L’ultimo appello di Julian Assange

Questa settimana Julian Assange presenterà il suo ultimo appello ai tribunali britannici per evitare l'estradizione. Se verrà estradato, sarà la morte delle indagini della stampa sui meccanismi interni del potere.

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Chris Hedges
chrishedges.substack.com

LONDRA – Questa settimana, Julian Assange apparirà in udienza davanti ad una commissione di due giudici dell’Alta Corte di Londra, se questi giudici negheranno la possibilità di appellarsi all’estradizione negli Stati Uniti, al giornalista imprigionato non rimarrà alcuna possibilità di fare ricorso all’interno del sistema legale britannico. I suoi avvocati potrebbero chiedere alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) una sospensione dell’esecuzione ai sensi dell’articolo 39, che viene concessa in “circostanze eccezionali” e “solo quando esista un rischio imminente di danno irreparabile”. Ma è tutt’altro che certo che il tribunale britannico sarà d’accordo. Potrebbe ordinare l’estradizione immediata di Julian prima di un’istruzione ai sensi dell’articolo 39 o potrebbe decidere di ignorare una richiesta della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che consenta a Julian di essere ascoltato dal tribunale.

La persecuzione di Julian, che dura da quasi 15 anni e che ha avuto pesanti ripercussioni sulla sua salute fisica e psicologica, si incentra sulla fattibilità della sua estradizione negli Stati Uniti, dove verrebbe processato sulla base di 17 presunti capi d’accusa previsti da una legge sullo spionaggio del 1917, con la possibilità di una condanna a 170 anni di detenzione.

Il “crimine” di Julian è quello di aver pubblicato nel 2010 documenti classificati, messaggi interni, rapporti e video del governo e delle forze armate statunitensi, forniti dalla whistleblower dell’esercito americano Chelsea Manning. Questo vasto materiale aveva rivelato massacri di civili, torture, assassinii, l’elenco dei detenuti di Guantanamo Bay e le condizioni a cui erano sottoposti, nonché le regole di ingaggio in Iraq. I responsabili di questi crimini – compresi gli elicotteristi statunitensi che avevano ucciso a colpi di mitragliatrice due giornalisti della Reuters e altri 10 civili e ferito gravemente due bambini, tutti ripresi nel video Collateral Murder – non erano mai stati perseguiti.

Julian ha rivelato ciò che l’impero statunitense cerca di cancellare dalla storia.

La persecuzione di Julian è un messaggio inquietante per tutti noi. Sfidate l’impero statunitense, denunciate i suoi crimini e, non importa chi siate, da quale Paese proveniate o dove viviate, sarete braccati e portati negli Stati Uniti per trascorrere il resto della vostra vita in uno dei sistemi carcerari più duri del mondo. Se Julian sarà giudicato colpevole, significherà la morte del giornalismo investigativo e la possibilità di indagare sui meccanismi interni del potere statale. Possedere, e ancor meno pubblicare, materiale classificato – come avevo fatto quando ero un reporter del New York Times – sarà criminalizzato. Questo è il punto, compreso dal New York Times, Der Spiegel, Le Monde, El País e The Guardian, che hanno pubblicato una lettera congiunta per chiedere agli Stati Uniti di ritirare le accuse contro di lui.

Giovedi scorso, il primo ministro australiano Anthony Albanese e altri legislatori federali hanno votato affinché gli Stati Uniti e la Gran Bretagna pongano fine all’incarcerazione di Julian, osservando che essa deriva dal fatto che Assange “ha fatto il suo lavoro di giornalista” per rivelare le “prove di una cattiva condotta da parte degli Stati Uniti”.

Il caso legale contro Julian, di cui mi sono occupato fin dall’inizio e di cui mi occuperò nuovamente a Londra questa settimana, ricorda stranamente Alice nel Paese delle Meraviglie, con giudici e avvocati che parlano in toni solenni di legge e giustizia mentre si fanno beffe dei principi più elementari delle libertà civili e della giurisprudenza.

Come possono andare avanti le udienze quando la UC Global, la società di sicurezza spagnola dell’ambasciata ecuadoriana dove Julian aveva trascorso sette anni da rifugiato, aveva trasmesso alla CIA le videoregistrazioni degli incontri tra Julian e i suoi avvocati, facendosi beffe del segreto professionale? Già solo per questo il caso avrebbe dovuto essere respinto dal tribunale.

Come aveva potuto il governo ecuadoriano guidato da Lenin Moreno violare il diritto internazionale revocando lo status di richiedente asilo di Julian e permettendo alla polizia metropolitana di Londra di entrare nell’ambasciata ecuadoriana – territorio sovrano dell’Ecuador – e caricare Julian in un furgone della polizia?

Perché i tribunali hanno accettato l’accusa secondo cui Julian non sarebbe un giornalista legittimo?

