DI VALENTIN KATASONOV
Strategic Culture
Sempre più spesso si scopre che gli USA hanno imposto sanzioni a banche o società non statunitensi. Inoltre, i nomi di queste banche e società sono famosi e le sanzioni imposte sono impressionanti (talvolta ammontano a centinaia di milioni di dollari). E’ un nuovo fenomeno della vita economica globale e non ha precedenti. Finora banche e società erano già incorse in sanzioni, ma solo dalle autorità dei paesi in cui hanno sede.
Le condizioni del racket
Alcuni esperti sostengono che le enormi sanzioni che alcune banche non statunitensi (per la maggior parte europee) sono costrette a pagare oggi fanno parte della campagna di ristrutturazione finanziaria americana annunciata dal presidente USA.
Altri credono che le sanzioni siano una nuova arma concorrenziale usata dalle banche americane contro quelle europee. Altri ancora credono che questo nuovo meccanismo di imporre multe sia un’iniziativa globale della nuova elite americana al potere al fine di rafforzare la superiorità geopolitica del Paese sul Vecchio Continente e sul resto del mondo. Ci sono anche altre teorie dietro a quello che viene sempre più chiamato “racket del dollaro”.
Da una parte, dopo gli avvenimenti del 11 settembre 2001, gli USA hanno iniziato ad adottare una severa legislazione riguardo al riciclaggio di denaro, alla corruzione, al terrorismo finanziario, all’evasione fiscale, al crimine organizzato, al traffico di droga, ai crimini telematici e ad altre minacce alla sicurezza. E’ interessante notare, perciò, come la nuova generazione di leggi adottate in America sia di natura extraterritoriale. Ciò implica che se una minaccia agli USA si basa su azioni (operazioni finanziarie) di banche, società o individui esteri al di fuori del territorio americano, la responsabilità legale può essere comunque applicata a questi soggetti. Perciò i tribunali americani possono comminare sanzioni o altri tipi di pene a queste banche, società o individui esteri. Premesso che negli USA prevale il diritto consuetudinario, le sentenze dei tribunali statunitensi sulla condanna di soggetti non residenti vengono approvate senza discussione quasi automaticamente. Inoltre, gli Stati Uniti stanno iniziando a sviluppare e ratificare una serie di convenzioni internazionali con altri Paesi per combattere le suddette minacce. Convenzioni di questo tipo stanno diventando sempre più motivo di sanzioni a evasori non statunitensi negli USA.
D’altra parte, per monitorare tutte le violazioni commesse da banche, società e individui esteri al di fuori del territorio americano, Washington ha passato decenni a creare un sistema globale di informazioni finanziarie. Questo sistema che ho descritto nel mio articolo “The world under the eagle eye of the US government and banks” (ndt. “GOVERNO USA E BANCHE: IL CONTROLLO COSTANTE SUL MONDO“) fa in modo che tutte le azioni di soggetti non residenti situati in tutto mondo vengano monitorati e che tutte le violazioni alle regole del gioco americano al di fuori dal territorio nazionale vengano registrate.
La storia di Standard Chartered
Standard Chartered era, fino allo scorso anno, una delle banche più segrete. Era stata fondata in Gran Bretagna a metà del 19° secolo e si pensa facesse parte dell’impero Rothschild. Così come gli stessi Rothschild, Standard Chartered preferì rimanere nell’ombra durante la Seconda Guerra Mondiale, ma quanto ad ammontare di operazioni, diventò una delle maggiori banche europee. Recentemente, il 90-95% del suo profitto al lordo delle imposte è derivato da operazioni al di fuori degli USA, della Gran Bretagna e dell’Europa Continentale.
