DI STEVE KEEN
rt.com
L’economia moderna è conformista e blanda come la musica country e western. I pensatori radicali cantano inascoltati il proprio blues.
Ho avuto un’illuminazione sul mio posto nell’universo, e lo devo alla Oxford Review of Economic Policy ed al suo numero speciale su “Ricostruire la teoria macroeconomica”. Mi sento come se fossi Elwood Blues e l’universo (o perlomeno la parte in cui abito) fosse il Bob’s Country Bunker.
A metà dei Blues Brothers, Jake Blues raggira la band e la fa esibire in un bar chiamato Bob’s Country Bunker. Quando il suo incredulo fratello, Elwood, chiede alla moglie del proprietario del bar “Che genere di musica fate di solito qui?”, lei risponde allegramente, “Oh, abbiamo sia country che western”.
Ecco, io sono un cantante blues e sono circondato da fan di country e western, altrimenti noti come economisti mainstream. Il loro spettro musicale spazia da Hank Williams a Dolly Parton, e se suonassi qualcosa fuori dello script, tipo Otis Redding o Muddy Waters, mi tirerebbero addosso delle bottiglie di birra. A volte, anche piene.
All’improvviso, tutto ha un senso.
Questa epifania è giunta, non come una rivelazione divina ma sotto forma di tweet, il 1° gennaio, quando la rivista ha pubblicizzato il suo numero speciale di prossima uscita.
Per festeggiare il nuovo anno, mancano solo quattro giorni all’uscita di Rebuilding Macroeconomic Theory, la nostra nuova grande edizione! Condividi e seguici qui su @OxrepJournal per averlo GRATIS e fresco di stampa il 5 gennaio pic.twitter.com/qUn1uskiRm
– Oxford Econ Policy (@OxrepJournal), 1° gennaio 2018
Establishment Only
Nel vedere il sommario, ho notato sùbito che non c’era “alcuno al di fuori del mainstream”. Non c’era Stephanie Kelton della Modern Monetary Theory né alcun economista dei sistemi complessi (come me).
Nessuno non mainstream qui.
– Steve Keen (@ProfSteveKeen) 4 gennaio 2018
Non c’era Marc Lavoie (il principale esponente di oggi dell’approccio del bilancio settoriale, che il defunto Wynne Godley aveva usato per avvertire che una crisi macroeconomica era inevitabile, ben prima di quella del 2008).
Ma come la moglie di Bob dietro il bancone, i redattori della rivista mi hanno assicurato che avrei trovato “una vasta gamma di punti di vista diversi ed innovativi sul fallimento del pensiero macroeconomico pre-crisi e sulle relative soluzioni!”.
Ok. Prendereste in considerazione la pubblicazione della mia critica?
– Steve Keen (@ProfSteveKeen) 4 gennaio 2018
Questo tweet ha un po’ perturbato tutto l’entusiasmo della signora del bar, che celebrava le virtù della musica country e western. A quanto pare, ha rivelato un livello simile di conoscenza dello spettro economico.
Certamente ci sono stati seri tentativi di affrontare il fallimento della macroeconomia mainstream nell’anticipare la crisi del 2008 e le sue conseguenze di stagnazione prolungata. Ma di tutti i paper, solo uno (scritto da Andy Haldane e Arthur Turrell della Banca d’Inghilterra, piuttosto che da un economista accademico) deviava fortemente dagli elementi centrali dell’approccio mainstream, che…
Whoa! Scusate, ho dovuto evitare una bottiglia di birra scagliatami contro. Un tizio in camicia a quadri (forse Simon Wren-Lewis, o Noah Smith) dice che sto facendo una caricatura del mainstream! Facciamo ogni genere di stramberie di questi giorni, dice: intuizioni dall’economia comportamentale, asimmetrie informative (non chiedete), comportamenti non massimizzanti il profitto.
Fede incondizionata
Replico con un riff blues: quel che pensi non sia mainstream è solo un fronzolo di contorno che avete messo, non avete cambiato gli accordi country e western di base. Non è neanche una Whitney Houston che dà un tocco di rhythm and blues a “I Will Always Love You” di Dolly Parton. Questa frase dall’introduzione al volume fa capire il mio punto:
Come già notato, riteniamo che i nostri collaboratori abbiano espresso quattro concetti chiave: la necessità di frizioni finanziarie nel modello, la necessità di allentare l’ipotesi di aspettative razionali, l’introduzione di agenti eterogenei ed il sostegno del modello con microfondazioni più appropriate (pagina 21).
