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La Redazione

 

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Il programma di tortura degli Stati Uniti visto con gli occhi di una delle vittime

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A cura di Markus
Il 9 Dicembre 2019
3254 Views

Carol Rosenberg
informationclearinghouse.info

Un disegno mostra il prigioniero nudo e legato ad un rozzo giaciglio, con il corpo bloccato, mentre viene sottoposto al waterboarding da parte di un interrogatore non visibile. Un altro lo mostra con i polsi ammanettati a sbarre così in alto sopra la sua testa da costringerlo a stare sulla punta dei piedi, con i punti di sutura di una profonda ferita sulla gamba sinistra e un ululato che fuoriesce dalla sua bocca spalancata. Un altro ancora raffigura un secondino che gli sbatte la testa contro il muro.

Sono schizzi realizzati durante la prigionia da un detenuto del carcere della Baia di Guantánamo, di nome Abu Zubaydah, autoritratti delle torture a cui è stato sottoposto nei quattro anni che ha dovuto trascorrere nelle prigioni segrete della CIA.

Pubblicati qui per la prima volta, sono rappresentazioni crude e molto personali, che mettono carne, ossa ed emozioni su ciò che, fino ad ora, era stato talvolta rappresentato nella cultura popolare in modo sanificato o impreciso: le cosiddette tecniche avanzate di interrogatorio utilizzate dagli Stati Uniti nelle prigioni segrete d’oltremare durante la febbrile caccia ad Al Qaeda, subito dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001.

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© Abu Zubaydah, Courtesy Mark P. Denbeaux

 

Questi disegni mostrano come, oltre un decennio dopo la messa fuorilegge del programma [di tortura] da parte dell’amministrazione Obama (che aveva poi continuato, declassificando parzialmente uno studio del Senato che evidenziava come la CIA avesse mentito sulla sua efficacia e sulla sua brutalità), il capitolo finale sulle prigioni segrete debba ancora essere scritto.

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© Abu Zubaydah, Courtesy Mark P. Denbeaux

 

Il signor Zubaydah, 48 anni, li ha disegnati quest’anno a Guantanamo, perché venissero inclusi in un rapporto di 61 pagine, “How America Tortures,” [Come tortura l’America] del suo avvocato, Mark P. Denbeaux, professore alla Seton Hall University School of Law di Newark e di alcuni dei suoi studenti.

Il rapporto utilizza resoconti di prima mano, memo interni dell’amministrazione Bush, dichiarazioni di prigionieri e il rapporto del Comitato Senatoriale per l’Intelligence del 2014 per analizzare il programma di interrogatori. Inizialmente, questo programma era stato istituito per il signor Zubaydah, erroneamente ritenuto un ufficiale di alto livello di Al Qaeda.

Era stato catturato durante uno scontro a fuoco a Faisalabad, in Pakistan, nel marzo 2002, gravemente ferito, con un brutto taglio alla coscia sinistra, ed era entrato nel sistema carcerario d’oltremare della CIA.

Dopo un dibattito interno se Zubaydah avesse dovuto, o no, essere interrogato dall’FBI, l’agenzia aveva utilizzato due psicologi a contratto della CIA per creare il programma, attualmente fuorilegge, che avrebbe usato la violenza, l’isolamento e la privazione del sonno in più di 100 uomini in varie prigioni clandestine, alcune delle quali dei veri e propri sotterranei, gestite in segreto da guardie e ufficiali medici.

Le descrizioni dei metodi utilizzati avevano iniziato a trapelare più di un decennio fa, a volte con dettagli raccapriccianti (ma a volte con rappresentazioni appena più che stilizzate) di ciò che i prigionieri avevano dovuto affrontare.

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© Abu Zubaydah, Courtesy Mark P. Denbeaux

 

Questi disegni, da poco resi pubblici, descrivono le specifiche tecniche della CIA che erano state approvate, descritte e classificate in diversi memo redatti nel 2002 dall’amministrazione Bush e lo fanno dal punto di vista della persona torturata, il signor Zubaydah, un Palestinese il cui vero nome è Zayn al-Abidin Muhammad Husayn .

Zubaydah è noto per essere la prima persona ad essere stata sottoposta alla pratica del waterboarding da parte della CIA (aveva dovuto subirla 83 volte) ed anche per essere stato il primo ad essere rinchiuso in una piccola scatola di confinamento, facente parte di quello che lo studio di Seton Hall ha definito “una serie sempre mutevole” di metodi intesi a spezzare quella che gli addetti agli interrogatori credevano fosse la sua resistenza.

