Di Stefano Vespo per ComeDonChisciotte.org
Andavo a piedi verso la campagna. Lentamente la nebbia scendeva dalla collina, nella fontana gorgogliava un filo d’acqua. Gli alberi e la vallata sembravano ammutolire: sapevo che dovevo prepararmi a lasciare quei luoghi. Passando accanto al piccolo cimitero del mio paese, a un tratto ho avuto la certezza di non avere più un posto, una terra che potessi dire mia, dove immaginare di essere un giorno sepolto.
Presto tutta la valle sarebbe stata violata dai cingoli dei mezzi militari; la collina, che per me rappresentava uno sguardo senza memoria, ancora vivo ed eternamente giovane, sul mio presente, sarebbe diventata bersaglio dei proiettili durante le esercitazioni.
Il giorno prima, senza che la popolazione ne sapesse nulla, i sindaci di tre paesi del centro della Sicilia, Gangi Nicosia e Sperlinga, avevano preso una decisione che avrebbe sconvolto per anni e forse per sempre quei luoghi. Nella cappella del castello di Sperlinga si erano stretti la mano soddisfatti di fronte a fotografi e giornalisti, dopo aver firmato un accordo con il Ministero della Difesa. Per trent’anni il bosco meraviglioso che si estende di fronte al belvedere della piazza del paese, in cui sorgono decine di aziende agricole, fino ad arrivare al Gangi, sarebbe stato ceduto all’esercito italiano e trasformato in un poligono di tiro e in un’area di addestramento militare per brigate di qualunque tipo. Un poligono di 34 chilometri quadrati, una dimensione pari a quello delle Murge o di Capo Teulada. Un poligono di tiro di dimensioni sconcertanti, a meno di un chilometro dalla piazza del paese.
La sera prima, sul mio profilo, avevo pubblicato un lungo articolo in cui tentavo di esprimere la mia amarezza, soprattutto per l’indifferenza con la quale i cittadini dei tre paesi avevano accettato la cosa: la foto dei tre sindaci che si stringono la mano nella posa dei tre moschettieri circolava già da tre giorni, ma nessuno sembrava esserne turbato.
Ritornato a casa, aprii il mio profilo. L’articolo aveva già raccolto parecchie reazioni positive, molte erano già le condivisioni e i messaggi continuavano ad aumentare. Forse, senza volerlo, quell’articolo aveva catalizzato il malessere di tanti altri, che ancora non avevano trovato le parole e le ragioni, che ancora non sapevano di essere in tanti, confusi dal trionfalismo con cui era stata data finora la notizia.
“Adesso dovete fare qualcosa: create un comitato!”, mi disse un amico al telefono, con il suo tipico tono di voce delicato ma fermo, che richiedeva un impegno preciso e inderogabile da parte mia. Se non lo avessi fatto avrei inferto una ferita alla sua amicizia fraterna. Era arrivato il momento di mettere assieme l’indignazione comune: di fare fronte tutti insieme.
Il gruppo su Whatsapp, creato assieme ai primi amici che erano stati subito disponibili, raccoglie immediatamente parecchi iscritti e altrettanto rapidamente anche le forze politiche di opposizione e le associazioni ambientaliste, venute a sapere della nascita di un comitato, cominciano a svegliarsi.
Nel frattempo anche gli allevatori e gli imprenditori agricoli, che inizialmente avevano creduto si trattasse di semplici e sporadici addestramenti, si accorgono del pericolo imminente che sta per abbattersi su di loro. Rapidamente gli è chiaro quale sarebbe stato il destino delle loro terre.
Una comunità contadina, che vive intorno ad una antica masseria fortificata, tra i vasti campi di grano che si estendono tra Gangi e Sperlinga, negli anni ha costruito un piccolo santuario dedicato alla Santa della contrada, Santa Venera, arricchendolo a poco a poco di vetrate, bassorilievi in terracotta, sedili in legno. I Santavenerari all’improvviso apprendono che a pochi metri dal luogo in cui vivono e lavorano, a pochi metri dal loro santuario, lungo il percorso che compie la santa a fine estate, per benedire le messi, sarebbero precipitati i colpi esplosi durante le esercitazioni militari.
Anche loro iniziano a chiedere incontri con i sindaci, nel tentativo inutile di far comprendere le proprie ragioni, il proprio turbamento. Delegazioni di agricoltori e allevatori in lunghe riunioni serali davanti ai sindaci irremovibili.
Spinti dalla notizia del malcontento crescente e dalle pressioni dell’opposizione, i sindaci alla fine sono costretti a convocare consigli comunali urgenti, per rendere conto alla cittadinanza di ciò che avevano fatto, e perché avessero preso una decisione di quella importanza senza minimamente consultare i cittadini. Consigli burrascosi, durante i quali i cittadini presenti esprimevano direttamente la propria indignazione. La rabbia contenuta che appariva nei volti bui degli agricoltori, nei loro sguardi costernati, in alcuni casi fino alle lacrime, sono cose che non si dimenticano. Come non si può dimenticare l’atteggiamento di uno dei tre sindaci che di fronte a tutta questa rabbia, disperazione, sconcerto, si ostinava a masticare con arroganza una gomma, seduto con le gambe accavallate e le braccia incrociate, in un palese atteggiamento di sfida, quasi a dire: “Contro di me non potete fare nulla!”.
Anche il Vescovo di Nicosia interviene assieme alle principali associazioni cattoliche. Durante la conferenza, nella quale eravamo presenti anche noi, il Vescovo, ascoltando le nostre relazioni, assume un’espressione crucciata, pensierosa, come quella di un uomo che si trovi di fronte ad un male inaccettabile, inspiegabile. Alla fine annuncia deciso che avrebbe riferito la questione all’assemblea dei vescovi siciliani.