Traducendo la prima e l’ultima frase, significano che:
• “(1) Continuiamo a credere che l’economia sia intrinsecamente stabile, ma il suo equilibrio può essere sconvolto da shock esterni; continuiamo a fingere che il settore finanziario sia al di fuori dell’economia, ma (piuttosto che fantasticare sul fatto che ha funzionato perfettamente e possa dunque essere ignorato, come eravamo abituati a fare) ora pensiamo che sia una delle cose che può rallentare la velocità con cui l’economia ritorna all’equilibrio dopo uno shock; e
• (4) La macroeconomia, la teoria di come l’economia opera a livello aggregato, deve ancora essere derivata dalla nostra teoria di come gli individui si comportano; abbiamo solo bisogno di considerare una gamma più ampia di modelli di comportamento” [non ho tradotto i punti (2) e (3) perché non voglio che vi appisoliate e facciate capire al vostro capo che state leggendo questo articolo invece di lavorare].
Questo è ancora ben all’interno della corrente mainstream dell’economia – e, a loro merito, gli editori ammettono che “non pensiamo debba esserci un cambiamento di paradigma” (pagina 4). Ma non si può escludere un cambiamento nella musica se si considera che qualsiasi cosa diversa da country e western non sia musica.
E scusate amici, ma c’è musica economica al di fuori del canzoniere di country neoclassico e western. Per suonare alcuni brani che “non siano una canzone di Hank Williams”, ci sono almeno altri tre approcci all’economia che avrebbero dovuto essere rappresentati in questo volume, se questo avesse veramente avuto contenuti “audaci e variegati”:
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• L’approccio della “Teoria Monetaria Moderna”, che parte dalla comprensione delle regole contabili, che consentono sia al governo che alle banche private di creare denaro, e che sostiene che il governo dovrebbe normalmente spendere più di quanto non tassi, poiché questo crea denaro fiat che è necessario se il settore privato vuole risparmiare denaro;
• L’approccio dei “Bilanci Settoriali”, che costruisce modelli macroeconomici degli stock e dei flussi di denaro e debito (e merci) nell’economia, e può utilizzarli – come fatto da Godley – per mettere in guardia contro le crisi finanziarie causate da squilibri settoriali; e
• L’approccio dei Sistemi Complessi all’economia, che è il mio, che fa derivare modelli macroeconomici direttamente dalla struttura dell’economia stessa; e si traduce in modelli che hanno equilibri instabili e possono soffrire di crisi deflazionistiche, come la Grande Depressione o la Grande Recessione del 2008.
Nessuno di questi approcci viene neanche menzionato in questo volume, tranne che nel suddetto paper di Haldane e Turrell. E neanche il lavoro di Hyman Minsky (ve lo ricordate?) – di nuovo, eccetto che nell’articolo della Bank of England. Tutti gli altri riferimenti a Minsky in questo volume sono per un articolo di Paul Krugman del 2012 che aveva Minsky nel titolo, ma non nel pensiero.
Una decina di anni fa, gli economisti mainstream facevano di tutto per far capire che stavano applicando le intuizioni di questo iconoclasta, che ripudiava il mainstream. Ora son tornati ad ignorarlo. Sfortunatamente per quelli di noi che vivono nel mondo reale, le aspre osservazioni di Minsky sul mainstream economico del 1982 si applicano altrettanto energicamente alle “coraggiose e varie” canzoni country e western del Bob’s Country Bunker che è il dipartimento di economia accademica medio:
L’instabilità è una caratteristica osservata della nostra economia. Perché una teoria sia utile come guida per le politiche di controllo dell’instabilità, la teoria deve mostrare come essa nasca. Il modello astratto della sintesi neoclassica non può generare instabilità. Quando viene costruita la sintesi neoclassica, tutti i beni capitali, gli accordi di finanziamento che ruotano attorno alle banche ed alla creazione di denaro, i vincoli imposti dalle passività ed i problemi associati alla conoscenza di futuri incerti sono tutti assunti. Affinché economisti e politici facciano meglio, dobbiamo abbandonare la sintesi neoclassica (Minsky 1982, p. xx).
Quindi continuerò a cantare il blues di Minsky e dei Sistemi Complessi, ma mi rifiuto di cantarlo nelle bettole di country e western che sono diventati i moderni dipartimenti di economia universitaria. Non ha proprio senso tentare di convincerli che esistono altre forme di musica economica, figurarsi se del fatto che dovrebbero essere sviluppate nel nuovo paradigma di cui l’economia ha disperatamente bisogno.
Come solo la canzone di Haldane e Turrell indica in questo album neoclassico, gli unici sforzi concertati per sviluppare un paradigma genuinamente nuovo in economia provengono da Banche Centrali e Tesori che, a differenza degli economisti accademici, devono occasionalmente rispondere di aver scelto la musica sbagliata nel bar del mondo reale.
Ora, dove ho messo i miei occhiali da sole?
Steve Keen
Fonte: www.rt.com
Link: https://www.rt.com/op-edge/415723-blues-economists-economics-crisis/
12.01.2018
Traduzione per comedonchisciotte.org a cura di HMG