Nell’agosto 2012, la banca è stata costretta a rivelare i propri segreti a causa dello scandalo fatto scoppiare dal Department of Financial Services (DFS) statunitense. Il DFS ha accusato Standard Chartered di aver condotto transazioni illegali al fine di sostenere la Repubblica Islamica dell’Iran. Secondo il DFS queste transazioni ammontano a 250 miliardi di dollari e la filiale di New York ha collaborato allo spostamento di denaro tra le banche britanniche e quelle mediorientali a favore di cittadini iraniani. Secondo le autorità americane, infatti, Standard Chartered potrebbe essere connessa a terroristi ed organizzazioni estremiste in Libia, Sudan e Myanmar, che sono a loro volta stati raggiunti dalle sanzioni americane.
Il Department of Financial Services di New York (una sottodivisione del DFS) ha dichiarato: “Per quasi 10 anni la banca ha complottato con il governo iraniano e ha nascosto ai regolatori circa 60.000 transazioni segrete, per un ammontare di almeno 250 miliardi di dollari”. Come accennato, Standard Chartered ha passato denaro attraverso la sede di New York a favore di clienti finanziari iraniani, compresa la Banca Centrale Iraniana, la statale Bank Saderat e la Bank Melli, che erano soggette a sanzioni USA. Al centro dello scandalo c’erano le cosiddette “U-Turn Transactions”, ciò significa che il denaro non proveniva dall’Iran né vi era destinato, bensì veniva spostato a favore di iraniani tra le banche britanniche e quelle mediorientali con l’aiuto della sede di New York di Standard Chartered. Il ministero delle finanze statunitense aveva bandito questo tipo di operazioni già nel novembre 2008 per paura che potessero essere utilizzate per evitare le sanzioni. Secondo il regolatore, azioni di questo tipo hanno danneggiato l’intero sistema finanziario americano, rendendolo vulnerabile al traffico di armi e droga e ai terroristi. Infine, le autorità americane hanno richiesto alla banca il pagamento di una multa di 667 milioni di dollari. Come riportato dai media, la multa è già stata pagata.
Il “taglio” di altre banche estere
Il sistema di monitoraggio delle transazioni bancarie è un fattore di notevole importanza nella competitiva lotta tra le banche statunitensi e quelle occidentali europee. L’America è particolarmente preoccupata per le banche di Londra, motivo per cui sono nel mirino delle agenzie di intelligence americane. Tutti i soggetti che sono stati accusati di collaborare con l’Iran negli scorsi anni sono britannici o danesi. Nel giugno 2012 la banca danese ING ha ammesso di aver violato le sanzioni imposte all’Iran e di aver accettato di pagare alle autorità statunitensi una multa di 600 milioni di dollari (e secondo alcune fonti, la multa avrebbe riguardato anche la violazione delle sanzioni imposte a Cuba). All’epoca fu la multa più esosa mai imposta nella storia delle sanzioni.
Anche la banca britannica Barclays PLC acconsentì a pagare 453 milioni di dollari a seguito di un’inchiesta delle autorità americane e britanniche che dimostrò che il fatto che la banca aveva permesso gravi violazioni prendendo decisioni su operazioni di prestito e deposito, prendendo parte virtualmente a riciclaggio di denaro.
Nell’estate del 2012 il senato USA ha contestato la banca britannica HSBC Holding che, secondo le agenzie americane di intelligence, stava trattando operazioni per il Messico, in pratica controllato dagli USA, fornendo servizi ai trafficanti di droga messicani. La banca, inoltre, è stata accusata di violare le sanzioni imposte all’Iran. Solo nel dicembre 2012 la HSBC ha dichiarato di essere disposta a pagare alle autorità statunitensi una multa complessiva di 1,92 miliardi di dollari.