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© Abu Zubaydah, Courtesy Mark P. Denbeaux

 

Indagini successive da parte dell’intelligence avevano dimostrato che, anche se Zubaydah era uno Jihadista, non aveva avuto alcuna conoscenza anticipata degli attacchi dell’11 settembre e  non era nemmeno un membro di Al Qaeda.

Non è mai stato accusato di alcun crimine e i documenti ottenuti tramite i ricorsi in tribunale evidenziano che i pubblici ministeri non avevano in programma di farlo.

È attualmente detenuto nella prigione più segreta della base [di Guantanamo], Camp 7, dove ha disegnato questi schizzi non come opere d’arte, la cui fuoriuscita da Guantanamo è per ora vietata, ma come materiale legale rivisto e autorizzato (con una sola modifica della censura) destinato ad essere incluso nello studio. Altri disegni di se stesso, realizzati durante la prigionia, erano stati pubblicati l’anno scorso da ProPublica.

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© Abu Zubaydah, Courtesy Mark P. Denbeaux

 

Waterboarding

In questo disegno, il prigioniero si ritrae nudo sul lettino del waterboarding, immobilizzato, mentre l’acqua viene versata sulla sua testa incappucciata, il piede destro è contorto dal dolore. L’immagine contrasta con alcune altre visibili nella cultura popolare; una in mostra allo Spy Museum di Washington, ad esempio, raffigura una guardia che versa acqua sulla faccia di un prigioniero perfettamente vestito con quella che sembra una tuta carceraria.

L’autoritratto del signor Zubaydah mostra anche un dettaglio del lettino non presente nella maggior parte delle raffigurazioni: la parte superiore incernierata verso il basso, per poter inclinare la testa del prigioniero. Alcune cinghie gli immobilizzano la gamba ferita.

Lo studio del Comitato Senatoriale per l’Intelligence sul programma della CIA ha concluso che il waterboarding e le altre tecniche erano “brutali e assai peggiori di come la CIA le aveva rappresentate.” Il loro uso aveva indotto convulsioni, vomito e aveva lasciato il signor Zubaydah “completamente insensibile, con rigurgiti d’acqua che gli uscivano dalla bocca completamente aperta.

In un resoconto ormai declassificato che aveva fatto avere al suo avvocato nel 2008, il signor Zubaydah aveva descritto così la prima di quelle che sarebbero state 83 sessioni di waterboarding: “Continuavano a versare acqua, concentrandosi sul naso e sulla bocca, fino a quando non ho sentito davvero che stavo annegando e che il torace stava per esplodermi per mancanza di ossigeno.

Posizioni stressanti

I resoconti dei detenuti di diverse prigioni segrete differiscono tra loro sull’utilizzazione di questo metodo. Nella sua illustrazione, il signor Zubaydah si mostra nudo ed incatenato per i polsi ad una sbarra sopra la sua testa, costretto a stare in punta di piedi.

Nel suo resoconto, come riferito dai suoi avvocati, si stava ancora riprendendo da quella che la CIA aveva descritto come una grossa ferita alla coscia e cercava di bilanciare il suo peso sull’altra gamba.

Ho passato lunghe ore in quella posizione,” ha detto ai suoi avvocati. “Le mie mani erano legate alle sbarre più alte.”

Alcune guardie, ha detto, “avevano notato il colore delle mie mani,” lo avevano spostato su una sedia “ed era ricominciata la vertigine da interrogatorio, il freddo, la fame, la mancanza di sonno e il vomito continuo, che non sapevo se fosse causato dal freddo, dall’Ensure [un integratore alimentare] o dal rumore.” (La CIA teneva i prigionieri a dieta liquida, nel suo programma per indurre la cosiddetta impotenza acquisita).

Manette corte

Il signor Zubaydah, che non ha sicuramente una formazione artistica scolastica, si è autoraffigurato incappucciato, ammanettato in posizione fetale e incatenato ad una sbarra della cella, il tutto destinato a restringere i suoi movimenti.

Nel concedere alla CIA l’approvazione all’utilizzo di una tecnica simile a questa, Jay S. Bybee, un ex assistente del procuratore generale, aveva scritto in una nota di 18 pagine del 1° agosto 2002, che “osservando Zubaydah durante la sua prigionia, avrete notato che sembra piegarsi abbastanza bene, nonostante la  ferita.”

