La Rivoluzione non è un pranzo di gala

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Di Glauco Benigni per ComedonChisciotte.org

 

‘Rivoluzione!’…questa ‘parolona’ mi ha cambiato la vita a 18 anni. Era il 1968 e a grande velocità quasi tutti attorno a me cominciarono a pronunciarla con una enorme disinvoltura…come se fosse una gita al mare, come se fosse ‘dietro l’angolo’, come se fosse ‘giusta e inevitabile’. Poi invece, lentamente, man mano che il livello di conoscenze e consapevolezza saliva nel corso del tempo, scoprii che non era proprio così. Le teorie rivoluzionarie erano (e restano) affascinanti ma i Rivoluzionari non erano sempre e solo degli eroi, dei patrioti duri e puri o dei saggi internazionalisti veggenti. Anzi: tutt’altro. Molti avevano adottato quel modo di essere e di pensare un po’ perchè i tempi erano favorevoli,  cioè per moda, e un po’ perchè speravano in un futuro migliore. Un futuro che prevedesse l’avverarsi di tanti slogan, tra cui uno tutt’ora attuale: “Fuori la Nato dall’Italia, fuori l’Italia dalla Nato“. Non tutti però, anzi pochi, erano disposti ai sacrifici che il ruolo di Combattente per la Libertà esigeva.  Si invocava la coerenza rivoluzionaria: un’attitudine rara e in gran parte sconosciuta sia dagli intellettuali ben pasciuti che da tanti operai sedotti in progress dal consumismo.

Leggendo Mao Tzedong venni a sapere che “La Rivoluzione non è un pranzo di gala“…”che dovevano scorrere fiumi di sangue“, che bisognava spararsi tra italiani: e questo confesso che mi  preoccupò. Poi incontrai altri che, citando Michail Bakunin, filosofo anarchico dell’800, mi dissero che la Rivoluzione “sarebbe stata una risata che avrebbe seppellito i padroni“: in tal modo la questione si alleggeriva di molto. Il tutto però non corrispondeva affatto alla realtà.

Fu così che, mossi dal vitalismo e dalla forza incessantre dell’utopia, trascorsero gli anni in cui i Rivoluzionari italiani lottavano al di fuori del Parlamento, divisi (ahimè come oggi) in decine di gruppi, partitini e movimenti e quindi indirizzati al futuro da troppi capetti, alcuni dei quali cercavano di imitare Robespierre, Lenin o Mao al variare delle circostanze. Qualcuno addirittura scimmiottava Stalin. Altri sognavano di emulare Che Guevara.

Comunque quella parola, quel mantra così enorme e prepotente, aveva cambiato la vita di una generazione, aveva spaccato molte famiglie, aveva prodotto anche decine di morti e aveva dato una ulteriore giustificazione al lavoro dei Servizi Segreti.

La parola, se pronunciata da sola però, non rendeva merito fino in fondo alla potenza evocatoria che rappresentava; bisognava infatti pronunciarla unitamente ad altre parole chiave quali: “dittatura del proletariato“, “controllo dei mezzi di produzione” e disinvoltamente associarla a “lotta armata” . Questa triade di concetti mi è ruotata nella testa per anni, dal tempo in cui frequentavo la Facoltà di Sociologia a Roma, agli inizi della mia carriera di giornalistica e prima ancora al tempo, in pieno maggio 1968, in cui avevo lasciato la scuola superiore per andare a perdermi nel mare di bandiere rosse che sventolavano a Parigi, tra anarchici sovversivi, marxisti leninisti ortodossi e situazionisti avventurieri.

A causa della voglia di Rivoluzione si susseguirono molte vicende, scontri e manifestazioni:  Valle Giulia, il 1976-77,  gli espropri proletari nei supermercati ma anche nelle botteghe degli armaioli, Giorgiana Masi, le Brigate Rosse probabilmente infiltrate e il surreale assassinio di Aldo Moro. A quel punto la parola Rivoluzione, intesa quale Rivoluzione Politica, divenne Tabù. Si svuotò della sua forza evocativa e, per lo meno tra gli italiani che l’avevano così sfrontatamente  pronunciata in continuazione,  divenne sinonimo di intollerabile violenza. Cominciò quindi un riflusso socio-enterico, che è tuttora in corso, durante il quale ‘Rivoluzione’ venne (ed è) usata per indicare grandi mutamenti culturali, industriali, tecnologici.

Oggi si parla molto di Rivoluzione Digitale, Finanziaria, Transumana e non più di Rivoluzione Politica.

