La Scienza in Italia al tempo del Covid

Intervista al prof. Paolo Bellavite

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di Costantino Ceoldo
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La Scienza (con la S maiuscola!) è tale quando idee e opinioni contrapposte possono circolare dando vita ad un dibattito alla luce del metodo scientifico. Dovrebbero essere cioè i dati e la loro analisi spassionate, scevre da ideologie e visioni fanatiche o a pagamento, a stabilire la correttezza di una teoria, l’esattezza di un approccio o di un particolare paradigma.

Tuttavia, in questi nostri giorni covidiani, abbiamo tutti assistito alla messa in disparte dei metodi e dei tempi usuali della Scienza in favore di una visione isterica centrata sul dio vaccino, unico salvatore di un’umanità che soffre a causa di una malattia, la Sars-Cov 2, sicuramente nuova ma che non è ingestibile con i farmaci già a disposizione da anni.

Il dio vaccino ha generato subito il suo piccolo ma agguerrito numero di grandi sacerdoti, medici sconosciuti al grande pubblico pre-covid che sono però diventati in breve tempo delle vere e proprie rockstar della medicina, saturando con la loro presenza i media mainstream e i social network. Il dubbio che ci sia un gigantesco giro di soldi dietro a tutto questo è lecito, visti certi eventi passati, ma sembra che nessuno sia per il momento interessato all’argomento, neanche la magistratura italiana.

Chi ha cercato di portare il discorso su binari di ragionevolezza scientifica è finito all’indice, colpevolizzato, rischiando di diventare un paria tra amici e colleghi. È il caso di Paolo Bellavite, che ha osato esprimere pubblicamente le sue opinioni di scienziato ed è stato fatto oggetto subito dello stesso “protocollo” che non ha risparmiato neanche premi Nobel come il francese Luc Montagnier.

Dal momento che anche noi ci sediamo dalla parte del torto quando tutti i posti migliori sono già occupati, ho pensato di porre alcune domande al professor Bellavite.

Lei ha partecipato a una trasmissione televisiva e ha espresso il suo punto di vista sui vaccini anticovid. Perché proprio lei è stato contattato e poi che cosa è successo durante la trasmissione?
Penso che i giornalisti de La7 mi abbiano contattato perché sono esperto di farmacovigilanza, avendo pubblicato vari articoli su riviste internazionali accreditate. Durante la trasmissione, il conduttore Giovanni Floris1 mi ha chiesto: “Professore buonasera. Senta, alcuni italiani hanno dubbi sui vaccini e temono che facciano male. Hanno ragione?” Ho risposto che “credo che abbiano ragione, in un certo senso”. Ho poi spiegato in che senso: “Non abbiamo molte certezze sulla vera relazione tra il beneficio di una certa protezione e il rischio. Ho detto che siamo ancora in una sperimentazione di fase 2/3 che finirà nel 2022 o 2023 a seconda dei vaccini e che la sperimentazione di fase 4, quella “post marketing”, è in piena attività, ma viene fatta male”. Senza paura di poter essere smentito (avendo studiato a fondo l’argomento) ho detto che i dati sull’incidenza degli effetti avversi non sono affidabili perché basati sulla sorveglianza “passiva” o “spontanea”, ovvero quella per cui viene segnalato un caso di reazioni avverse soltanto se viene preso in mano da qualcuno, che si occupa poi di inserirlo nei database dell’AIFA. E questo sappiamo per certo che è un sistema inefficace. Come esempio, ho citato il rapporto AIFA che in maggio riferiva 40 casi di reazioni avverse gravi ogni 100.000 dosi iniettate. In realtà, negli studi di farmacovigilanza “attiva” si parlava di qualcosa come il 4% di reazioni gravi dopo la seconda dose di vaccino. Questo significa non 40 casi su 100.000, ma 4.000 su 100.000, 40.000 reazioni avverse gravi su milione di dosi (e ogni persona di solito fa due dosi). Infine Floris mi chiese: “Professore, mi faccia sapere se lei consiglierebbe di vaccinarsi a un ottantenne e a un quarantenne” e io ho risposto: “A un ottantenne direi di si. Per quanto riguarda le persone sotto i cinquant’anni, questo dipende molto da che mestiere fanno e se sono portatrici di altre patologie. Direi che la cosa più importante sarebbe che si possa avere una valutazione libera da parte del medico curante, senza pressioni, senza condizionamenti”.

