La fine dell’Occidente

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DI TIM BLACK

spiked-online.com

Vedere Donald Trump – il Presidente che ha fatto a pezzi il “modo giusto” di fare le cose, eliminando il protocollo e infrangendo il diritto internazionale basato sulle regole – come la causa di tutte le pene dell’Occidente, è una retorica ormai datata. Le reazioni al vertice insolitamente tumultuoso del Gruppo dei Sette (G7) di questo fine settimana ne sono un esempio calzante.

Secondo il New York Times, Trump ha fatto saltare in aria il vertice del G7. Il Financial Times ha proclamato che subito dopo il suo svolgimento egli ha twittato il suo rifiuto a firmare il tipico comunicato congiunto, lasciando “l’Occidente allo sbando”. E in aggiunta al senso di catastrofe, il Telegraph ha scritto che “le tattiche di Trump suggeriscono che l’Occidente potrebbe ormai far parte della storia”.

E’ indubbio che Trump abbia rianimato quella che di solito è una riunione annuale del tutto insignificante, dove i leader di sette delle più potenti democrazie del mondo – la Cina continua ad esserne esclusa – si riuniscono per una chiacchierata informale, prima di rilasciare una dimenticabile dichiarazione collettiva di non-intenti.

Ha dato il via al meeting suggerendo ai membri del G7 di riammettere la Russia, che ne è stata membro dal 1997 fino alla sua espulsione, nel 2014, quando si è annessa la Crimea. Dopodiché si è presentato in ritardo, rifiutando di allentare le tariffe statunitensi all’importazione e, come colpo di grazia, definendo il Presidente canadese Justin Trudeau come “debole e disonesto”.

Sei stato proprio bravo, Donald! Ma tutto questo è davvero la fine dell’Occidente, la distruzione dell’ordine mondiale?

Tali affermazioni sono chiaramente esagerate, ma Trump ha decisamente fatto qualcosa. Grazie in non piccola parte al suo background di non-politico, si è rifiutato di seguire il copione del G7 che dà per scontato che i suoi sette membri debbano agire di concerto. E, così facendo, ha dimostrato che, al di là dei flussi di capitale, c’è ora ben poco che lega gli Stati Uniti ai suoi alleati del dopoguerra.

Ma non è stato Trump a creare questa situazione, la sta solo esponendo. Sta svelando il disfacimento ideologico dell’ordine mondiale postbellico e il conseguente deterioramento del collante politico. Sta rivelando la difficoltà a sostenere un’alleanza fra nazioni tradizionalmente adagiate, in forma residuale, sugli antagonismi della Guerra Fredda.

E non è certo la prima volta che Trump lo fa. La NATO, fondata nel 1949, è in sostanza un protettorato anticomunista che ora viene agitato per un altro scopo, per non parlare dell’espansione verso est successiva alla caduta del muro di Berlino. Non c’è quindi da meravigliarsi se Trump, guardando la situazione nei soli termini di costo/beneficio, possa a malapena vederne il senso, definendola obsoleta.

Il G7 è un’Istituzione successiva che ebbe inizio come incontro informale a cinque tra Francia, Stati Uniti, Germania Ovest, Gran Bretagna e Giappone nella biblioteca della Casa Bianca di Nixon, nel 1973, prima di essere ufficialmente lanciato, nel 1975, includendo l’Italia e diventando in questo modo un G6. Nacque, quindi, in un momento in cui il boom del dopoguerra cominciava a declinare rapidamente, tra crisi petrolifere, alta inflazione e crescita della disoccupazione.

La crisi del capitalismo fu vissuta anche come crisi ideologica, perché la legittimità del dominio delle élite occidentali era legata alla presunta superiorità economica del mercato (relativamente) libero, rispetto al socialismo di stato del Blocco dell’Est. La recessione sembrava quindi porre in crisi quasi esistenziale l’Occidente del dopoguerra.

