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La Redazione

 

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Donald Trump: “America first! Costi quel che costi!”

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A cura di Davide
Il 15 Marzo 2018
165 Views

 

DI PIOTR

megachip.globalist.it

La risposta di Trump a Putin: un falco al Dipartimento di Stato, una torturatrice alla CIA

 

1. Donald Trump ha cacciato Rex Tillerson dal Dipartimento di Stato per mettere al suo posto Mike Pompeo, un superfalco neo-liberal-cons (ovverosia fa parte del gruppo della Clinton, di McCain, di Petraeus e guerrafondai vari). Fino a ieri è stato direttore della CIA, messo lì proprio perché i neo-liberal-cons non avrebbero fatto passare altri nomi. Da tempo si stava lavorando Trump con briefing giornalieri, cosa inusitata per un direttore della CIA.

Adesso l’Agenzia sarà guidata da Gina Haspel. Per la serie politicamente corretta “le donne al potere sono meglio degli uomini”, la signora Haspel è una specialista in torture. Ha infatti diretto la prigione segreta della CIA in Thailandia e ha supervisionato in epoca Bush jr l’applicazione sperimentale delle nuove torture a Guantanamo.

Che ci sia una svolta verso una politica estera e interna ancora più dura e con pochi spazi per la diplomazia è evidentissimo. La domanda è: perché questa svolta e perché adesso?

È, a mio avviso, una risposta al discorso di Putin del 1° marzo.

 

2. Mi sa che molti non sanno nemmeno tanto bene cosa è successo il 1° marzo. Quel giorno Putin parlando al Parlamento russo ha rivelato che la Russia possiede nuove armi praticamente non intercettabili, che rendono impossibile agli USA il lancio del famoso first strike, a meno che mettano in conto la distruzione immediata di gran parte degli Stati Uniti.

Ora, lo si voglia ammettere o non lo si voglia ammettere, il first strike è ormai l’unico modo che gli Stati Uniti hanno per rovesciare il corso di una profondissima crisi storica (nel senso che preannuncia una svolta epocale nel mondo).

E siccome a Washington la crisi ha fatto diventare tutti psicopatici (non l’ho detto io, ma un ex ministro di Reagan) il rischio di first strike è serissimo e infatti l’attacco nucleare preventivo – persino contro potenze non nucleari – è stato appositamente inserito nella nuova dottrina militare statunitense varata da Bush jr e mantenuta, come Guantanamo e il Patriot Act, da Santo Obama.

Al contrario, Putin ha giurato che non lancerà mai un primo attacco nucleare perché è consapevole che sarebbe la distruzione di tutti, Russia compresa. Ma lasciata nelle mani degli psicopatici di Washington questa mossa diventa praticabile, nelle due varianti: quella immediata e quella progressiva.

Per quanto riguarda la variante immediata, a freddo, le nuove armi russe consentono che una ritorsione nucleare possa, ad esempio, partire dal Polo Sud passando sopra il Sudamerica a velocità ipersonica e con rotta ridefinibile dinamicamente, cosa per la quale gli USA non sono assolutamente preparati.

Ma il lato veramente importante della nuova forza difensiva russa è che essa ostacola la strategia americana della “guerra mondiale a pezzetti”, per usare la centratissima definizione di papa Francesco. Una strategia che in men che non si dica può trasformarsi in una guerra a tutto campo.

 

3. Il problema della geo-strategia statunitense è che alla potenza delle armi non corrisponde più la potenza di quel richiamo economico e ideologico che aveva permesso il consolidarsi di un enorme impero informale che aveva preso il posto e surclassato quello formale britannico precedentemente egemone. Si può ammazzare Gheddafi assieme a migliaia di libici, ma la Libia rimane in larga parte gheddaffiana. Si può cercare di installare al potere al Cairo l’amico fratello musulmano Morsi, ma il popolo e i militari egiziani lo rovesciano in pochi mesi (i nostri media, in odio ad al-Sisi, si sono dimenticati dei milioni di Egiziani che manifestavano contro Morsi). Si può distruggere l’Iraq laico al costo di un milione e mezzo di morti, ma la conseguenza è il suo avvicinamento sempre più spedito all’Iran e alla Russia. Si può invadere l’Afghanistan e rimanerne impantanati per 16 anni. Si può finanziare e armare di tutto punto un esercito di terroristi tagliagole “per far grondare la Siria di sangue” (come promise la Clinton) ma i Siriani hanno, con stupore idiota del Pentagono e della Cia, fatto quadrato attorno al loro esercito e al loro presidente (paradossalmente il governante più occidentalizzato del Medio Oriente) resistendo con immensi sacrifici fin quando la Russia non è stata in grado di intervenire.