Perché l’Università di Verona l’ha allontanata quasi subito dopo? Lei era già in pensione ma vi lavorava ancora come cultore della materia. Ora non più…
Effettivamente sono andato in pensione nel giugno 2017 ma ho continuato a lavorare nella ricerca di laboratorio in Università (Dipartimento di Medicina, sezione di Patologia Generale) come “Cultore della Materia”, un titolo che viene assegnato spesso ai professori in pensione che continuano il rapporto (volontario e a costo zero) con l’ateneo. Negli ultimi anni ho diretto un programma di ricerca sull’effetto di medicinali naturali sull’espressione genica di cellule bronchiali in vitro. In quattro anni ho pubblicato più di 20 lavori scientifici col nome dell’Università di Verona. Subito dopo la trasmissione di La7, il Rettore senza consultarmi ha emesso un comunicato, inviato agli organi di stampa e a tutti gli studenti per e-mail, prendendo le distanze dalle mie affermazioni e sostenendo che il sottoscritto “non risulta avere alcuna collaborazione attiva con nostri gruppi di ricerca, tantomeno in ambito COVID-19”. Ma tale affermazione non è corretta, non solo perché negli ultimi quattro anni ho lavorato in un importante programma di ricerca con fondi americani da me procurati all’Università, ma anche perché tra i diversi argomenti di cui mi sono occupato c’è proprio il COVID-19, su cui ho già pubblicato lavori nella letteratura scientifica internazionale, precisamente sul potere antivirus dei flavonoidi2 e sui meccanismi dei danni cardiovascolari dei vaccini anti-COVID-193. Con quest’ultimo lavoro, anticipato a AIFA e EMA (Ente Europeo dei Medicinali) sono stato il primo in Italia a segnalare come il virus e anche i vaccini anticovid possano causare trombosi e forti sbalzi della pressione arteriosa. Il mio allontanamento è stato poi deliberato dal Dipartimento di Medicina in data 17 maggio (quindi nel giro di dieci giorni) senza consultarmi e la decisione mi è stata comunicata il 6 giugno, sostenendo che le posizioni espresse dal prof. Bellavite non sarebbero “compatibili con l’attuale indirizzo scientifico del Dipartimento”. Ho quindi chiesto al Direttore quale sarebbe l’“indirizzo scientifico” con cui le mie posizioni non sarebbero compatibili ma finora non ho avuto risposte.

Ha ricevuto la solidarietà di qualcuno dei suoi colleghi?
Alcuni sì, rappresentanti certo di una “minoranza qualificata”, comunque sufficienti a rincuorarmi. In biologia e viepiù in genetica, non conta la quantità ma la qualità.

