’estero, Francia e Inghilterra.
3) Le società per la navigazione passeggeri con la rete di “agenti dell’emigrazione” e piroscafi transatlantici a guadagnare e lucrare sull’emigrazione dal meridione. La più gigantesca deportazione di manodopera mondiale mai organizzata prima, milioni di meridionali e veneti portati in Brasile e Argentina al lavoro agricolo di compagnie inglesi. Vittorio Emanuele II diede corso alla cosiddetta strategia del carcioffo (così denominata la campagna di spoliazione delle risorse economiche e naturali degli Stati annessi), la propaganda di ossequiosi di regime spalmò il fervore “unificatore” Sabaudo, per la “libertà dei popoli” mentre una guerra sanguinaria da regime totalitario veniva condotta ai civili del sud dai comandanti militari. Nella cruenta azione repressiva primeggiarono in fucilazioni e rappresaglie il generale Cialdini, o il generale Alfonso Lamarmora incaricato con decreto in bianco nella guerra dell’insorgenza civile meridionale detta “brigantaggio”.
La Marmora accentrando a sé il comando, prescrisse alle truppe un’attività continua e usò rigore inflessibile producendo migliaia di fucilati, scomparsi dalla sua biografia.
Cialdini iniziò dalle Marche. I comandanti militari Cialdini e Fanti per …motivare l’aggressione militare, delle truppe italiane si fecero precedere da volontari reazionari, provocatori e attentatori …che facevano insorgere le città prossime al confine inducendo necessariamente la repressione…più nobile e dignitoso sarebbe stata una semplice dichiarazione di guerra (Armando Guarnieri. Otto anni di storia militare in Italia 1859-1866. Firenze, Tip. Galletti, 1868, p. 350).
Fanti e Cialdini, comandanti militari alla guida del 4° corpo d’armata, dopo la ritirata dagli avamposti austriaci dall’Adriatico, da stranieri invasori di due Stati esteri, passarono con le truppe la frontiera sul confine, marciando da Cattolica a Pesaro.
Cialdini, nell’ordine del giorno con baldanza e tracotanza di conquista, scrisse: Vi conduco contro una masnada di briachi stranieri che sete d’oro e vaghezza di saccheggio trasse nei nostri paesi… I veri stranieri erano loro, capi di una invasione militare, e stavano andando contro la debole guarnigione di Pesaro, circa 700 uomini in massima parte gendarmi, comandata dal colonnello Zappi.
La gloriosa carriera del generale comandante il 4° corpo d’armata Enrico Cialdini come macellaio di meridionali iniziò decisamente tra Castel di Sangro (Aquila) e il monte Macerone appena fuori d’Isernia, con lo scontro con i Borbonici. Nonostante il furore della battaglia militare il generale fucila i civili. Con libri e stampa sempre premurosa nel minimizzare, nell’occultare, nel cancellare le tracce, nel non esagerare nel numero, …due soli contadini, colti con le armi alla mano furono fucilati (Cronaca della guerra d’Italia 1859 1860. Parte terza. Tip. Trinci, Rieti, p.482).
Purtroppo il numero delle vittime civili meridionali era destinato a crescere molto rapidamente.
500 fucilati. Il prode ed eroico Cialdini apre nobilmente ed umanamente la sua splendida carriera nel regno delle Due Sicilie. Il suo arrivo fu festeggiato con la fucilazione di sette preti; ora sono 500 briganti che vengono passati per le armi in nome del mitissimo re galantuomo, a gloria eterna della Italia unita delle passate fusioni, dell’unanimissima votazione! (Il Diavoletto. Trieste venerdì 26 luglio 1861 n. 173).
La tracotanza militare. Il primo atto della colonizzazione fu affidato a feroci comandanti militari che, trucidando civili, violarono ogni principio. Il generale d’armata Cialdini, non fu da meno. Nel 1860 il corpo Cacciatori delle Alpi, che Cialdini contribuì a formare, operava a Palermo con Garibaldi …i cacciatori delle alpi andavano qua e là come veri cacciatori di belve… (Filippo Mercurj, Storia di Sicilia e Napoli dell’anno 1860 al 1861, Napoli 1863, p. 82).
