DI PEPE ESCOBAR
Eccoci qua. È sicuramente storico. La diplomazia forse ha vinto. Nei termini del Nuovo Grande Gioco in Eurasia e le conseguenti scosse tettoniche che riorganizzano la zona, questo è epocale: l’Iran – supportato da Russia e Cina – ha finalmente, con successo, scoperto il lungo, tortuoso e durato 12 anni bluff degli atlanticisti riguardo le proprie “armi nucleari”.
Nella foto: Il presidente Usa Barack Obama e il vice Joe Biden dopo la dichiarazione alla Casa Bianca sull’accordo raggiunto a Vienna (afp)
Tutto ciò è accaduto solo perché l’amministrazione Obama ha bisogno di 1) almeno un successo di politica estera e 2) un modo per almeno provare ad influenzare la messa in opera del nuovo ordine geopolitico che ruoterà attorno all’Eurasia.
Eccolo – 159 pagine, il più dettagliate possibile – il Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA) [Piano onnicomprensivo di azione congiunta, NdT]: l’accordo tra i P5+1 e l’Iran sul nucleare. Come hanno dichiarato i diplomatici iraniani, il JCPOA sarà presentato al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, il quale adotterà la risoluzione entro 7/10 giorni, rendendolo un documento dalla valenza internazionale.
Il Ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif ha descritto l’accordo – significativamente – come una soluzione win-win di stampo Cinese. Ma non perfetta: “Credo che questo sia un momento storico. Stiamo raggiungendo un accordo che non è perfetto per nessuno, ma è ciò a cui siamo giunti. Oggi avrebbe potuto finire la speranza, invece ne stiamo cominciando un nuovo capitolo”.
Zarif ha anche dovuto dire – correttamente – che questa è stata una soluzione lungimirante per evitare una “crisi non necessaria”: la politicizzazione – essenzialmente da parte degli USA – di un dossier tecnico-scientifico.
Il Ministro degli Esteri tedesco Steinmeier, dal canto suo, era euforico: “Una giornata storica! Ci lasciamo alle spalle 35 anni di incomunicabilità e 12 di pericoloso conflitto”
Guardando avanti il Presidente iraniano Hassan Rouhani ha twittato che ora ci potrà essere “attenzione ad obiettivi comuni” – riferendosi alla vera battaglia che la NATO e l’Iran dovrebbero intraprendere insieme: contro il finto Califfato dell’ISIS/ISIL/Daesh, la cui matrice ideologica è il wahabismo intollerante e i cui attacchi sono ugualmente indirizzati contro gli Sciiti e gli Occidentali.
Sempre sul pezzo il Presidente russo Vladimir Putin ha affermato che l’accordo contribuirà alla lotta al terrorismo in Medio Oriente, per non menzionare “il miglioramento alla sicurezza globale e regionale dato dal rafforzamento dell’accordo di non-proliferazione del nucleare” e – forse una speranza? – “la creazione in Medio Oriente di una zona libera da armi di distruzione di massa.
Il Ministro degli Esteri Russo Sergei Lavrov ha affermato che l’accordo “corrisponde a pieno” con i punti negoziali russi. Il fatto è che nessun accordo avrebbe potuto essere siglato senza il coinvolgimento della Russia – e l’amministrazione Obama lo sa bene (ma non può ammetterlo pubblicamente).
Il vero problema è iniziato quando Lavrov ha affermato che Mosca si aspetta la cancellazione del piano di difesa missilistica di Washington, dopo che l’accordo con l’Iran ha dimostrato che Teheran non è, e non sarà, una “minaccia” nucleare.
Ecco l’ostacolo. Il Pentagono semplicemente non vuole cancellare una parte della propria dottrina militare Full Spectrum Dominance a causa di banale “diplomazia”. Ogni analista di sicurezza non accecato dall’ideologia sa che la difesa missilistica non è mai stata rivolta all’Iran, ma alla Russia. L’ultima analisi militare del Pentagono menziona – non a caso – le maggiori figure asiatiche Iran, Russia e Cina come “minacce” alla sicurezza nazionale statunitense.