Nell’autorizzazione, indirizzata al consigliere generale facente funzione della CIA dell’epoca, John A. Rizzo, [Bybee] aveva anche fatto notare che, secondo l’Agenzia, “queste posizioni non sono studiate per produrre dolore associato a contorsioni o piegamenti del corpo.

Testate contro il muro

Questa immagine è uscita da Guantanamo con un quadrato di censura nero sopra la rappresentazione di Zubaydah del volto del suo interrogatore.

Raffigura l’interrogatore mentre stringe un asciugamano intorno al collo del prigioniero e gli fa sbattere la nuca contro quello che il signor Zubaydah ricorda essere un rivestimento in legno sopra un muro di cemento.

Continuava a sbattermi contro il muro,” ha detto dell’esperienza e ricorda come [ogni colpo] lo rendesse cieco “per alcuni istanti.” Dopo ogni testata cadeva a terra e veniva fatto rialzare tirandolo per l’asciugamano stretto con il nastro adesivo, “che mi faceva sanguinare il collo” e poi veniva schiaffeggiato.

In una deposizione del 2017 come parte di una causa che alla fine è stata risolta, James E. Mitchell, un ex psicologo a contratto della CIA che, insieme ad un collega, John Bruce Jessen, aveva ideato queste tecniche, aveva affermato che la pratica del muro aveva lo scopo di “scombussolare,” alterando l’equilibrio dell’orecchio interno del prigioniero. “Se faceva male è perché non veniva eseguita nel modo corretto,” aveva detto.

Scatolone di contenimento

In questo disegno, il signor Zubaydah è rasato, nudo, incatenato in modo tale da non poter alzarsi e, secondo il suo resoconto, seduto su un secchio destinato a fungere da toilette.

Mi sono trovato nell’oscurità totale,” aveva detto. “L’unico posto dove potevo sedermi era sul secchio, perché il vano era molto stretto.”

Nel suo racconto, il signor Zubaydah dice di essere stato confinato in “una grande scatola di legno che sembrava una bara.” La prima volta che l’aveva vista, le guardie la stavano mettendo in posizione in verticale e un uomo vestito di nero e con una giacca militare gli aveva annunciato: “Da adesso avanti, questa sarà la tua casa.

Il signor Zubaydah si ritrae nei disegni con entrambi gli occhi. Una foto all’inizio del suo periodo a Guantanamo lo mostra con una benda sul viso, dopo la rimozione di un occhio ferito.

Scatola di contenimento piccola

La scatola piccola è simile a quella esposta al Museo delle Spie dove, durante la visita, si possono vedere i bambini strisciare al suo interno.

Nel suo racconto, incluso nel rapporto Seton Hall, Zubaydah descrive il periodo trascorso in quella che ha definito “una cuccia da cani” come “assai doloroso.” Aggiunge: “Subito dopo essere stato rinchiuso nella scatola, ho fatto del mio meglio per sedermi, ma invano, perché la scatola era troppo corta. Ho cercato di accovacciarmi ma non ci sono riuscito, perché era troppo stretta.” Era rimasto immobilizzato e incatenato in posizione fetale, come l’aveva descritta, per “diverse ore,” in preda a contrazioni muscolari.

Il dolore molto forte“, ha detto, “mi aveva fatto urlare fino a svenire.”

Privazione del sonno

Il signor Zubaydah ha ricordato che i secondini usavano un metodo di “privazione orizzontale del sonno” che consisteva nell’incatenarlo a terra in una posizione così dolorosa da rendere impossibile il dormire.

La CIA ha giustificato la privazione del sonno asserendo che “focalizza l’attenzione del detenuto sulla sua situazione attuale piuttosto che su obiettivi ideologici.” Nell’agosto del 2002, durante l’approvazione di questa e di altre tecniche, Bybee aveva asserito che la CIA aveva detto che avrebbe privato del sonno il signor Zubaydah per “non più di 11 giorni alla volta.

Nello studio di Seton Hall, Zubaydah ha raccontato di essere stato privato del sonno per “forse due o tre settimane o anche più.”

Sembrava un’eternità“, ha aggiunto, “al punto che mi ritrovavo ad addormentarmi nonostante l’acqua che mi tirava addosso il secondino.”

Questo articolo è stato prodotto in collaborazione con il Pulitzer Center on Crisis Reporting.

Carol Rosenberg

Fonte: informationclearinghouse.info
Link: http://www.informationclearinghouse.info/52657.htm
06.12.2019

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