Il primo centro di riunione e d’istruzione dei giovani volontari fu a Cuneo, … poi Savigliano ed Acqui… Il generale Cialdini fu deputato alla istruzione e direzione suprema dei depositi di volontari. … sciolto dalle pastoje della burocrazia … coadiuvato dagli uffiziali istruttori Valenti e Carozzi, il generale Cialdini riuscì a dare in breve a que’ volontari, per la più parte non usati alle armi, lo indirizzo di intelligenti e valorosi soldati e agevolò grandemente il compito di Garibaldi, a cui spettava il convertirli in leoni sui campi di battaglia. (Pier Carlo Boggio. Da Montevideo a Palermo vita di Giuseppe Garibaldi. Torino 1860, p. 106)
Il generale d’armata Cialdini, aiutante di campo di Vittorio Emanuele, da usurpatore di un regime militare straniero, con farneticanti invettive, agitando la complicità degli alleati europei e fedeltà nel nuovo monarca da invasore militare armato, rispose: E per ultimo che consegnerò lei e i suoi subordinati al popolo di Messina. «Ho costume di tener parola, e senz’essere accusato di jattanza, le prometto che Ella e i suoi saranno quanto prima nelle mie mani. Dopo ciò, faccia come crede. Io non riconoscerò più nella Signoria Vostra Illustrissima un militare, ma un vile assassino, e per tale lo terrà l’Europa intera». Il gen. d’armata aiutante di campo di S. M. (Il Mondo Illustrato, Torino, anno IV, n. 11. 16 marzo 1861).
Cialdini, Luogotenente del Re Vittorio Emanuele II nelle province continentali dell’ex Regno delle Due Sicilie dal luglio 1861). In questa fase, comandò una dura repressione del fenomeno attraverso un sistematico ricorso ad arresti in massa, esecuzioni sommarie, distruzione di casolari e masserie, attuò vaste azioni contro centri abitati.
Rappresentano per il meridione l’arrogarsi il diritto di mettere a morte la popolazione civile, infame comportamento e minaccia di rappresaglia militare sui prigionieri: inviò un messaggio al generale Ritucci, comandante borbonico, nel quale comunicava che “l’addove fosse torto un solo capello ai prigionieri garibaldini, sarebbesi usate rappresaglie sul generale Scotti e sugli altri prigionieri” … Cialdini era il comandante la spedizione che dette la caccia a Garibaldi sull’Aspromonte il 29 agosto 1862. (Carmine De Marco. Revisione della storia dell’Unità d’Italia, Milano, 2011).
Gli storici inglesi. La guardia nazionale e quelle poche truppe regolari che potevano essere risparmiate per combattere l’illegalità [l’insorgenza] avevano fatto ricorso spesso di propria iniziativa a tattiche illegali e brutali. Una situazione molto difficile si sviluppò nella primavera del 1861 vicina all’anarchia: Torino allora diede persino al generale Enrico Cialdini l’arma per rafforzare le unità delle guardie nazionali reclutando degli ex garibaldini e autorizzando tattiche illegali come le fucilazioni e l’arresto di sospetti di parenti. (John Dickie, L’Italia più oscura: La nazione e gli stereotipi del Mezzogiorno, 1860-1900 Palgrave Macmillan, New York, 1999. p 38. J. Dickie Professore di studi italiani all’University College di Londra, storico e accademico).
Schiarite le nebbie della propaganda storiografica è estremamente chiaro che l’invasore era lui, Cialdini, era lui il vile assassino di civili insorgenti alla occupazione militare, era lui l’assaltatore a mano armata di uno stato monarchico sovrano, autonomo, legittimo, politicamente riconosciuto dalle altre nazioni europee. Gli storici attuali omettono i fatti reali, l’azione del sanguinario Cialdini e dei molti altri macellai dei comandi militari, omettono le violazioni da loro commesse dei diritti delle nazioni. La verità è sterilizzata dalla versione ufficiale che viene raccontata. Nessuno ha mai denunciato la gravissima violazione del diritto di autodeterminazione degli stati, quindi il regime instaurato allora prosegue tuttora.
Dal luglio 1861, il generale Enrico Cialdini sommò al comando del VI corpo d’armata di stanza nel Mezzogiorno la carica di luogotenente, dunque di capo dell’amministrazione civile: la sua gestione vide per la prima volta un inasprimento della repressione… In effetti la repressione venne condotta senza alcun scrupolo garantistico, o meglio senza alcuna regola. (Storia d’Italia. Annali, Volume 18, p. 470).
