Macellai del Risorgimento: Pietro Fumel

Loreto Giovannone continua la sua rilettura critica di episodi e personaggi del periodo risorgimentale.

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Loreto Giovannone continua la sua rassegna di articoli dove rilegge in modo critico episodi e personaggi del periodo risorgimentale. Si occuperà in particolare della repressione del fenomeno un tempo definito come “brigantaggio meridionale”. Dopo Alessandro Buglione di Monale, ecco Pietro Fumel,  poi sarà la volta dei generali Enrico Cialdini e Giuseppe Govone, autori di una «italianizzazione del sud fatta a fucilate e baionettate», come scrive lo stesso Giovannone.

In questo articolo sottopone ad analisi il colonnello piemontese Pietro Fumel della guardia nazionale mobile, protagonista della repressione nel Cosentino dal settembre 1861.

Macellai del Risorgimento: Pietro Fumel

Di Loreto Giovannone, altaterradilavoro.com

Le stragi del risorgimento. Fino ad ora la faziosa storiografia ufficiale è schierata con le ragioni di Stato degli sgherri “fucilatori”, si nasconde l’annessione sanguinaria e feroce del sud. In circa 12 anni di azioni militari contro civili, i patrioti, padri fondatori della patria agirono con stragi, baionette, fucilazioni, arsi vivi, deportazione. Portatori di libertà per manu militari, sterminarono e distrussero, parte dei colonizzati versandone il sangue in modi cruenti.

Sterminare, distruggere, piaga, orda, i termini discriminanti, lessico ministeriale e giornalistico, il risorgimento fu la Vandea al sud.

Le azioni dei governi unitari e tutti i gradi dell’esercito militare, anche i più bassi, operarono al di fuori delle garanzie del diritto, trucidando civili senza distinzione, insorgenti, uomini, donne, minori, per motivi politici buttando nei burroni cadaveri squartati dalle baionette.

Tra i militari troviamo il piemontese Pietro Fumel, efferato sterminatore e distruttore di vite umane. «Il protagonista della repressione nel Cosentino fu, dal settembre 1861, il colonnello della guardia nazionale mobile Pietro Fumel, piemontese, il quale, adottando il metodo del terrore e delle torture, prescindendo dall’osservanza di qualsiasi garanzia legale, fucilando indistintamente briganti e manutengoli, veri o supposti, e colpendo anche favoreggiatori altolocati, quali il barone Luigi Campagna di San Marco, distrusse non poche bande […]» (Franco Molfese, Storia del brigantaggio dopo l’Unità, Milano, Feltrinelli, 1972).

«Con un bando del 12 febbraio ‘62 comminò la fucilazione per i manutengoli, ordinò la concentrazione degli armenti in luoghi determinati con la distruzione delle capanne e delle costruzioni rurali, vietò la caccia ed il trasporto di viveri fuori dell’abitato, con l’intento di isolare i briganti. Si trattava di provvedimenti illegali, cui facevano corona fucilazioni senza giudizio di briganti e di presunti manutengoli: si incuteva terrore, ma si calpestava la legge» (Alfonso Scirocco. Il mezzogiorno nell’Italia unita, Napoli, 1979, pag. 84).

Chi incaricò Fumel di distruggere oppositori meridionali?

L’autorità politica del governo Bettino Ricasoli, Alessandro Della Rovere (ministro della guerra in carica dal 5 settembre 1861 al 3 marzo 1862); l’autorità militare del comandante delle forze militari, Manfredo Fanti. La diretta protezione del Governo inglese. «Lord Lennox, grande estimatore di Vittorio Emanuele II … dato che il suo governo aveva aiutato i piemontesi ad abbattere il regime borbonico … furono pubblicati in Inghilterra gli editti promulgati nel Gargano [da Fantoni in Calabria] dal maggiore Fumel: ordinavano di passare per le armi al pari dei briganti anche gli indifferenti perché “il governo piemontese non poteva ammettere più di due partiti: briganti e antibriganti”» (Annibale Paloscia, Storia della Polizia, pag. 20).

Lord Lennox nel parlamento inglese su Fumel. «Una Commissione fu spedita da Torino per investigare lo stato del come si volle chiamare. Il suo rapporto fu trapelato, quantunque la discussione si fosse tenuta a porte chiuse; apparisce dunque che i Piemontesi aveano fucilato settemila uomini nel mezzogiorno d’Italia senza essere giudicati, ed a sangue freddo per realizzare quelle che si chiamavano le libertà del paese!!! Suppongo che sia stato coll’istesso spirito filantropico col quale bruciavano, saccheggiavano, e distruggevano sedici città, per le loro simpatie verso i Borboni.