Perché gli Stati Uniti e la Gran Bretagna hanno ignorato l’articolo 4 del Trattato sull’Estradizione che vieta l’estradizione per reati politici?

Come è stato possibile che il processo contro Julian andasse avanti dopo che il testimone chiave per gli Stati Uniti, Sigurdur Thordarson – un truffatore e pedofilo già condannato – aveva ammesso di aver inventato le accuse mosse contro Julian?

Come può Julian, un cittadino australiano, essere accusato ai sensi della legge sullo spionaggio degli Stati Uniti quando non si era occupato di spionaggio e non si trovava negli Stati Uniti quando aveva ricevuto i documenti trapelati?

Perché i tribunali britannici permettono l’estradizione di Julian negli Stati Uniti quando la CIA – oltre a mettere Julian sotto sorveglianza video  24 ore su 24 mentre si trovava nell’ambasciata ecuadoriana – aveva preso in considerazione l’idea di rapirlo e assassinarlo, con piani che includevano una possibile sparatoria per le strade di Londra e il coinvolgimento della Polizia Metropolitana?

Come si può condannare Julian come editore visto che non aveva ottenuto e diffuso, come Daniel Ellsberg, i documenti riservati che aveva pubblicato?

Perché il governo statunitense non accusa di spionaggio l’editore del New York Times o del Guardian per aver pubblicato lo stesso materiale trapelato in collaborazione con WikiLeaks?

Perché Julian è tenuto in isolamento in un carcere di massima sicurezza senza processo da quasi cinque anni, quando il suo unico vero reato era stato l’aver violato le condizioni di libertà provvisoria quando aveva chiesto asilo all’ambasciata ecuadoriana? Normalmente questo comporterebbe una multa.

Perché gli è stata negata la libertà su cauzione dopo essere stato internato nella prigione di Belmarsh?

Se Julian verrà estradato, il suo linciaggio giudiziario sarà ancora peggiore. La sua difesa sarà ostacolata dalle leggi statunitensi sull’antiterrorismo, tra cui l’Espionage Act e le Special Administrative Measures (SAM). Continuerà a non poter parlare al pubblico – se non in rare occasioni – e non potrà essere rilasciato su cauzione. Sarà processato presso la Corte distrettuale degli Stati Uniti per il Distretto orientale della Virginia, dove la maggior parte dei casi di spionaggio vengono vinti dal governo degli Stati Uniti. Il fatto che le giurie siano composte in gran parte da persone che lavorano o hanno amici e parenti che lavorano per la CIA e per le altre agenzie di sicurezza nazionale che hanno sede non lontano dal tribunale, contribuisce senza dubbio a questa serie di decisioni giudiziarie.

I tribunali britannici, fin dall’inizio, hanno reso il caso notoriamente difficile da seguire, limitando fortemente i posti in aula, fornendo collegamenti video che si sono rivelati difettosi e, nel caso dell’udienza di questa settimana, vietando a chiunque al di fuori dell’Inghilterra e del Galles, compresi i giornalisti che avevano precedentemente coperto le udienze, di assistere a quello che dovrebbe essere un procedimento pubblico.

Come al solito, non siamo informati sugli orari e sulle tempistiche. La Corte prenderà una decisione al termine dei due giorni di udienza del 20 e 21 febbraio? O aspetterà settimane, o addirittura mesi, per emettere una sentenza, come aveva fatto in precedenza? Permetterà alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di esaminare il caso o spedirà immediatamente Julian negli Stati Uniti? Dubito che l’Alta Corte passi il caso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, dato che il ramo parlamentare del Consiglio d’Europa, che aveva creato la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, insieme al suo Commissario per i diritti umani, si oppone alla “detenzione, all’estradizione e al procedimento giudiziario” di Julian perché rappresenta “un pericoloso precedente per i giornalisti”. Il tribunale onorerà la richiesta di Julian di essere presente all’udienza, o il giornalista sarà costretto a rimanere nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh a Thamesmead, nel sud-est di Londra, com’era già successo in passato? Nessuno è in grado di dircelo.

Nel gennaio 2021 Julian era scampato all’estradizione quando la giudice distrettuale Vanessa Baraitser, della Westminster Magistrates’ Court, aveva rifiutato di autorizzare la richiesta di estradizione. Nella sua sentenza di 132 pagine, aveva ritenuto che ci fosse un “rischio sostanziale” che Julian si suicidasse a causa della gravità delle condizioni che avrebbe dovuto sopportare nel sistema carcerario statunitense. Ma c’era mancato poco. La giudice aveva infatti accettato tutte le accuse mosse dagli Stati Uniti contro Julian, ritenendole in buona fede. Aveva respinto le argomentazioni secondo cui il suo caso era di natura politica, che  negli Stati Uniti non avrebbe avuto un processo equo e che il suo processo fosse un attacco alla libertà di stampa.