Nel 2012 lo scandalo riguardante la manipolazione del tasso di interesse interbancario Libor raggiunse il culmine. Le maggiori banche europee (soprattutto britanniche) e americane avevano manipolato i tassi per una serie di anni, permettendo loro di arricchirsi illegalmente. Nel 2008 iniziò un’inchiesta sulle manipolazioni Libor e coinvolse altre grandi banche così come Barclays e Royal Bank of Scotland, Lloyds Banking Group, Citigroup, HSBC, UBS e Deutsche Bank, che con Barclays è stata la prima banca ad ammettere la propria responsabilità. Negli ultimi anni si sono susseguite diverse inchieste delle autorità di supervisione finanziaria americane, britanniche, svizzere e di qualche altro paese europeo riguardo a queste manipolazioni. Le banche sono state pesantemente sanzionate. Si deve dire che le multe per queste manipolazioni sono state decisamente più ingenti che in Europa. Di conseguenza, nel dicembre dello scorso anno, la banca svizzera UBS ha dichiarato che per la manipolazione del tasso Libor avrebbe pagato una multa di circa 1,4 miliardi di franchi svizzeri (1,5 miliardi di dollari).
La legge statunitense FATCA e le banche estere
Potrebbero sorgere seri problemi per le banche estere con l’entrata in vigore della legge statunitense FATCA (Foreign Account Tax and Compliance Act) sulla tassazione dei conti esteri. Secondo questa legge, le banche estere sarebbero obbligate a indicare all’American Internal Revenue Service tutti i clienti che avrebbero rapporti con gli USA (cittadinanza o permesso di soggiorno), e a fornire informazioni circa le loro operazioni e i saldi dei loro conti correnti. Se i governi o le banche rifiutassero di ottemperare alle disposizioni del FATCA, allora gli USA potrebbero trattenere a queste banche una tassa del 30% delle entrate provenienti dagli USA. Così facendo, le autorità fiscali statunitensi potrebbero prendere il controllo del sistema finanziario mondiale. Anche se un Americano (un cittadino o un residente, inclusi i possessori di una “green card”) non fornisse informazioni sui propri conti o società esteri, ora la cosa avrebbe a che fare con le banche estere. Non è da escludere che alcune piccole organizzazioni finanziarie al di fuori degli USA si stiano completamente rifiutando di fornire servizi ai clienti americani per evitare di invischiarsi nelle onerose procedure finanziarie dell’Internal Revenue Service statunitense riguardo i loro conti. In ogni caso, dovranno aspettare di siglare un accordo con lo US Internal Revenue Service, altrimenti si ritroverebbero ad essere soggetti ad una multa anche se non hanno clienti americani. Perciò, le informazioni sui contribuenti americani che l’Internal Revenue Service degli Stati Uniti in precedenza doveva ottenere con molte difficoltà (ad esempio come nel recente caso della banca svizzera UBS), ora dovranno essere fornite dalle banche estere regolarmente e volontariamente.
A marzo 2013, la International Revenue Service ha annunciato la pianificazione di una ricerca dei debitori statunitensi nel mondo e si aspettava di riscuotere 5 milioni di dollari in sanzioni alle banche estere che li occultano. In cima alla lista comparivano banche in India, Israele, Hong Kong e Singapore. Le sanzioni alla banca svizzera Wegelin, che non intratteneva alcun rapporto di operazioni in America, costituisce un precedente. I giuristi affermano che quest’ultimo ha messo in dubbio l’esistenza del segreto bancario e abbia preparato il settore finanziario per le regole del FACTA.
“Il governo non ha intenzione di fermare la corsa all’inarrestabile ricerca degli americani benestanti che detengono conti segreti offshore, e presto avranno ancora più strumenti per farlo”, afferma Mark Matthews, ex-capo della divisione indagini dell’Internal Revenue Service, che ora lavora come avvocato presso Caplin & Drysdale. Negli ultimi 4 anni, il governo USA è già riuscito ad incassare 5,5 miliardi in tasse dovute e multe.