Dal punto di vista luminoso delle relazioni Iran-Russia. Il commercio è destinato ad aumentare, specialmente in nanotecnologie, componenti meccaniche e agricoltura. Sul fronte energetico, l’Iran sicuramente competerà con la Russia sui più importanti mercati come la Turchia e presto l’Europa occidentale, ma c’è ampio margine per Gazprom e la National Iranian Oil Company (NIOC) per spartirsi le quote di mercato. Il capo di NIOC Mohsen Qamsari anticipa che l’Iran darà priorità alle esportazioni verso l’Asia e proverà a recuperare almeno il 42% del mercato che aveva in Europa prima delle sanzioni.
Se paragonata a tutte queste prospettive edificanti, la reazione di Washington è stata piuttosto mediocre. Il Presidente Barack Obama ha preferito affermare – giustamente – che ogni percorso che portasse ad armi nucleari iraniane è stato impedito e ha promesso di porre il veto a qualsiasi intervento del Congresso atto a bloccare l’accordo. Quando ero a Vienna settimana scorsa ho avuto una conferma sicura – da fonte europea – che l’amministrazione Obama è fiduciosa di avere i voti necessari a Capitol Hill.
Cosa succederà a tutto quel greggio?
Tariq Rauf, ex capo delle Politiche per il Controllo e la Sicurezza dell’Ente Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA) ed ora direttore del Programma di Non Proliferazione e Disarmo all’Istituto di Ricerca Internazionale sulla Pace di Stoccolma (SIPRI), ha esultato definendo l’accordo come “il più importante accordo multilaterale sul nucleare degli ultimi vent’anni – l’ultimo accordo di questo calibro è stato il trattato che ha vietato i test nucleari del 1996”. Rauf ha anche suggerito che il Nobel per la Pace 2016 dovrebbe andare al Segretario di Stato John Kerry e al Ministro degli Esteri iraniano Zarif.
Ricostruire la fiducia tra Iran e USA, tuttavia, sarà una via lunga e pericolosa.
Teheran ha acconsentito a una moratoria di 15 anni per l’arricchimento dell’uranio oltre il 3.67%: significa che ha acconsentito a limitare la sua potenzialità di arricchimento di due terzi. Solo Natanz si occuperà dell’arricchimento e Fordo, in aggiunta, non stoccherà materiale fissile.
L’Iran ha acconsentito a stoccare non più di 300 Kg di uranio a basso arricchimento – una riduzione del 96% se confrontata con i livelli attuali. Il reattore di Arak verrà convertito e non sarà usato per la produzione di plutonio. Le scorie verranno gestite da un team internazionale.
L’IAEA e l’Iran hanno siglato una tabella di marcia a Teheran questo martedì, già definita la scorsa settimana a Vienna. Entro il 15 dicembre, tutte le questioni passate e presenti ancora in sospeso – si parla di 12 punti – andranno chiarite e l’IAEA farà una valutazione finale. L’accesso dell’IAEA alla base militare di Parchin – da sempre un punto caldo della contesa – fa parte di un accordo a latere.
Uno dei punti più spinosi di questi ultimi giorni a Vienna è stato risolto – quando Teheran ha permesso agli ispettori dell’ONU di visitare potenzialmente tutti i siti. Potrebbe obiettare solo ad una particolare visita. Una Commissione Congiunta – P5+1 e Iran – potrà superare qualsiasi obiezione con un semplice voto di maggioranza. Dopo di esso l’Iran ha 3 giorni per acconsentire – in caso il voto gli sia contrario. Non ci saranno ispettori statunitensi – ombre della corsa alla guerra contro l’Iraq – ma solo di nazioni con relazioni diplomatiche in atto con l’Iran.
L’implementazione dell’accordo richiederà almeno i prossimi 5 mesi. Le sanzioni verranno tolte solo all’inizio del 2016.
Cosa è certo è che l’Iran diventerà una calamita per gli investimenti esteri. Le più grandi multinazionali occidentali ed asiatiche sono già ai blocchi di partenza per iniziare a martellare questo mercato praticamente vergine con più di 70 milioni di abitanti, tra cui una classe dall’educazione molto valida. Ci sarà un boom in settori come l’elettronica, l’industria dell’auto e il turismo e il tempo libero.