Il maggiore Fumel, che sembra stare sotto la speciale protezione del Governo inglese, è il simbolo delle violenze piemontesi. Sì portò con un battaglione alla residenza di un proprietario, che era in sospetto di manutengolo, dimandò asilo per la notte, e, stando a tavola col suo ospite, guardò il suo oriuolo, e diede tre minuti di tempo a quello sventurato per consegnargli la lista dei briganti del vicinato, se non voleva che il suo castello fosse bruciato. Sotto questa terribile minaccia fu presentata la lista, e Fumel fece arrestare tutti gl’individui quivi notati, li riunì nel cortile, ordinando che fossero tutti FUCILATI, non escluso il suo alloggiatore.

Non so come il fatto giunse all’orecchio del Governo, l’esecuzione fu sospesa, ed il maggiore sdegnato dette la sua dimissione. Il Governo l’accettò, invece di ordinare che fosse impiccato. Questi fatti si possono negare, ma la loro veracità salta agli occhi di tutti. Trentaduemila persone gemono nelle galere, e questo è sufficiente per provare lo stato delle prigioni, senza mendicare la scusa che due carceri furono chiuse. Quanti suppone la Camera che siano i prigionieri politici? Da uffiziali documenti appare che siano ottantamila» (Lord Lennox, La quistione napoletana discussa nel Parlamento inglese otto maggio 1863, pag. 12-13-34).

Università di Napoli«I veri briganti sono i soldati piemontesi, sono i Cialdini, i Pinelli, i Fumel, carnefici vestiti da soldati, che hanno saccheggiato e incendiato 19 paesi meridionali e hanno mitragliato le popolazioni di dieci città.

Per quanto riguarda le vittime di questo conflitto, citando una lettera del Barone Antonio Valerio letta nel Parlamento inglese, il De Sauclières afferma che nel solo 1861 15.665 persone, uomini, donne e fanciulli, sono state fucilate. L’autore cita poi una serie di decreti e proclami militari con lo scopo di dimostrare la ferocia delle truppe piemontesi, paragonabile solo a quella che si riscontra nei sanguinosi anni del periodo giacobino della Rivoluzione Francese» (Dottorando Daniele Palazzo, Il brigantaggio nel mezzogiorno… Università degli Studi di Napoli Federico II, Dottorato in scienze storiche, pag. 31).

Camera dei deputati – Sessione del 1861-62. Tornata 18 aprile 1863 – Giuseppe Ricciardi: «Ho udito e odo parlare continuamente dell’abolizione della pena di morte, ma questa è una derisione; prima che si pensi a questo, abolite il diritto che nelle provincie meridionali capitani e tenenti si arrogano sulla vita dei cittadini. Potrei a questo proposito raccontarvi orribili fatti; mi limiterò a qualche esempio. Nel Matese, non lunge da Piedimonte d’Alife, una compagnia di bersaglieri (ho il numero di essa, il numero del battaglione e il nome del capitano) nel perseguitare i briganti, arrestò cinque carbonari, fra cui due padri di famiglia, li arrestò, o signori, e un quarto d’ora dopo li faceva fucilare siccome briganti. Eppure erano tutti innocenti! Lascio stare altri fatti per non funestarvi più oltre.

Ora bisogna ch’io vi parli del colonnello Fumel, di questo signor Fumel, il quale si arroga poteri veramente straordinari, poteri enormi, e quello che è peggio, signori… questo colonnello Fumel, il quale si vanta di aver fatto fucilare circa 800 briganti e non briganti, è sostenuto in alcuni luoghi dalle popolazioni, dai miei buoni Calabresi, il che (con dolore lo dico) dimostra che in quelle provincie la lunga schiavitù ha viziato alquanto il senso morale dei popoli. … Io mantengo le mie parole; la verità bisogna dirla tanto ai nemici quanto agli amici. Da un giornale ministeriale ricavo il numero dei briganti fucilati, perché presi colle armi alla mano, essere ammontato a 1038, e questi oltre quelli uccisi negli scontri, oltre quelli costituitisi o fatti prigionieri. Il totale è di 7151! Io credo che bisognerebbe oramai mettere un termine a questo stato di cose, e adottare provvedimenti tali da rendere impossibili questi sterminii, i quali non fanno che seminare odii irreconciliabili nel paese, mentre pure non rifiniamo dal predicar la concordia».