Dal suo punto di vista di medico e esperto di patologia generale, quali sono gli errori commessi nella gestione dell’epidemia dagli ultimi due governi della Repubblica italiana?
Premetto che è facile vedere gli errori a posteriori e che sono ben cosciente delle difficoltà iniziali, gli errori che a mio parere sono più evidenti sul piano medico-scientifico sono i seguenti. Purtroppo alcuni perdurano.
Il lock-down iniziale è stato necessario di fronte al “nemico” improvviso e sconosciuto per evitare il collasso degli ospedali. Però ritengo che vi si stato un certo ritardo, di un paio di settimane, prima di rendersi conto della gravità della malattia e velocità di diffusione dei contagi. Viceversa, quando in aprile si era già capito che il picco stava scendendo rapidamente, si è atteso un po’ troppo, fino ai primi di maggio, prima di “aprire” le attività con danno all’economia del Paese. In seguito, è perdurato l’atteggiamento di allarmismo e interventismo da parte del governo e di conseguenza dei politici di ogni orientamento, per volere sembrare “più rigorosi del re”. Un’epidemia, per l’incapacità di rispondere con cure adeguate e l’attesa del vaccino-salvatore, si è trasformata in una ossessione tale da rovinare l’economia, la vita della gente, i rapporti sociali, fino a mettere in crisi la stessa democrazia, come anche autorevoli osservatori di sinistra hanno finalmente cominciato a segnalare.
Un grave errore fu quello di “sconsigliare” l’esecuzione di autopsie, non giustificabile perché gli stessi anatomopatologi sanno che è possibile fare autopsie in sicurezza. Tale blocco diagnostico è costato un ritardo di parecchie settimane nella comprensione della patologia clinica della COVID-19. In particolare, si è continuato a pensare alla malattia come una sindrome respiratoria e tardato nel riconoscere le complicazioni vascolari dovute allo squilibrio del sistema renina-angiotensina ed eccesso di infiammazione. Alcuni medici in prima linea di Bergamo segnalarono ben presto (precisamente in Aprile 2020) che ottenevano ottimi risultati con la somministrazione di steroidi, ma il Ministero della Salute neppure rispose. Oggi gli steroidi sono considerati come farmaci efficaci nella cura dei pazienti COVID-19, non come primo approccio ma con sintomi respiratori gravi, proprio quello che quei medici segnalavano. Il sistema dei medici di Medicina Generale ha risposto male alle esigenze della popolazione, chiudendo gli ambulatori e non andando a visitare i malati a casa.

Gravissimo e degno di indagine della magistratura
è il caso delle linee terapeutiche emesse da AIFA
con una nota datata 9 dicembre 2020 che raccomandavano
solo “tachipirina e vigile attesa”
per il trattamento dei pazienti COVID-19.

Contro la linea AIFA si opposero i medici delle “terapie domiciliari” e quelli dell’associazione “Ippocrate” e ottennero ragione dal TAR (tribunale amministrativo regionale) del Lazio. Tuttavia, inspiegabilmente il Ministro della Salute ricorse contro tale sentenza al Consiglio di Stato, il quale il 22 aprile 2021 annullò il provvedimento del TAR. Il Ministero della Salute in data 26 aprile 2021 ha licenziato nuove indicazioni per la “Gestione domiciliare dei pazienti con infezione da SarS-CoV-2”, le quali non paiono superare in modo adeguato le criticità emerse in relazione alle precedenti raccomandazioni di AIFA. Alla luce delle attuali conoscenze, sta apparendo sempre più evidente come la “vigile attesa” e la “tachipirina” abbiano rappresentato una pessima gestione clinica e farmacologica di innumerevoli malati e siano probabilmente responsabili di un gran numero di ricoveri e decessi, che si sarebbero potuti evitare con cure più precoci e diverse.
In generale, è stato negativo l’ostruzionismo terapeutico delle autorità, che hanno concentrato tutte le attenzioni sulle campagne vaccinali. Coloro che gestiscono il SSN a livello centrale avrebbero potuto (e secondo me dovuto) lasciare piena libertà ai medici di consigliare sani stili di vita e prescrivere in scienza e coscienza farmaci, vitamine, minerali, integratori, complessi fitoterapici (molto usati in Cina), e via dicendo, anziché ostacolarli o addirittura vietarli. Nel contempo, avrebbero potuto e dovuto rendere disponibile, agli stessi medici, una specifica cartellina clinica elettronica, con cui riferire l’andamento clinico dei malati da loro trattati con i vari farmaci e nelle associazioni più diverse. In tal modo, in pochi mesi si sarebbero raccolti migliaia di casi e sarebbe stato possibile fare dei confronti statistici multivariati, per avere indicazioni sulle terapie più promettenti. Nulla di tutto questo è stato fatto e ancora non risulta sia fatto.