Poi c’è, come al solito, il greggio. L’Iran ha ben 50 milioni di barili conservati in porto – pronti ad essere buttati sul mercato globale. Il cliente preferito sarà, inevitabilmente, la Cina – dato che l’occidente resta imbrigliata nella recessione. Il primo punto all’ordine del giorno iraniano è riacquisire le fette di mercato perse a vantaggio dei produttori del Golfo. Attualmente il trend dei prezzi del greggio è in discesa – quindi l’Iran non può contare su grandi profitti a medio-breve termine.
Ora ci sarà una vera guerra al terrore?
L’embargo convenzionale ai danni dell’Iran per quanto riguarda le armi resta in essere, per 5 anni. È assurdo, se paragonato ad Israele e alla Casa di Saud che continuano ad armarsi fino ai denti.
Lo scorso maggio il Congresso USA ha approvato un vendita di armi da 1.9 miliardi di dollari ad Israele. Essa comprende 50 bombe anti-bunker BLU-113 – per far cosa? Bombardare Natanz? – e 3.000 missili Hellfire. Per quanto riguarda l’Arabia Saudita, secondo il SIPRI, la Casa di Saud ha speso ben 80 miliardi di dollari in armi lo scorso anno: più del potenziale nucleare di Francia e Gran Bretagna. La Casa di Saud sta foraggiando una – illegale – guerra in Yemen.
Il Qatar non sta indietro di molto. Ha raggiunto un accordo da 11 miliardi di dollari per acquistare elicotteri Apache e sistemi di difesa missilistica Patriot ed ha in programma di comprare un sacco di caccia F-15.
Trita Parsi, Presidente del Consiglio Nazionale Statunitense-Iraniano, è andato dritto al punto “L’Arabia Saudita spende per la difesa 13 volte l’Iran, ma in qualche modo l’Iran, e non l’Arabia Saudita, è visto dagli USA come un potenziale aggressore”.
Quindi, qualsiasi cosa succeda, aspettiamoci giorni duri. Due settimane fa, il Ministro degli Esteri Zafid ha detto ad un ristretto gruppo di giornalisti indipendenti a Vienna, tra i quali ero presente io, che le negoziazioni saranno un successo perché USA ed Iran si sono accordati sul “non umiliarsi a vicenda”. Ha affermato di aver pagato “un alto prezzo domestico per non incolpare gli Statunitensi” e ha elogiato Kerry come “un uomo ragionevole”. Ma era molto sospettoso dell’establishment USA, il quale in linea di massima, secondo le sue migliori informazioni, era fermamente intenzionato a non togliere le sanzioni.
Zarif ha anche elogiato l’idea russa che in seguito all’accordo, sarebbe ora di creare una vera coalizione contro il terrorismo, unendo Stati Uniti, Iran, Russia, Cina ed Europa – anche se Putin e Obama hanno acconsentito a lavorare insieme per “questioni regionali”. La diplomazia iraniana dava segnali del fatto che l’amministrazione Obama si è finalmente resa conto che l’alternativa ad Assad in Siria è l’ISIS/ISIL/Daesh, non il “libero” esercito siriano.
Un tale grado di collaborazione, post-Muro della Diffidenza, deve ancora essere visto. Allora sarà veramente possibile valutare chiaramente se l’amministrazione Obama avrà preso una decisione strategica e se la “normalizzazione” delle relazioni con l’Iran comporti più di quanto non stia alla luce del sole.
Pepe Escobar è autore di Globalistan: How the Globalized World is Dissolving into Liquid War (Nimble Books, 2007), Red Zone Blues: a snapshot of Baghdad during the surge (Nimble Books, 2007), e Obama does Globalistan (Nimble Books, 2009). Può essere contattato a [email protected].
Fonte: http://atimes.com
Link: http://atimes.com/2015/07/historic-iran-nuke-deal-resets-eurasias-great-game-escobar/
14.07.2015
Il testo di questo articolo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali, citando la fonte comedonchisciotte.org e l’autore della traduzione FA RANCO