Luigi Alfonso Miceli: … presso il [ministero dell’Interno] da qualche tempo ho iniziato delle pratiche riguardo a ciò che si compieva nella mia provincia dal colonnello Fumel.

Ma siccome l’onorevole Ricciardi ha accennato con vivaci parole al colonnello Fumel ed alle sue opere, sulle quali mi giungono continui e forti reclami, permetterà la Camera che io le faccia conoscere che quanto l’onorevole Ricciardi testé diceva viene a me da molto tempo affermato con colori tristissimi dai più egregi patrioti, dagli uomini più coscienziosi e rispettabili della provincia medesima.

In quel paese si lamenta, e si lamenta con parole che lacerano il cuore, la condizione illegale in cui sta il paese dacché il colonnello Fumel ha assunto il comando di alcune compagnie di guardia nazionale mobile per la persecuzione del brigantaggio.

Fa d’uopo che io dichiari alla Camera che vi sono molti nelle mie provincie che approvano l’operato del colonnello Fumel. … nei giorni scorsi dicevano che egli aveva salvato la vasta provincia di Cosenza fucilando 350 briganti, io mi sono sentito correre il sangue al viso per la mia provincia! Ho deplorato la sua condizione infelice, ed ho detto a me stesso: ma perché tante vittime, perché sì estremo rigore, perché non si crede abbastanza efficace la legge, se non sono sì gravi e sì minacciosi i pericoli? … In questa provincia, dove si credé più utile che stanziassero alcune compagnie di guardia nazionale mobile, al cui capo si diedero poteri che dalla legge gli erano ricusati, i mali durarono e da giorno in giorno inasprirono. … Il signor Fumel teneva i suoi prigionieri non già nel carcere comune, ma in una carcere sua particolare. Egli si avea costituiti due carceri, a sé, uno in Montalto, un altro in Sanfìli».

Secondo Miceli centinaia di appelli e denunce giunsero al ministero dell’Interno, nelle carceri private le guardie nazionali del battaglione Fumel, seviziava, torturava, eseguiva le esecuzioni dibattute nel parlamento inglese.

«Il 18 aprile essendosi bistrattato Fumel, Ufficiale Piemontese, il quale avea commesso atti notorii di crudeltà, il Deputato Miceli sostenne e disse, che un regno di terrore esisteva in Calabria, e molte persone venivano uccise a sangue freddo. Allora Bixio si alzò, il quale, come è ben noto, è Generale Garibaldino, e che per la sua gran conoscenza venne prescelto dal Governo italiano, come membro della Commissione d’inchiesta nella quistione del Brigantaggio, si alzò dunque e disse: che un sistema di sangue era stato stabilito nel mezzogiorno d’Italia, ch’egli abborriva, poiché se l’Italia era per divenire una nazione, non potrebbe divenire il campo di effusione di sangue» (Lord Lennox, La quistione napoletana discussa nel Parlamento inglese otto maggio 1863, pag. 12/13).

Marco Ezechia Lombroso, detto Cesare – Agli inizi del 1862 Lombroso era in Calabria, lasciò nel suo scritto una terribile testimonianza «… corpi morti lasciati a putrefare per le strade …» non è escluso fosse testimone dell’operato di Fumel (Cesare Lombroso, Tre mesi in Calabria, in “Rivista Contemporanea”, p. 418).

Chi continua a fare apologia rievocando Cialdini, Govone, Fumel e pensa che “si comportavano così per una buona causa” aggiunge contrasti insanabili e rinfocola odi con un sud che in parte inizia a scrollarsi di dosso “l’atavismo” ignobilmente affibbiatogli.

Di Loreto Giovannone, altaterradilavoro.com

LA PUNTATA PRECEDENTE

I MACELLAI DEL RISORGIMENTO/1 – Alessandro Buglione di Monale – CLICCA QUI

  (CONTINUA)

Loreto Giovannone. Studioso di storia alla ricerca dell’identità culturale e geografica delle origini. Studioso dei documenti amministrativi e ufficiali dell’Unità d’Italia conservati negli Archivi di Stato. Scopritore della prima deportazione di Stato di civili del Sud Italia nei lager del centro nord. La prima deportazione in Europa attuata dallo Stato italiano dal 1863, circa settanta anni prima del nazismo. Scrittore, articolista di argomenti storici con la predilezione della multidisciplinarietà di scuola francese. Convinto assertore che la Storia è la politica del passato.

FONTI:

https://www.civico20news.it/sito/articolo.php?id=27649

https://www.civico20news.it/sito/articolo.php?id=27650

Pietro Fumel (prima parte)

Pietro Fumel (seconda parte)

 

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