L’idea e l’argomento ‘Rivoluzione’ (che sottintende ‘Politica’) è ovviamente sopravvissuta e trattata quasi come un reperto archeologico da storici e politologi. La parola è un significante molto complesso, che esprime un numero molto grande di significati, soprattutto se declinati nelle diverse stagioni della Storia e durante gli episodi grandiosi in cui El Pueblo ha tentato di emanciparsi dal controllo e dallo sfruttamento esercitato dalle Elites.

È banale ricordarlo, ma va detto, che in sostanza la parola Rivoluzione (Politica) è interpretabile.

Il sostantivo compare nel secolo XVI, a causa di Copernico, per descrivere il ciclico ed ordinato movimento dei cieli. Fu solo nel secolo successivo che esso venne usato con significato politico per indicare il ripristino di un ordine naturale violato dagli eccessi e dalle angherie di un regime dispotico. Da quel momento fior di accademici hanno pesato e valutato il concetto e hanno addirittura creato un arcipelago/gerarchia di parole che spazia da ‘rivolta’ a ‘insurrezione’ , da ‘guerra civile e di liberazione’ a ‘tumulto’ fino a ‘sollevazione popolare’. Tutte definizioni in cui ogni gradazione assume valore  al variare della intensità, del numero e del rango dei morti e della durata del periodo in cui gli Oppressi si organizzano e attaccano in modo evidente i propri Oppressori, fino a capovolgere l’assetto del potere che vigeva in quello spazio e in quel tempo.

E ancora qui si intrecciano parole e concetti. Con Oppressori si intende: dittatori, monarchi costituzionali o meno, viceré e governatori colonialisti, governi fantoccio e simili. E con Oppressi cosa intendiamo? Proletari industriali (se non altro da quando Marx ce li ha descritti), contadini, servi della gleba, diseredati, pezzenti, mendicanti, abitanti delle prime periferie metropolitane, soldati maltrattati e usati come carne da macello o a loro volta come strumento degli Oppressori.

Una domanda però, nel corso del tempo, si è fatta sempre più strada nella mia testa. Al dunque e alla luce delle analisi storiche meno conformiste che stanno circolando da qualche decennio: “Chi ha organizzato quelle che conosciamo come Rivoluzioni? Chi ha finanziato le Elites rivoluzionarie?” E qui purtroppo, più di una volta, casca l’asino e si scopre che la ‘formula Garibaldi’ usata dalla Massoneria inglese e francese, ovvero finanziare un Eroe mercenario popolare per innescare la rivolta di popolo, salvo poi ricondurre tutto sotto un nuovo controllo, purtroppo è una formula che è stata applicata qui e là più volte! Le ‘Rivoluzioni Colorate‘ in Georgia, Ucraina e Kirghizistan, orchestrate da Soros & Co., nonchè le Primavere Arabe, ad esempio, sono un fulgido esempio di ‘fake revolution‘.

Quindi: di quante ‘Rivoluzioni Politiche‘ moderne si può parlare nella storia del pianeta Terra? 7, 8, 10?

Cominciamo con la Rivoluzione Inglese (1642 – 1651) alla quale seguì la Gloriosa Rivoluzione (1688-1689), ambedue definite anche quali ‘Guerre Civili’; procediamo con la Rivoluzione Americana (1765 – 1783) che servì da apripista alla Guerra d’Indipendenza; e arriviamo a quella che è definita ‘Rivoluzione tout court‘ cioè la Rivoluzione Francese (1789 – 1799), che è quella che connota le vicende in questo modo: un periodo di sconvolgimento sociale, politico e culturale estremo, e prevalentemente violento.

Non sappiamo se accettare la definizione di Risorgimento (1848 – 1871) che qualche storico cita come Rivoluzione Italiana e arriviamo a un’altra imponente Rivoluzione, la Rivoluzione Russa o Bolscevica (1917 – 1921) anch’essa secondo alcuni storici definibile ‘Guerra Civile’. Da questo momento in poi l’Occidente non è più il luogo in cui si ambientano le Rivoluzioni, la scena si sposta in altri continenti.

Gli umani si trovano di fronte alla Rivoluzione Cinese (1945 – 1949) detta anche la ‘Seconda Guerra Civile Cinese’; seguita dalla Rivoluzione Cubana (1953 – 1959) che essendo un classico rovesciamento di Dittatore e del suo regime si definisce come la Francese una ‘Rivoluzione tout court‘. Possiamo concludere la lista con ancora due Rivoluzioni che sono di fatto Guerre di Liberazione: la Rivoluzione d’Agosto ( 14 agosto – 2 settembre 1945) come la autodefinirono i Vietnamiti e la Rivoluzione Algerina (1954 – 1962).