La decisione della Baraitser era stata ribaltata dopo che il governo statunitense si era appellato all’Alta Corte di Londra. Sebbene l’Alta Corte avesse accettato le conclusioni della Baraitser sul “rischio sostanziale” di suicidio di Julian se fosse stato sottoposto a determinate condizioni all’interno di un carcere statunitense, aveva anche accettato quattro assicurazioni contenute nella Nota diplomatica statunitense n. 74, consegnata alla corte nel febbraio 2021, che promettevano che Julian sarebbe stato trattato bene.

Nella nota diplomatica il governo statunitense affermava che le sue assicurazioni “rispondono interamente alle preoccupazioni che hanno indotto la giudice [del tribunale di primo grado] a scagionare il signor Assange”. Le “garanzie” affermavano che Julian non sarebbe stato sottoposto a Misure Amministrative Speciali (SAM). Promettevano che Julian, cittadino australiano, avrebbe potuto scontare la pena in Australia se il governo australiano avesse chiesto la sua estradizione. Promettevano che avrebbe ricevuto un’adeguata assistenza clinica e psicologica. Promettevano che, prima e dopo il processo, Julian non sarebbe stato detenuto nell’Administrative Maximum Facility (ADX) di Florence, Colorado.

Sembra rassicurante. Ma fa parte della cinica pantomima giudiziaria che caratterizza la persecuzione di Julian.

Nessuno viene detenuto prima del processo nell’ADX Florence. L’ADX Florence non è nemmeno l’unico carcere di massima sicurezza negli Stati Uniti in cui Julian potrebbe essere imprigionato. Potrebbe essere rinchiuso in una delle altre strutture simili a Guantanamo, in una Communications Management Unit (CMU). Le CMU sono unità altamente restrittive che replicano l’isolamento quasi totale imposto dalle SAM. Le “garanzie” non sono legalmente vincolanti. Tutte sono corredate da clausole di salvaguardia.

Se Julian dovesse ” dopo l’offerta di queste garanzie fare qualcosa che soddisfi i test per l’imposizione di SAM o la designazione ad ADX”, il tribunale ha ammesso che sarebbe soggetto a queste forme di controllo più severe. Se l’Australia non dovesse richiede l’estradizione, questo “non può essere motivo di critica nei confronti degli Stati Uniti, o una ragione per considerare le garanzie inadeguate a soddisfare le preoccupazioni del giudice”, si legge nella sentenza. E, anche se così non fosse, Julian impiegherebbe dai 10 ai 15 anni per appellarsi alla Corte Suprema degli Stati Uniti, un tempo più che sufficiente per distruggerlo psicologicamente e fisicamente. Amnesty International ha dichiarato che “le assicurazioni non valgono la carta su cui sono scritte”.

Gli avvocati di Julian cercheranno di convincere i due giudici dell’Alta Corte a concedergli il permesso di appellarsi ad una serie di argomentazioni contro l’estradizione che la giudice Baraitser aveva respinto nel gennaio 2021. I suoi avvocati, se il ricorso verrà accolto, sosterranno che perseguire Julian per la sua attività giornalistica rappresenta una “grave violazione” del suo diritto alla libertà di parola; che Julian viene perseguito per le sue opinioni politiche, cosa che il trattato di estradizione tra Regno Unito e Stati Uniti non consente; che Julian è accusato di “reati esclusivamente politici” e che il trattato di estradizione tra Regno Unito e Stati Uniti proibisce l’estradizione in tali circostanze; che Julian non dovrebbe essere estradato per affrontare un processo in cui l’Espionage Act “verrebbe esteso in modo imprevedibile e senza precedenti”; che le accuse potrebbero essere modificate e che Julian potrebbe essere condannato alla pena di morte e, infine, che Julian non riceverebbe un processo equo negli Stati Uniti.

Se l’Alta Corte concederà a Julian l’autorizzazione a presentare ricorso, sarà fissata un’ulteriore udienza durante la quale egli discuterà i motivi del ricorso. Se l’Alta Corte rifiuterà di concedere a Julian l’autorizzazione a presentare ricorso, l’unica opzione rimastagli sarà quella di appellarsi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Se non riuscirà a portare il suo caso davanti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, sarà estradato negli Stati Uniti.

La decisione di chiedere l’estradizione di Julian, contemplata dall’amministrazione Obama, era stata richiesta dall’amministrazione Trump dopo la pubblicazione da parte di WikiLeaks dei documenti noti come Vault 7, che avevano rivelato al pubblico i programmi di guerra informatica della CIA, tra cui quelli per monitorare e prendere il controllo di automobili, smart TV, web browser e dei sistemi operativi della maggior parte degli smartphone.