Dopo 158 anni “negazionismo” e mancato riconoscimento di gravi atti militari contro le popolazioni civili del sud, è evidente un paese mai unito, incivile e profondamente malato. I nostalgici rievocatori odierni fingono l’inesistenza di circa 10.000 trucidati da Cialdini alimentando la rancorosa, aperta polemica, sulle cruente violenze dell’invasione armata di militari del nord. Dopo la resa dell’esercito borbonico, nel 1861 la rivolta di intere popolazioni in tutto il meridione, è storia di feroci sanguinari invasori, di cruente esecuzioni contro le popolazioni civili.
Stando alle cronache del tempo meno asservite, lo scempio di vite umane di civili era in corso, e con Cialdini ebbe proporzioni spaventose stando agli studi recenti condotti all’esterno dalle viscose omertà accademiche. Militari assassini, che ubbidirono all’usurpatore, monarca Savoia, agirono nel trucidare migliaia di civili inermi perdendo dignità e onore, ancora oggi non si osa dire, anzi a verità acclarata vengono ancora celebrati come padri fondatori della forzata Unità nazionale invece di essere condannati come assassini del Regno d’Italia.
La parte più importante della verità storica su Cialdini è in quei circa 10.000 civili morti, barbaramente uccisi come sterminio di prede in territori di caccia a partire dal Molise.
A chi giova non raccontare la verità storica? Perché il nord, le Università, gli accademici di Stato e chi li manovra in remoto si ostinano a occultare, negare l’esistenza di fatti storici così gravi e ampiamente provati nei rapporti militari?
Le fucilazioni. Cialdini cominciò a fucilare, e le fucilazioni furono il suo programma mandato a stampare proprio nel foglio ufficiale di Napoli. Con Cialdini fucilarono De Virgilii, Curci, Pinelli, Fumel. Matteucci approvava il sistema, e scriveva a Massimo d’Azeglio nel luglio del 1861: «Per ora la cura è chirurgica, e purtroppo anche questa è divenuta una necessità». D’Azeglio rispondeva il 2 di agosto: «A Napoli noi abbiamo altresì cacciato il Sovrano per istabilire un governo fondato sul consenso universale. Ma ci vogliono, e sembra che ciò non basti, per contenere il regno sessanta battaglioni; ed è notorio che briganti e non briganti niuno vuole sapere di noi». E il D’Azeglio condannava il sistema delle fucilazioni e la cura chirurgica del Matteucci: «Agl’Italiani, che restando Italiani non volessero unirsi con noi, credo che noi non abbiamo il diritto di dare delle archibugiate». Ma non per questo le archibugiate cessarono; il sangue fu sparso, e chiamò nuovo sangue, e dalla terra impastata di sangue fraterno germogliarono nuovi briganti. Il sistema di sangue fu in permanenza a Napoli, e, cominciato con Cialdini, continua con Fumel… Mette orrore la lista di fucilati pubblicata nel Giornale Ufficiale di Napoli, dal 6 di settembre al 14 di novembre del 1862.
Questo giornale annunziava con piacere che «si è già cominciato a fucilare i ladri occulti e i corrispondenti dei briganti». Si sarebbe dovuto terminare, e si cominciava! Si cominciava non a fucilare i ladri, ma i ladri occulti, non i briganti, ma i corrispondenti dei briganti! (Memorie per la storia de’ nostri tempi dal congresso di Parigi. Volume 3, p. 188).