Il giorno dopo arrivano le revoche delle firme da parte dei primi due sindaci, probabilmente spinti dal pericolo di perdere per sempre il proprio elettorato, oppure dalla pressione fortissima dell’opposizione nei consigli comunali.
Solo un sindaco, quello di Sperlinga, continua a resistere, più per orgoglio che per una ponderata valutazione delle cose.
Assieme ad alcuni amici del Comitato decidiamo di incontrarlo, per fargli comprendere quale sarebbe stato il clima dei prossimi mesi, se lui si fosse ostinato nella sua posizione, nonostante l’opposizione popolare. Prendiamo appuntamento, ma non abbiamo molte speranze.
In un suo comunicato, uscito dopo l’intervento del Vescovo, forse ispirato dalla nuova venatura religiosa che aveva assunto la questione, aveva scritto che “La fede e la storia ci hanno insegnato che il popolo, tra Gesù e Barabba, scelse Barabba, solo dopo qualche giorno dopo avere osannato Gesù come Re dei Re”.
Con Barabba rappresentava tutti coloro che si opponevano alla loro scelta. Barabba: un brigante, un rivoltoso, un omicida!
Sembrava di stare di fronte ad una svista, una dimenticanza nello sviluppo della storia, rimasta ferma a quando l’esercizio del potere nei nostri paesi era ancora appannaggio dei notabili, che consideravano il popolo una massa di cafoni da prendere a calci. Quando le rivolte del popolo erano scoppi improvvisi e irrazionali di una rabbia repressa, covata a lungo sotto l’umiliazione.
Invece, è l’esatto opposto: approssimazione, violenza e incompetenza si trovano oggi annidate proprio nelle amministrazioni, mentre è nella società civile che si trovano saperi e competenze straordinarie. Era bastato semplicemente utilizzare le nostre abilità in ambito informatico e della comunicazione, le nostre conoscenze in ambito ambientale e tecnologico per riuscire a confermare i nostri sospetti; delineare il quadro preciso del progetto che si voleva realizzare; diffondere l’informazione, fino a interessare la stampa nazionale al nostro caso. Non ci occorreva affatto scendere per strada con i forconi, come immaginavano i nostri amministratori.
Veniamo accolti nell’ufficio del sindaco. Lui è letteralmente sprofondato in una poltrona di legno e pelle molto scuri. Una foggia antica, austera e barocca, con i braccioli ornati da teste di leone ormai consumati dalle mani che per decenni, o secoli, vi si sono appoggiate. Ci sorride con cortesia, ed anche noi siamo cortesi. Subito sfoggia l’unico argomento che da giorni tutti e tre i sindaci sostengono: arriveranno cinquanta militari con le loro famiglie che ripopoleranno i nostri paesi e faranno arricchire i nostri commercianti. Purtroppo sul numero dei militari non sempre i sindaci sono stati concordi: la cifra era già arrivata addirittura a centocinquanta. Peccato che sull’accordo che noi avevamo chiesto di visionare, di questi militari che avrebbero portato le famiglie a vivere in un poligono di addestramento non vi fosse traccia. “Ma, sindaco, lei può mai pensare che l’esercito imponga alle reclute di sradicare le proprie famiglie dal luogo in cui vivono per venire a stare qui?”. Dopo pochi secondi, con una convinzione ed una rapidità che avevano dell’incredibile, il sindaco ci risponde: “Saranno ottanta militari, tutti di Nicosia!”. L’unica argomentazione che da giorni sostenevano era una patetica bugia. Tuttavia, era una bugia potente, una bugia a cui molti erano disposti a credere, per disperazione, per dolore. Il dolore di dover partire in cerca di lavoro, o di veder partire i propri figli. Tuttavia il sindaco non cede: continuerà per la sua strada, ci dice, solo contro tutti. Allora ci giochiamo tutto: esponiamo i nostri progetti per il paese, le possibilità di sviluppo che abbiamo in mente. Ma le nostre parole riescono solo a trasformare l’espressione del sindaco in una smorfia di sarcasmo: lo guardo beffardo del potere lanciato su chi vorrebbe cambiare cose che non cambieranno mai. Usciamo demoralizzati da quell’incontro.
Tuttavia, il giorno dopo, inaspettatamente, forse per intervento di qualche autorità al di sopra della sua, forse per intervento di qualche buon consigliere, anche il sindaco di Sperlinga rinuncia.
Finalmente sollevata, la cittadinanza celebra la propria vittoria in una grande assemblea pubblica tenuta nel cinema di Nicosia. Sul palco si susseguono tanti cittadini, che espongono le proprie idee, le proprie analisi, i propri sogni, progetti per un futuro migliore dei nostri paesi. E’ il trionfo dell’intelligenza, della misura, della progettualità. Una risposta a quello sguardo di cinica ironia lanciato verso qualunque idea di sviluppo e progresso.
Questa storia ha almeno due morali. Oggi la società civile è di gran lunga più preparata e attiva della classe politica che vorrebbe rappresentarla. E sarebbe anche arrivato il momento di mettere in luce questo fatto: di prenderne atto e agire di conseguenza.
L’altra morale è che ancora oggi la parola scritta può avere un suo ruolo importantissimo: quella di dare voce alla rabbia impotente, al senso di umiliazione e sopraffazione, di salvare dall’isolamento e creare gruppi, quella di rendere possibile il cambiamento.
Di Stefano Vespo per ComeDonChisciotte.org
05.06.2023
Stefano Vespo. Poeta e scrittore. Laureato in Filosofia, attualmente insegna lettere al Liceo di Nicosia. Sposato, vive a Sperlinga. Scrive su temi di politica e società su ComeDonChisciotte.