L’Era Postqualcosa

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DI TONGUESSY

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Secondo la Treccani il prefisso post-, che deriva dal latino post (dopo, dietro) è un “prefisso di molte parole composte, derivate dal lat. o, più spesso, formate modernamente, nelle quali indica per lo più posteriorità nel tempo, col senso quindi di «poi, dopo, più tardi». [1]
Qualsiasi sia oggi il campo esplorato, ci ritroviamo sempre più spesso a dover fare i conti con quel prefisso.
La democrazia grazie a Colin Crouch è diventata postdemocrazia. Secondo le sue definizioni: “La democrazia sfida i privilegi di classe in nome delle classi subordinate; la postdemocrazia nega l’esistenza di entrambi, privilegi e subordinazione.” [2]
Se cioè nei tempi andati il significato di democrazia è quello che tutti noi conosciamo, nella postmodernità quella parola ha cambiato di significato grazie all’inevitabile prefisso.
Già, la postmodernità. Prima c’era la modernità e la relativa pletora di significati: ogni “cosa” ne aveva uno, ed era abbastanza preciso. Poi alla modernità è successo qualcosa. I tempi moderni sono finiti, con buona pace di Chaplin che ne aveva preconizzato la fine per sconforto e disillusione, ed al suo posto è subentrato qualcosa che non è più la modernità così come l’abbiamo conosciuta dagli studi umanistici e non.
Ah, l’umanesimo! Oggi si parla di postumanesimo che sarebbe secondo wiki “una corrente di pensiero che fa riferimento a diversi ambiti del sapere come la filosofia, l’informatica e particolarmente le biotecnologie che vengono concepite come in grado di trasformare fisicamente e mentalmente l’uomo in qualcosa di nuovo, un essere ibrido, umano e non umano.” [3] Ecco che si fa avanti l’ibridazione, concetto squisitamente postmoderno: se Nietzsche sperava nell’ Ubermansch (Oltreuomo), la postmodernità ci ha regalato il postumano in carne e silicio, cyborg mezzo filosofo e mezzo OGM.
Di sicuro in epoca postindustriale le vecchie denominazioni non sono più funzionali né alla narrazione corrente né a molte narrazioni alternative e, data la mancanza di riferimenti semantici adeguati, ci si deve accontentare di parole vecchie ed ormai senza significato preciso a cui si aggiunge un prefisso che ne garantisce solo la collocazione temporale. Che il significato di tali parole possa in qualche modo essere collegato a situazioni definite è ancora tutto da dimostrare. In realtà si tratta di approssimazioni, tentativi di dare un volto credibile ad una comunicazione ormai esangue, svilita da decenni di infamie pubblicitarie e menzogne sistematiche che hanno raso al suolo i presupposti stessi del logos. No logos, no party. Senza comunicazione non ci si diverte, le narrazioni sono viziate da un fastidio esistenziale di fondo. Il logos postmoderno dell’era postindustriale dipinge situazioni avvolte nella fitta nebbia della pseudalità: mancando l’originale, ormai sepolto da cicli di maccartismo comunicativo, ci si accontenta di simulacri.

La postdemocrazia nasce dal pseudalesimo, il regno dell’approssimato. Il prefisso post indica una evanescenza semantica unita all’impossibilità di formulare nuovi vocaboli e vocabolari che siano all’altezza della situazione. Non vanno bene quelli vecchi e crearne di nuovi è impensabile.
Questo succede perché è svanito tutto quello che riguarda la modernità e non è ancora apparso qualcosa in grado di sostituirla degnamente. Certo, la cibernetica, l’intelligenza artificiale, il DNA modificato, le nanotecnologie….tutte cose interessanti ma sparate lì per caso, frutto della parcellizzazione delle conoscenze. Ognuno coltiva nel proprio orticello specialità uniche, meraviglie dotate di fantascientifici effetti speciali. Ma sono tutti programmi senza un impianto organico, realizzazioni senza un disegno globale, progetti che possono solo essere postqualcosa.
Si parla così di postcomunismo intendendo il nuovo corso dalla balcanizzazione politica: tra 1999 e 2004 Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Ungheria passano dal Patto di Varsavia alla NATO in funzione antirussa, dando parallelamente vita a quell’accozzaglia di risentimenti che è l’Unione Europea.
Se alla base del sogno modernista c’era un impegno democraticamente condiviso da tutte le forze per realizzare un sogno comune, una volta esaurito per disillusione (ma più facilmente per infamia) quel sogno ci si ritrova incapaci di proseguire con i precedenti impegni e al tempo stesso incapaci di formulare nuovi orizzonti. Senza progetti condivisi la postmodernità vaga alla disperata ricerca di sé stessa.
La realtà stessa si manifesta con varianti postumane, incrociata com’è alla radice con il virtuale.
“La violenza dell’immagine (e, in generale dell’informazione o del virtuale) consiste nel far sparire il Reale.”[4]
“In randomness we trust” (abbiamo fede cieca nel casuale) è la perfetta sintesi del post-reale. [5]
O almeno così la interpretano i sostenitori dell’AIM journal che attraverso il loro manifesto ci fanno sapere questo: Internet si sta evolvendo come una cultura, Internet rende sfocati i confini temporali, e i futuri di Internet sono imperfetti. Neanche il tempo si salva da questo relativismo dell’ultrarealtà totale, dove pullulano iper-realtà e realtà aumentate in un crescendo di virtualità che sempre più ci separa da ciò che per millenni è stato considerato “reale”. Al punto che oggi ci si chiede: come inventarsi ciò che accadrà (How to Invent What Happens Next)?
Dopo la sistematica distruzione del Tempo (né passato, né futuro, la fine della Storia), la gang del né-né si mette all’affannosa e patetica ricerca di significati che il postumanesimo ha ormai legato alla tecnologia, machina ex deus del postmoderno ateo ed apolide. Come correttamente sottolineava Baudrillard: “Se potessimo dimostrare il passato, avremmo ancora dei diritti sul futuro”. Il futuro, se deve esistere oggi, è virtuale dato che non ha ormai più nulla da spartire con il passato; non è la sua naturale conseguenza, ma una creazione virtuale ex novo. E’ una forma di rendering digitale, è il frutto della distruzione delle ideologie e, con esse, del Tempo. Il futuro è portatore di post-verità.