Una sentenza sulla possibilità di imporre sanzioni contro le banche estere che non operano su suolo statunitense è già passata il 4 marzo 2013. La più antica banca privata della Svizzera, Wegelin, è stata multata per 74 milioni di dollari dalle autorità americane per violazioni alle leggi fiscali. Wegelin fu fondata nel 1741 ed era considerata una delle banche più prestigiose del Paese. La banca non aveva alcun ufficio o sede sul territorio statunitense, perciò era certo che non potesse incorrere in sanzioni. Nel gennaio 2013 la banca ammise di aver chiuso un occhio alle attività di clienti americani che omettevano di pagare le tasse. E’ più che probabile che Wegelin chiuderà poco dopo aver pagato la multa. Come conseguenza del processo, la banca smise virtualmente le operazioni e i clienti iniziarono a ritirare il proprio denaro. Wegelin era diventata la principale banca cui si appoggiavano gli americani che non volevano pagare le tasse, da quando la banca svizzera UBS aveva siglato un accordo con le autorità nel 2009. UBS aveva accettato di disattendere la legge sul segreto bancario e aveva fornito alle autorità statunitensi i nomi di 4500 clienti (gli Stati Uniti avevano richiesto informazioni su circa 52.000 conti di non residenti). Ciò nonostante, la banca ha dovuto comunque pagare una multa di 780 milioni di dollari. La banca perse ulteriori 20 milioni di dollari in seguito all’esodo di massa dei clienti spaventati dalla volontà della banca di disattendere alla legge sul segreto bancario.
New York, centro del racket del dollaro
Non sono solo le banche ad essere state prese di mira dalle autorità statunitensi, bensì anche altre società del settore non finanziario dell’economia. Con questo, si parla non solo di violare le sanzioni americane contro un paese o un altro, bensì anche le violazioni riguardo alla corruzione e altri reati in altri paesi. Per esempio, nel 2010 il Justice Department USA accusò il gruppo tedesco Daimler, che possiede Mercedes-Benz, di corrompere funzionari di 22 Paesi, Russia inclusa. Daimler si dichiarò colpevole e preferì tirarsi fuori dal guaio pagando. I tedeschi pagarono al governo USA una multa di 185 milioni di dollari. E pensare che la questione non aveva nulla a che fare con gli Stati Uniti: l’azienda non aveva corrotto funzionari americani e non aveva violato alcuna legge americana.
New York, dove si trova la maggior parte delle banche USA in cui le banche estere aprono i propri conti corrispondenti, ha un ruolo particolare nel racket del dollaro. A loro volta, le banche di New York hanno i propri conti alla Federal Reserve Bank di New York. Non importa che si dica, New York è ancora il centro finanziario globale contro cui né Londra, né Tokio, né Francoforte, né Hong Kong possono compararsi. Dopo tutto, la parte del leone delle transazioni globali dominate dal dollaro la fa New York. E di queste transazioni fanno parte anche quelle che non hanno nulla a che fare con gli USA. Di conseguenza, lo State Department of Financial Services di New York, creato nel 2011, ha il suo ruolo speciale da giocare nell’individuazione di banche e aziende che trasgrediscono le leggi. Circa 4.500 organizzazioni, con beni per 6,2 trilioni di dollari, sono sotto il diretto controllo di questa agenzia.
L’avvocato David Pitofsky, dello studio legale Goodwin Procter, osserva: “Anche se una transazione è fatta, ammettiamo, in yen giapponesi, se un meccanismo di sistema la converte in dollari, in teoria significa che può essere soggetta alle leggi USA” (http://www.bbc.co.uk/news/19172065). La situazione finanziaria è un potente incentivo per le banche non statunitensi e per le aziende a sostituire il dollaro USA con valute di altri paesi quando si effettuano pagamenti internazionali, mentre allo stesso tempo si creano propri sistemi regionali per i pagamenti internazionali. Non c’è dubbio, per esempio, che ci sia immediato bisogno della creazione di un gruppo integrato di paesi Euro-Asiatici che includa Russia, Bielorussia, Kazakhstan e altri paesi post-sovietici. I pagamenti internazionali all’interno di questo gruppo potrebbero essere fatti in rubli, e Mosca potrebbe avanzare pretese riguardo lo status di centro finanziario regionale alternativo a New York.
Valentin Katasonov
Fonte: www.strategic-culture.org
Link: http://www.strategic-culture.org/news/2013/07/23/the-dollar-racket.html
23.07.2013
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di GIADA GHIRINGHELLI