Persino gli inglesi, i più accaniti detrattori dell’insorgenza politica più vasta d’Europa dopo la rivoluzione francese detta “brigantaggio”, si aggiustano la versione giustificando gli invasori sabaudi a mano armata con la ferocia (a loro dire) degli insorgenti che difesero i propri territori, ma i detrattori ammettono la rappresaglia militare (reprisals) di Cialdini, Pinelli, De Sonnaz. The savagery led to natural reprisals. Cialdini threatened to shoot every man taken with arms in his hands (Cialdini ha minacciato di fucilare tutti gli uomini presi armi alla mano); Pinelli, the military historian, who was sent to hunt down the brigands, gave strong expression to the indignation, that every patriot felt at the Pope’s unholy patronage of the banditti; his brother general De Sonnaz, after driving back a large band into Papal territory, crossed the frontier and ransacked a store of arms in a border monastery. (Bolton King, M. A. A history of italian unity. James Nibest & Co 1899. p. 190)
Gli studiosi italiani odierni. Gli storici stranieri hanno idee chiare, gli storici italici o pseudo storici, annebbiati dalla mitologia unitarista e dallo spirito di partito, negano l’evidenza, mettono in atto tutta una serie di iniziative per riesumare le carriere di usurpatori risorgimentali ignorando totalmente che furono assassini manu militari di insorgenti civili, meridionali partigiani, difensori della propria terra. É di nuovo attuata la “mistificazione” per annullare l’efficace lavoro di ricercatori seri, non allineati con la mitologia risorgimentale o istituzionale, studiosi indipendenti che hanno portato a galla dagli Archivi militari e di Stato, ciò che rimane dei documenti dell’epoca. La verità che da 157 anni non viene raccontata ma loscamente nascosta sotto il tappeto e mistificata con l’apologia e la mitologia unitarista.
Ricordiamo che nel 2015 è stato rievocato e celebrato Giuseppe Govone, altro truce assassino militare di meridionali in Terra di Lavoro e Sicilia. Alla frontiera dello Stato Pontificio, ha lasciato una lunga scia di sangue e cadaveri buttati nel fiume Liri o fatti scomparire nelle cave e burroni dei valichi di montagna abruzzesi, o arsi vivi dai suoi reparti della Guardia Nazionale.
Una parte della storia colpevolmente nascosta e sottaciuta da tutti.
I teorici della colonizzazione e Cialdini militare alla conquista del “near sud”. Svelato l’inganno semantico della colonizzazione con il termine unificazione. Il nord sabaudo copiò da Francia e Inghilterra l’idea della conquista coloniale, per teorici del colonialismo come Gerolamo Boccardo, il meridione, lo Stato Pontificio e il Regno Due Sicilie erano “il nostro near sud”. Boccardo “Or perché mai, lo domando, non potrebbero tutte queste contrade divenire, a similitudine del Far-West degli Americani, il nostro Near–Sud? Perché non si costituirebbero fra noi società di emigrazione e di colonizzazione, operanti in Sardegna, nelle Puglie, in Calabria, come operano gli Squatters nelle valli del Mississipi, dell’Ohio o della Columbia? (Gerolamo Boccardo. Le colonie e l’Italia: sei lezioni, Torino 1864. p. 84)
Professori di Università o scuole superiori spargevano nelle loro aule l’ideologia colonizzatrice del meridione esattamente come nell’attualità per le politiche pedagogiche, per la politica attiva dei governi e per l’economia. Per mantenere invariata l’egemonia sui meridionali bisognava considerarli socialmente di serie B, non cittadini della stessa nazione, la discriminazione si basava e si basa sul ritenerli appartenenti ad un’area geografica discriminata, di serie B.
Il paese è da sempre diviso in due, dopo il 1861 il nord finanziario s’è da sempre disegnato e costruito i politici meridionali a propria immagine e somiglianza, politici che non hanno quasi mai rappresentato il proprio elettorato meridionale. Infatti i meridionali emigrati al nord, magari laureati a sud ad insegnare al nord, non hanno mai avuto una vera e propria rappresentanza politica autonoma. Lo stesso per gli emigrati interni.
Con la Vandea del sud indussero, a forza di fucilazioni e stragi, il pauperismo diffuso e l’estrema povertà distruggendo la struttura sociale ed economica dell’ex Regno delle Due Sicilie.
Oggi è un inaccettabile paradosso che il 70% degli insegnanti meridionali nelle scuole del nord insegnino menzogne storiche sulla loro terra d’origine.
L’odierna pubblicistica meridionalista rievoca, nei colonizzati meridionali, le gravi ferite mai rimarginate della colonizzazione e rinnova i ricordi di avi trucidati dai comandanti filo-sabaudi. Dopo il 1861, legittimato dagli stati europei il dominio nel meridione d’Italia del monarca Savoia, da lì a poco l’invasione sabauda si trasformerà in enorme gigantesco affare economico con l’emigrazione, la navigazione transatlantica dal meridione in tutto il mondo auspicata da Boccardo.