Potrebbe commentare la vicenda del plasma iperimmune come proposto dal povero Giuseppe De Donno? Vi era della validità scientifica e, se sì, quali ne erano i limiti?
La validità scientifica del plasma iperimmune esiste, perché gli anticorpi policlonali e le citochine del paziente guarito portano sicuramente giovamento ad alcuni pazienti selezionati da medici che sanno “maneggiare” bene questo presidio terapeutico. Credo che De Donno, la sua équipe e molte altre operanti in Italia abbiano salvato molti pazienti con questo approccio, fatto in assenza di altre terapie disponibili. Attorno alla vicenda si è costruita una stupida e colpevole “guerra di religione” quando invece è normale che in condizioni di urgenza si tenti tutto il possibile per salvare i pazienti. Altrettanto normale è che nessuna terapia sia esente da problemi e nessuna funzioni sempre. Si badi bene che questo vale anche per i monoclonali: non funzionano sempre e i pazienti devono essere adeguatamente selezionati e seguiti nel tempo. Quanto al povero De Donno, pur non conoscendo le cause che lo hanno spinto al gesto estremo e a prescindere dall’efficacia del metodo terapeutico cui è stato associato il suo nome, credo che abbia molto sofferto della pressione fino all’ostilità da parte di un “sistema” costituito dall’intreccio di politica, interessi farmaceutici e potere accademico, dal quale si sentiva estraneo.

Alcuni hanno la forte impressione che i metodi e i tempi usuali della Scienza siano stati accantonati a causa di una visione isterica ma anche economicamente orientata del problema COVID. È ragionevole questa idea o è solo pura e semplice immaginazione?
La visione “isterica” in un certo senso si poteva capire all’inizio, quando si conosceva poco la malattia. La velocità con cui si sono prodotti i cosiddetti vaccini è di per sé un fatto positivo, una grande conquista tecnologica. Anche il condizionamento da parte delle case farmaceutiche non deve scandalizzare. Quello che lascia perplessi non è tanto la velocità della messa a punto dei vaccini, né l’autorizzazione emergenziale, quanto l’inadeguatezza dei metodi di follow-up degli studi clinici sui vaccini. Sembra quasi che l’indubbia efficacia iniziale sia bastata a innescare una fiducia cieca, sottovalutando la parte che riguarda gli effetti collaterali. Mi riferisco agli studi di fase 2/3, che in pratica sono stati inficiati dal fatto che si è proceduto alla vaccinazione anche dei partecipanti al gruppo di controllo, ma anche agli studi di fase 4 (“post-marketing”) in cui sono eseguiti pochissimi studi di farmacovigilanza attiva. Questa mancanza è inspiegabile, se non con una scelta strategica di affidarsi alla vigilanza passiva o spontanea, che notoriamente sottovaluta il fenomeno delle reazioni avverse. Un altro segno della “isteria” perdurante sta nella volontà di inoculare fasce sempre più giovani di popolazione, vale a dire ragazzi e bambini che dal “vaccino” non traggono benefici superiori ai rischi, utilizzando il ricatto della scuola, del lavoro o della mobilità. Si tratta di una forma surrettizia di obbligo vaccinale, introdotta in pratica senza una legge, come prescriverebbe la Costituzione (art. 32). Altrettanto “inspiegabile” è la scelta di vaccinare anche chi ha già avuto la malattia, una procedura mai vista con altri vaccini che cozza contro ogni più elementare nozione di immunologia.