I vertici del Partito Democratico erano diventati assetati di sangue tanto quanto i Repubblicani dopo la pubblicazione da parte di WikiLeaks di decine di migliaia di e-mail appartenenti al Comitato Nazionale Democratico (DNC) e ad alti funzionari democratici, tra cui quelle di John Podesta, presidente della campagna elettorale di Hillary Clinton nelle elezioni presidenziali del 2016.

Le e-mail di Podesta avevano rivelato che la Clinton e altri membri dell’amministrazione Obama sapevano che l’Arabia Saudita e il Qatar – che avevano entrambi donato milioni di dollari alla Clinton Foundation – erano i principali finanziatori dello Stato Islamico in Iraq e in Siria. Queste e-mail contenevano le trascrizioni di tre conferenze private che la Clinton aveva tenuto per Goldman Sachs – per le quali era stata pagata 675.000 dollari – una somma così grande che può essere considerata solo una tangente. Nelle e-mail la Clinton scriveva alle élite finanziarie di volere “commercio aperto e frontiere aperte” e che, secondo lei, i dirigenti di Wall Street erano nella posizione migliore per gestire l’economia, una dichiarazione che contraddiceva le sue promesse di riforma finanziaria fatte in campagna elettorale. Queste e-mail avevano messo in luce la strategia (da loro stessi definita da “pifferaio magico“) della campagna elettorale della Clinton, campagna che utilizzava i contatti con la stampa amica per influenzare le primarie repubblicane, “elevando” quelli che, secondo loro, erano i “candidati più estremi”, per garantire che Trump o Ted Cruz vincessero la nomination del loro partito. Avevano rivelato che, in un dibattito per le primarie, la Clinton conosceva in anticipo le domande che le sarebbero state poste. Le e-mail avevano anche rivelato che la Clinton era stata una delle artefici della guerra e della distruzione della Libia, una guerra che, secondo lei, avrebbe rafforzato le sue credenziali come candidata alla presidenza.

I giornalisti possono sostenere che queste informazioni, come i registri di guerra, avrebbero dovuto rimanere segrete. Ma, se acconsentono ad una cosa del genere, non possono definirsi giornalisti.

La leadership democratica, che aveva tentato di incolpare la Russia per la perdita delle elezioni a favore di Trump – in quello che era diventato noto come Russiagate – aveva sostenuto che le e-mail di Podesta e le fughe di notizie dal server del DNC erano da attribuirsi agli hacker del governo russo, anche se un’indagine condotta da Robert Mueller, l’ex direttore dell’FBI, “non aveva trovato prove sufficienti e ammissibili che WikiLeaks fosse a conoscenza di – o addirittura fosse intenzionalmente cieca a” qualsiasi presunto hackeraggio da parte dello Stato russo.

Julian è perseguitato perché ha fornito al pubblico le informazioni più importanti sui crimini e la mendacità del governo statunitense dai tempi della pubblicazione dei Pentagon Papers. Come tutti i grandi giornalisti, era apartitico. Il suo obiettivo era il potere.

Ha reso pubblica l’uccisione di quasi 700 civili che si erano avvicinati troppo ai convogli e ai posti di blocco statunitensi, tra cui donne incinte, ciechi e sordi e almeno 30 bambini.

Ha reso pubbliche le oltre 15.000 morti non dichiarate di civili iracheni e le torture e gli abusi su circa 800 uomini e ragazzi, di età compresa tra i 14 e gli 89 anni, nel campo di detenzione di Guantánamo Bay.

Ci ha mostrato che Hillary Clinton nel 2009 aveva ordinato ai diplomatici statunitensi di spiare il Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon e altri rappresentanti delle Nazioni Unite provenienti da Cina, Francia, Russia e Regno Unito, spionaggio che comprendeva l’ottenimento di DNA, scansioni dell’iride, impronte digitali e password personali.

Ha rivelato che Obama, Hillary Clinton e la CIA avevano appoggiato il colpo di Stato militare del giugno 2009 in Honduras, che aveva rovesciato il presidente democraticamente eletto Manuel Zelaya, sostituendolo con un regime militare assassino e corrotto.

Ha rivelato che gli Stati Uniti avevano lanciato in segreto attacchi con missili, bombe e droni nello Yemen, uccidendo decine di civili.

Nessun altro giornalista contemporaneo si è avvicinato alle sue rivelazioni.

Julian è il primo. Noi siamo i prossimi

Chris Hedges

Fonte: chrishedges.substack.com
Link: https://chrishedges.substack.com/p/assanges-final-appeal
18.02.2024
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

Chris Hedges è un giornalista vincitore del Premio Pulitzer, è stato corrispondente estero per 15 anni per il New York Times, periodo in cui è stato capo ufficio per il Medio Oriente e capo ufficio per i Balcani. In precedenza aveva lavorato all’estero per il Dallas Morning News, il Christian Science Monitor e la NPR. È il conduttore del programma “The Chris Hedges Report.”

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