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di Carlos Arija Garcia
Il rifiuto di aderire alla campagna non esclude la copertura assicurativa contro l’infortunio sul lavoro. Ecco perché in una nota dell’Istituto.
Copertura garantita contro gli infortuni sul lavoro anche per chi sceglie di non fare il vaccino anti-Covid. Lo ha appena precisato l’Inail in una nota. L’Istituto ritiene che «il rifiuto di vaccinarsi, configurandosi come esercizio della libertà di scelta del singolo individuo rispetto a un trattamento sanitario, ancorché fortemente raccomandato dalle autorità, non può costituire una ulteriore condizione a cui subordinare la tutela assicurativa dell’infortunato».
In altre parole: finché il vaccino contro il coronavirus resta una scelta libera e non un obbligo da osservare, lasciare un lavoratore scoperto contro gli infortuni sarebbe discriminatorio. Anche quando, come nel caso su cui è stato interrogato l’Inail, il rifiuto al siero viene espresso dal personale infermieristico che potrebbe rimanere contagiato dal virus nella struttura sanitaria in cui presta servizio.
Tale circostanza sarebbe considerata, comunque, un infortunio sul lavoro, nonostante l’infermiere avesse deciso di non aderire alla campagna immunitaria: «Sebbene il rifiuto di vaccinarsi non corrisponda al pressante invito formulato da tutte le autorità sanitarie per l’efficace contrasto della pandemia – continua la nota dell’Inail firmata dal presidente Franco Bettoni – questo non preclude in alcun modo, in base alle regole consolidate, l’indennizzabilità dell’infortunio in caso di contagio in occasione di lavoro. Il rifiuto di sottoporsi al vaccino, espressione comunque della libertà di scelta del singolo individuo, non può comportare l’esclusione per l’infortunato dalla tutela Inail».
Bettoni ha ricordato, inoltre, che secondo la legge «il datore di lavoro, su conforme parere del medico competente, adotta misure protettive particolari, tra cui la messa a disposizione di vaccini efficaci per quei lavoratori che non sono già immuni all’agente biologico presente nella lavorazione, da somministrare a cura del medico competente», ma non impone al lavoratore l’obbligo di vaccinarsi. A questa disposizione, che risale a un decreto legislativo del 2008, si aggiunge il fatto che nemmeno il Governo durante la pandemia ha invertito la rotta, cioè non è stata resa obbligatoria l’adesione dei cittadini (lavoratori e non) alla campagna vaccinale anti-Covid.
Non solo: l’Inail sottolinea anche che la violazione dell’obbligo di utilizzare i dispositivi di protezione individuale (scelta che rientra nel comportamento colposo del lavoratore) dal punto di vista assicurativo «non comporta di per sé l’esclusione dell’operatività della tutela prevista dall’assicurazione Inail». D’altro canto, però, riduce o esclude la responsabilità dell’azienda, che non sarebbe più tenuta a risarcire il lavoratore dell’eventuale danno subìto a causa del suo comportamento.
Infine, l’Inail fa notare che non si può applicare in questi casi il concetto del «rischio elettivo», poiché «il rischio di contagio non è certamente voluto dal lavoratore e la tutela assicurativa opera se e in quanto il contagio sia riconducibile all’occasione di lavoro».
Fonte: https://www.laleggepertutti.it/472690_inail-che-succede-a-chi-non-si-vaccina-contro-il-covid
Pubblicato il 02.03.2021