Quali potrebbero essere i limiti degli attuali vaccini anticovid? Parlarne sembra essere il tabù del secolo ma l’argomento è di una importanza fondamentale. Non Crede?
I limiti sono molteplici: per quanto riguarda la durata dell’immunizzazione, essa decade abbastanza rapidamente nel corso dei mesi, soprattutto in presenza di ceppi varianti, la cui diffusione è favorita dagli stessi vaccini “imperfetti”. Ciò porterà, com’era facilmente prevedibile, a continue inoculazioni. Il limite principale (dal mio punto di vista di patologo) sta nel fatto che la sostanza prodotta (la famosa “spike”) non è una sostanza inattivata o attenuata (come lo sono gli antigeni dei comuni vaccini), ma è una sostanza biologicamente attiva, simile a quella del virus selvaggio, che lega recettori, può sbilanciare la pressione e stimolare determinate funzioni cellulari come l’aggregazione piastrinica. Questo fatto spiega l’inusitata incidenza di reazioni gravi e di decessi, che non si era mai vista con gli altri vaccini. Purtroppo, la mancata consapevolezza di questo problema, che tende a essere censurato, porta a sbagliare le valutazioni della “correlazione” tra inoculazione e eventi aversi, errore favorito dalle stesse linee guida dell’OMS, come da me e altri dimostrato in tempi non sospetti. Ho segnalato questo problema all’AIFA e ai sistemi di farmacovigilanza, ma finora non ho avuto risposta. Infine, tra i limiti degli anti-COVID segnalo che se si dovesse ripetere più volte a distanza di mesi (esempio una volta l’anno o più), i ripetuti inoculi rappresenterebbero un motivo di stimolazione infiammatoria sistemica, con probabile aumento di incidenza e gravità delle malattie croniche non trasmissibili, in primis quelle cardiovascolari e quelle autoimmunitarie.

Cosa pensa del Green Pass? Teme per il futuro della nostra Repubblica?
Il pass (che chiamare “green” mi pare una trovata propagandistica) potrebbe essere utile in determinate circostanze in cui si verificasse il rischio di un affollamento in luoghi particolari (es. aeroplani, cinematografi) nel periodo di picco epidemico. Però esso potrebbe essere sostituito da un semplice responso di un tampone nasale o salivare, accompagnato da misura della temperatura e eventualmente un’autodichiarazione di essere in buono stato di salute e non aver avuto contatti con soggetti positivi. Invece il lasciapassare oggi sta diventando una forma di “pressione” fortissima a vaccinarsi, pena la perdita della vita sociale normale. Non sono io il primo che lo dice!

Lo slogan “il green pass ci ridarà la libertà” è falso e fuorviante,
perché la libertà non ce la ha tolta il virus ma il governo
e perché dal punto di vista tecnico il vaccino non garantisce
che tutti i possessori del QR-code siano sani.

Se il vaccino fosse efficace, sarebbe esso stesso che “dà la libertà” ai vaccinati, restando gli altri sottoposti ad un rischio personale liberamente accettato e variabile secondo il tipo di vita, l’età, il luogo e il periodo dell’anno. Invece, la tendenza all’estensione di questo sistema di controllo e tracciamento elettronico è tale che esso sta diventando sempre più un modo di schedare le persone capillarmente, prestandosi a gravi e inutili discriminazioni, a inevitabili abusi, alla faccia della privacy. Certo che il futuro della nostra Repubblica è oscuro se il governo continua a intervenire così pesantemente nelle scelte sulla salute ignorando l’articolo 32 della Costituzione, che ammette un obbligo di trattamento sanitario (e il ricatto non è altro che un obbligo surrettizio) solo se realmente necessario alla “collettività” (e non è il caso degli anti-COVID che proteggono il vaccinato ma non impediscono i contagi e l’insorgenza di varianti), se non causa gravi danni a chi è obbligato (vedi sopra) e infine se non viola “i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Vaccini sì, gratuiti per chi li necessita, obblighi no.

1. https://www.la7.it/dimartedi/video/vaccini-prof-bellavite-ha-ragione-chi-ha-paura-siamo-ancora-nella-fase-di-sperimentazione-finira-nel-04-05-2021-379290
2. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC7465267/
3. https://www.ecronicon.com/ecpt/ECPT-09-00592.php

Costantino Ceoldo

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