Ad oggi in Modena dedicano a Cialdini un vino, incuranti dei civili meridionali da lui fucilati o delle violazioni degli art. 24, 26, 27 e soprattutto dell’art. 71 dello statuto Albertino.
Oltre a Cialdini, Govone, Lamarmora, Galateri, Fumel, Bosco, De Sonnaz De Virgilis, Della Rocca, Pinelli e molti altri, capitani, tenenti fucilarono, incendiarono, torturarono e trucidarono in nome dell’unità e della patria. In vita nessuno di loro fu punito per aver ucciso secondo una stima sommaria e approssimativa non meno di 250.000 civili meridionali.
Oggi il non riconoscere la verità storica, è una totale mancanza di etica, una ulteriore arrogante vessazione sui morti, apologia che divide e separa senza pietas. Oggi si sanno i danni umani e civili dell’aggressione divenuta con un artificio sintattico unificazione che i controversi fatti storici riportano, azioni militari sui civili, messi in risalto oramai anche a nord del paese.
Nei testi scolastici si continua a veicolare l’arretratezza culturale ed economica del sud, si insiste sulla teoria delle “due Italie” su questo si fondano le politiche di tutti i governi degli ultimi 157 anni, una che si auto celebra presupponendosi superiore, e quell’altra che subisce ulteriori occultamenti della propria storia e non se ne cura. In entrambi i casi è una condotta immorale, riprovevole per niente incline alla riconciliazione. In nome dell’Unità amministrativa bisnonni e trisavoli furono sprofondati in tragici destini di lutti, depressione economica, emigrazione, povertà. Omettendo il settentrione le gravi conseguenze unitarie su una parte degli italiani meridionali, i conquistati, i colonizzati, bisognerà che ammettano a loro stessi che il meridione d’Italia non è nel loro paese.
Questi discorsi celebrativi di fucilatori di massa sono lontani dalla integrità morale e umana, Cialdini e gli altri rimarranno per sempre gli assassini di meridionali, insorgenti contro l’invasore fatti figurare per comodo come “briganti”.
Alcuni ricercatori esterni al mondo accademico, hanno invertito l’imperante “pensiero unico”, Franco Molfese, Francesco Mario Agnoli, Elena Bianchini Braglia, il giornalista Lorenzo Del Boca, Fulvio Izzo, la storica Daniela Adorni in “Storia d’Italia” che sugli errori militari nel mezzogiorno è molto, molto chiara sulle “ragioni degli uni e degli altri”, ed usa le parole di Ricasoli presidente del consiglio e ministro Interni quando scrive: “la lunga lettera che il ministro inviava all’attenzione del generale di Pettinengo rappresentava una impietosa riflessione e una presa di coscienza da parte del governo sugli errori commessi dalle autorità sia civili che militari, ma con essa si continuava a trascurare il punto centrale della questione brigantaggio, l’essere esso in qualche misura epifania di un profondo malessere sociale ed economico che lo stato unitario [aveva generato con la totale demolizione dello stato sociale nel regno delle due Sicilie] non aveva neppure tentato di risolvere”. La lettera è lunghissima ed è conservata lì a Torino.
Insomma questa è la vera analisi storica… il resto è operazione ideologica di chi in definitiva oggi è in difficoltà di fronte alla verità documentata, costretto ad arroccarsi sulle proprie improponibili posizioni e produce a stampa carta da macero… ma gli sterminatori rimangono sempre degli assassini e chi ne fa apologia è colpevole quanto loro.
Di Loreto Giovannone, altaterradilavoro.com
LE PUNTATE PRECEDENTI
I MACELLAI DEL RISORGIMENTO/1 – Alessandro Buglione di Monale – CLICCA QUI
I MACELLAI DEL RISORGIMENTO/2 : PIETRO FUMEL – CLICCA QUI
(CONTINUA) —
Loreto Giovannone. Studioso di storia alla ricerca dell’identità culturale e geografica delle origini. Studioso dei documenti amministrativi e ufficiali dell’Unità d’Italia conservati negli Archivi di Stato. Scopritore della prima deportazione di Stato di civili del Sud Italia nei lager del centro nord. La prima deportazione in Europa attuata dallo Stato italiano dal 1863, circa settanta anni prima del nazismo. Scrittore, articolista di argomenti storici con la predilezione della multidisciplinarietà di scuola francese. Convinto assertore che la Storia è la politica del passato.
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