Post-truth è la parola dell’anno 2016 scelta dall’Oxford English Dictionary, e “indica quella condizione secondo cui, in una discussione relativa a un fatto o una notizia, la verità viene considerata una questione di secondaria importanza.” (wiki)[6]
“L’importante è che se ne parli”, diceva Oscar Wilde non immaginando fino a che punto l’annichilimento semantico postmoderno sarebbe potuto arrivare. Esistono oggi fatti e situazioni verificabili e fatti e situazioni che è presuntuoso verificare. Il che è precisamente la filosofia dei media: non sono chiamati a rendere noti episodi acclarati, ma a reinterpretare secondo modelli prestabiliti fatti che possono essere avvenuti come no. Il trionfo del virtuale, del post-tutto attraverso la polverizzazione del Logos e la mitizzazione di Matrix. L’universo dei simulacri ha ormai riscritto i dieci comandamenti.
Moritz Schlick, fondatore del positivismo logico, ed il Circolo di Vienna tutto con il Manifesto Antimetafisico si erano impegnati a dare vita al verificazionismo. “Il principio di verificazione è un criterio di significato secondo il quale una proposizione ha significato se, e solo se, è verificabile”.[7]
In quei giorni stava salendo al potere Hitler, che di significati non verificabili (Meine Ehre heißt Treue) aveva riempito il suo paniere. Uno studente nazista lo affrontò contestandogli le tesi espresse in un saggio e subito dopo gli sparò uccidendolo. Il verificazionismo ebbe così la conferma che la metafisica ha argomenti indiscutibili. Oggi siamo messi molto peggio di quel Giugno 1936: la post-verità non è l’arma di un manipolo ben organizzato di esaltati, ma lo status quo di una società votata al virtuale dove l’apparenza, la narrazione ex post, ha preso il posto del verificabile. Ai ragazzotti del How to Invent What Happens Next non potrà mai succedere qualcosa, perché nell’universo virtuale, al contrario di quello fisico, esiste sempre un tasto di reset. In randomness we trust non spara ad un uomo, spara all’umanità intera. In questo universo di simulacri random non esiste neanche l’onestà di anteporre il prefisso “pseudo” al posto di “post”, dato che “onestà” è una verità verificabile, e ciò che è verificabile, come abbiamo visto, non rappresenta alcunché. Né “verità” significa ormai qualcosa, sostituita com’è stata dalla post-verità. Qui manca proprio tutto. La vita del nuovo millennio si svolge all’insegna del post-qualcosa. O forse del pseudo-tutto. Scopriamo così di vivere in una società forse democratica dove industrie e salari hanno perso di significato, in tempi vagamente moderni dove la realtà è relativa ed eterea e siamo bombardati da una marea di notizie che hanno gran poco a che vedere con fatti verificabili.

“Ogni significato presuppone una profondità, una dimensione nascosta che l’uomo postmoderno (cioè noi) ignora, abituato com’è alla mancanza di significati per eccesso di significati stessi.“
Jean Baudrillard

 

TONGUESSY

Fonte: www.comedonchisciotte.org

6.01.2019

 

[1]http://www.treccani.it/vocabolario/post/
[2]Colin Crouch “Postedmocrazia” pag.61
[3]https://it.wikipedia.org/wiki/Postumanesimo
[4] Jean Baudrillard “L’agonia del potere” pg.39
[5]https://medium.com/iam-journal/post-reality-the-futures-of-media-virtual-reality-reality-186daccc5001
[6]https://it.wikipedia.org/wiki/Post-verit%C3%A0
[7]https://it.wikipedia.org/wiki/Moritz_Schlick

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