Ma cosa connota una Rivoluzione? Innanzi tutta la Violenza allo stato puro! Una Violenza che si autogiustifica in molti modi, che si contrappone alla violenza storica esercitata sugli Oppressi dagli Oppressori. Molti importanti autori e filosofi, tra cui Sofocle, Plutarco, Seneca e Platone si sono espressi a favore del Tirannicidio e del Diritto di Resistenza. Manegoldo di Lautenbach, un teologo medioevale, così sintetizza la questione:  «Poiché nessuno è in grado di farsi da sé solo imperatore, è chiaro che è il popolo a innalzare uno sopra tutti così che egli possa governare e reggere l’Impero con la giustizia (…) Agli imperatori e ai re che proteggono il regno si devono lealtà e rispetto, ma se essi si volgono all’esercizio della tirannide allora ogni obbedienza e rispetto vengono a mancare. Quando colui che è stato scelto per punire i malvagi diviene egli stesso malvagio e esercita con crudeltà contro i suoi sudditi la tirannide che aveva il compito di allontanare dal regno, è evidente che deve decadere dalla carica concessagli e che il popolo ha il diritto di liberarsi dal suo dominio: è il re divenuto tiranno il primo a rompere il patto. Nessuno può accusare il popolo visto che il re è stato il primo a tradire la fiducia pattuita».

Liberarsi dal suo dominio“…ovviamente al dunque ciò avviene con ‘violenza reciproca’ e pertanto è anche giusto meditare sulla bella frase di Mahatma Gandhi: “Occhio per occhio e tutti diventano ciechi“.

Questo vuol dire che bisogna escludere in assoluto le Rivoluzioni Politiche violente? La tendenza sembra essere questa ma purtroppo non c’è una bussola. Dipende dalle circostanze e da infinite variabili che si aggrovigliano tra loro.

Una questione che resta centrale e che le Rivoluzioni in generale non hanno saputo mantenere mai fino in fondo le loro promesse. Ciò è sicuramente dovuto a molti fattori, ma non bisogna sottovalutare che le Rivoluzioni Politiche Occidentali (Inglese, Americana, Francese, Italiana e Russa) avevano leadership proto-massoniche e para-massoniche, erano finanziate da ‘interessi esterni’ ai veri interessi del popolo e hanno promosso sostanzialmente due effetti:

  1. Il passaggio dalle monarchie assolute a regimi mercantili e commerciali;
  2. Il passaggio dal cristianesimo, che costituisce una delle maggiori rivoluzioni mai compiute, all’evoluzionismo laico, ateo e scientista.

In sostanza, con dei dovuti distinguo anche per quanto riguarda le Rivoluzioni ‘non Occidentali’, quelle che vanno dal 1650 al 1920, erano rivoluzioni innervate di valori borghesi che hanno utilizzato le masse operaie e contadine per raggiungere i loro obiettivi.

Considerazioni molto interessanti vanno fatte comunque circa gli effetti che la Rivoluzione ha provocato sull’anima collettiva e sulla poesia proletaria e non.

La Cultura Rivoluzionaria ha sempre prodotto indimenticabili canzoni, musiche e poesie nelle quali il sogno della liberazione dallo sfruttamento e l’utopia del capovolgimento della piramide gerarchica, assumevano contorni di probabile realtà e ovviamente fungevano da sprone dall’inizio del processo rivoluzionario alla sua fine e sostenevano il cambio di prospettiva storica in generale. Non si può dimenticare che negli anni in cui in Italia erano attive le Radio Politiche Private si ascoltavano ad alto volume testi di canzoni oggi impensabili. Una per tutte la strofa di L’ora del fucile del Canzoniere Pisano (1971) “…in tutto il mondo i popoli acquistano coscienza e nelle piazze scendono con la giusta violenza. E quindi: cosa vuoi di più, compagno, per capire che è suonata l’ora del fucile?“. Ma questo succedeva 50 anni, fa in un’altra Italia, in un altro mondo.

 

Di Glauco Benigni per ComedonChisciotte.org

Per saperne di più sull’Autore: https://www.youtube.com/user/glaucobenigni 

05.09.2023

Glauco Benigni, laureato in Sociologia delle Comunicazioni di Massa, giornalista professionista, scrittore.

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