Lettera da Tehran: Trump ‘il bazaari’

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Il Parlamento iraniano ha appena ospitato la conferenza annuale sulla Palestina e, tra i dignitari – tra cui il leader supremo iraniano Ayatollah Khamenei e il Presidente Hassan Rouhani – c’erano anche 700 ospiti stranieri provenienti da più di 50 paesi, per Asia Times  c’era Pepe Escobar.

DI PEPE ESCOBAR

atimes.com

L’arte del negoziato, quando si pratica da 2500 anni, conduce al palazzo della saggezza. Avevo appena messo piede a Teheran, quando un diplomatico ha dato la notizia: “Trump? Non siamo preoccupati. E’ un bazaari”. Bazaari è una parola che, in lingua persiana, significa Mercante di Classe o, più letteralmente, uno che lavora nel bazar e usare un termine del genere significa che – prima o poi – un qualche accordo politico, con lui, si deve raggiungere.

La risposta del governo iraniano all’amministrazione Trump si riduce a una variante di Sun Tzu; il silenzio, soprattutto dopo le dimissioni di Flynn, che aveva “messo l’Iran in preallerta” dopo aver effettuato un test con i missili balistici, e che aveva promosso l’idea di un’alleanza militare anti-iraniana comprendente Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto e Giordania. Teheran dice che il test missilistico non ha violato le disposizioni dell’accordo nucleare iraniano e che le esercitazioni navali dallo Stretto di Hormuz verso l’Oceano Indiano, cominciate domenica scorsa, erano state pianificate con largo anticipo.

Sono andato a Teheran come diverse altre centinaia di ospiti stranieri, tra cui un piccolo gruppo di giornalisti stranieri, ospite del Majlis (il Parlamento) per una conferenza annuale sulla questione palestinese.

Khamenei ha proclamato che “le crisi esistenti in ogni parte della regione e la ummah islamica meritano attenzione”, ma ha insistito che la questione chiave rimane la Palestina. La conferenza, ha detto, potrebbe diventare “un modello per tutti i musulmani e per le nazioni della regione per smussare poco a poco le loro differenze, partendo dai loro punti comuni”.

Quella di Khamenei è stata una chiamata importante all’unità musulmana. Pochi  sanno, in Occidente, che durante la rapida decolonizzazione degli anni ’40 e ’50, il mondo musulmano non era lacerato da un odio malvagio tra sunniti e sciiti – odio che poi fu fomentato dall’asse wahhabita / salafita-jihadista. La  Casa di Saud, wahhabita, per inciso, non si è nemmeno vista in questa conferenza.

Discussioni vigorose con analisti e diplomatici iraniani hanno dibattuto sulla maggior efficacia di discussioni multilaterali rispetto a confronti sul terreno – che vanno dalla costruzione di nuovi insediamenti in Cisgiordania al mito (di Oslo) tutt’altro che morto e sepolto della divisione in due stati.

Sulla Palestina, ho chiesto a Naim Qassem, Vice Segretario Generale di Hezbollah, cosa pensa del suggerimento dell’amministrazione Trump della soluzione di un solo stato. Ha risposto in francese: “Uno Stato significa guerra. Due stati significa pace, alle loro condizioni, che ci porteranno alla guerra.”

Come in quasi tutte le conferenze, quello che conta sono gli aspetti collaterali. Leonid Savin, analista geopolitico russo, ha affermato che lo spazio aereo russo è ormai quasi completamente chiuso dalle molteplici implementazioni del sistema di difesa dei missili  S-500, contro tutto quello che potrebbero scatenare gli Stati Uniti. Lo storico albanese, Olsi Jazexhi,  ha demolito la nuova polveriera dei Balcani. Muhammad Gul, figlio del defunto e compianto Gen. Hamid Gul, ha dettagliato i punti più delicati della politica estera del Pakistan e ha spiegato l’impulso alla costruzione di un corridoio economico Cina-Pakistan (CPEC).

Era invitata anche Pyong-yang. Il delegato della Corea del Nord ha prodotto un discorso sorprendente, in sostanza, ha sostenuto che la Palestina dovrebbe seguire il loro esempio, con tanto di “deterrente nucleare credibile”. Poi, nei corridoi ho salutato tutta la delegazione, che mi ha restituito il  saluto, ma non c’è stata nessuna possibilità di raccogliere indiscrezioni per andare oltre i punti oscuri che circondano l’assassinio di Kim Jong-nam.

Blake Archer Williams, alias Arash Darya-Bandari, il cui pseudonimo celebra la “tyger tyger burning bright” del maestro inglese, mi ha regalato una copia del  Credo della Foundations of Waliyic Islam (Lion of Najaf Publishers)- un’analisi di come la teologia sciita ha portato alla teoria del velayat-e faqih (le leggi del diritto), che sono  diventate il cuore della Repubblica islamica dell’Iran.

Ogni volta che torno a Teheran sono impressionato dalla sorprendente quantità di viali, dove si tengono delle serie discussioni intellettuali all’aperto. Mi torna sempre in mente Jalal Al-e Ahmad, figlio di un mullah nato nella parte povera del sud di Teheran, che tradusse Sartre e Camus e che ha scritto  Westoxification (1962) uno dei testi di riferimento.

Passò l’estate del 1965 a Harvard, nei seminari organizzati da Henry Kissinger e “appoggiati” dalla CIA.  Si dedicò allo sciismo solo verso la fine della sua vita. Furono le sue analisi, che spianarono la strada al sociologo Ali Shariati per quella specie di impollinazione che fece tra anti-colonialismo e concetto sciita della resistenza contro l’ingiustizia e che produsse una ideologia rivoluzionaria in grado di politicizzare tutte le classi medie iraniane e che portò alla rivoluzione islamica.

Questo è stato il sottofondo di profonde discussioni su come l’Iran (la resistenza contro l’ingiustizia), la Cina (il confucianesimo-remixato) e la Russia (l’Eur-asiatismo) stanno offrendo come alternative al Postilluminismo che trascende la democrazia liberale occidentale.

Ma alla fine tutto è rimasto inevitabilmente avvolto da un fantasma anti-intellettuale che aleggiava nella sala: Donald Trump (e questo anche prima che ricevesse la  lettera di Ahmadinejad).

Così ho fatto quello che faccio di solito prima di lasciare Teheran; sono andato al bazar,  passando da una moschea favolosa che sta proprio attaccata al bazaar – per riconciliarmi con l’arte della negoziazione, secondo gli usi persiani.

Questo mi ha portato a pensare a Mahmoud Asgari,  passando per Sameyi nel bazar di Tajrish e ad assorbirmi in una discussione approfondita sui punti più alti dei tappeti tribali del Sistan-Baluchistan di-prima della-Prima-guerra-mondiale  prodotti a Zahedan.  Il risultato finale è stato – che altro poteva essere? – una vendita win-win, bypassando il dollaro americano. E poi, l’argomento decisivo: “Quando vedi il tuo amico Trump, digli di venire qui e gli farò fare il miglior affare della sua vita”.

 

Pepe Escobar

Fonte : http://www.atimes.com

Link : http://www.atimes.com/article/letter-tehran-trump-bazaari-2//

1.03.2017

 

Il testo di questo articolo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali, citando la fonte comedonchisciotte.org e l’autore della traduzione Bosque Primario

 

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