E’ possibile rendersi conto di questo senso di minaccia nelle parole che Helmut Schmidt rivolse a Henry Kissinger, in vista del primo incontro ufficiale del G6: “L’Occidente sta attraversando la più grande crisi politica dalla Seconda Guerra Mondiale. E’ in gioco il funzionamento delle nazioni democratiche industrializzate”.

Il G6, quindi, nacque dagli sforzi disperati delle nazioni occidentali per assicurarsi che il loro sistema economico sovraperformasse quello dell’Est perché, se così non fosse stato, avrebbero perso la fonte centrale della superiorità ideologica dell’Occidente rispetto al Comunismo, il successo economico.

Ecco perché Kissinger sottolineava la necessità del G6, da implementare per affrontare “l’erosione della fiducia delle persone nel futuro della loro società e nei mezzi democratici”.

Ed è per questo che Die Zeit, alla conclusione del primo summit, proclamò l’avvenuta creazione di “un nuovo spirito di cooperazione e fiducia che deriva da una più profonda comprensione del nostro comune destino e della nostra comune convinzione che le persone libere possano controllare il loro futuro”.

E’ precisamente l’assenza dell’avversario comunista, della minaccia esistenziale che costrinse i suoi membri a riunirsi, che ha fatto perdere importanza al G7 dei nostri giorni. Gli incontri mancano di qualsiasi urgenza, l’organizzazione non ha alcuno scopo proficuo e, per concludere, ai leader nazionali manca il terreno politico per esprimere solidarietà. Il che non vuol dire che l’economia globale stia prosperando nell’Occidente del dopoguerra. Anzi, essa è fiorente in una certa misura altrove, in Cina e in India.

Piuttosto, è come dire che i problemi economici dell’Occidente, in assenza della minacciosa alternativa rossa, non siano più vissuti come crisi ideologica allo stesso modo di prima.

In effetti, le difficoltà dell’economia sono vissute in modo quasi non-politico, come problemi di tipo tecnico e pratico (o trasformati in questioni di virtualismo ambientale) e quindi potenzialmente suscettibili di soluzioni nazionali, sia attraverso dazi sulle importazioni d’acciaio che con altre forme di protezionismo.

Ed è questo ciò che Trump ha effettivamente e un po’ goffamente rivelato: l’elemento ideologico e politico dell’approccio multilaterale ai problemi economici è in via di estinzione.

Queste considerazioni non si applicano solo al G7 o alla NATO. Si applicano a tutte quelle forme postbelliche di azione multilaterale, comprese le Nazioni Unite. Tutto viene annullato dalla mancanza di un nemico comune e di una minaccia esistenziale, che una volta si prestavano al loro scopo comune.

Questo spiega, in parte, la creazione artificiosa della Russia di Vladimir Putin come un qualcosa di simile al suo predecessore sovietico. Troppi, in Occidente, vogliono che la Russia di Putin sia quella minaccia esistenziale che chiaramente non è. Vogliono che ri-aderisca all’Occidente come oggetto a cui l’Occidente si oppone!

Il ruolo di Trump in tutto questo non è proattivo, ma reattivo. Libero dalla prospettiva senza finestre della classe politica, per la quale Istituzioni come NATO o G7 hanno qualità quasi perenne, Trump le vede in gran parte per quello che esse adesso sono: se non obsolete, certamente non funzionanti.

Quindi, anche se Trump non ne è la causa, questo cambiamento storico sta effettivamente avendo luogo. Il filo che nel dopoguerra ha tenuto unite le élite nazionali occidentali è ora aggrovigliato. E’ improbabile che possano essere di nuovo tenute assieme da queste reliquie della Guerra Fredda.

 

Tim Black

Fonte: www.spiked-online.com

Link: http://www.spiked-online.com/newsite/article/the-end-of-the-west/21491#.Wx_vAkiFPIU

12.06.2018

Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org da FRANCO

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