Alleati di ferro come la Turchia fanno le bizze. Paesi dell’Est europeo come la Repubblica Ceca, la Slovacchia e l’Ungheria, in varie modalità e per varie ragioni si stanno pentendo della scelta occidentale. E nessuno punta più ad entrare nell’Eurozona. Se ne stanno alla larga. Ovviamente, sconfitto il socialismo, la disillusione prende anche forme poco belle.

C’è stato bisogno di provocare la Russia con un golpe nazista a Kiev per suscitare a freddo una crisi internazionale Est-Ovest e costringere l’Europa a rompere con Mosca: “Fuck the EU!”, come disse Victoria Nuland, plenipotenziaria obamiana per l’Europa. E Joe Biden sa la fatica che ha fatto per “convincere” gli alleati europei, sempre più recalcitranti e da rimettere in riga magari con qualche attentato jihadista (quando si ha in mano una buona arma si usa per tutto)!

Il grosso problema degli USA è che il richiamo economico non è più praticabile (e infatti Trump è passato alle minacce e ai ricatti commerciali anche nei confronti dell’Europa) e quello ideologico sperimenta le stesse difficoltà nonostante l’invasione letterale di prodotti ideologici americani, dalla musica ai film, dai telefilm ai media, per finire con la lingua, che da noi in Italia è ormai una sorta di Broccolino di Stato (“Jobs act” , “Spending review”, “Don’t touch my Breil”).

 

4. Il rischio più grosso è allora quello di un’escalation della guerra mondiale a pezzetti, un’escalation che ha come immediato teatro l’Europa centrale e il Medioriente allargato.

Così, ciò che ha gettato veramente nel panico l’élite americana (e in special modo chi ci capisce) è la rivelazione da parte di Putin dell’esistenza di un’arma non nucleare, il missile Kinzhal, che fa voltare pagina al concetto di “proiezione di potenza” e di “difesa” (da questa proiezione). Infatti questo missile (che utilizza una tecnologia che alcuni osservatori militari considerano almeno 10 anni più avanti di quella disponibile negli USA) rende virtualmente tutta la flotta statunitense, i suoi incrociatori e le sue portaerei, una massa di ferraglia inutile dato che può essere colata a picco nel giro di minuti senza che ci possa fare niente. E questo, ripeto, senza bisogno di testate nucleari. Non solo, ma essendo a questo punto inutilizzabili anche le navi appoggio, anche i sottomarini statunitensi diventerebbero facili bersagli.

Di fatto con il Kinzhal la Russia può imporre nel Mediterraneo, nel Mar Nero, nel Pacifico, nel Mare Artico, delle  “no-go-zone” di migliaia di chilometri e può sigillare in pochi minuti il Golfo Persico mettendo in ginocchio l’Europa nello spazio di una settimana.

Le mega portaerei sono il simbolo massimo e spettacolare della capacità statunitense di proiettare potenza a migliaia di chilometri di distanza da casa. Infatti l’Unione Sovietica che aveva una dottrina militare essenzialmente difensiva (come d’altronde la Russia moderna) non costruì mai portaerei, ma solo un ibrido, l’Admiral Kuznetsov, e dopo discussioni infinite.

Ora l’enorme flotta statunitense è a questo punto usabile solo per fare la guerra a nazioni praticamente indifese. Dato che essa è costata centinaia di miliardi di dollari, il risultato è quello che da qualcuno è stato definito “una catastrofe dottrinale e fiscale”.

 

5. Perché Putin ha fatto queste rivelazioni il 1° marzo? È semplice: i Russi oramai hanno veramente paura di un first strike. Più precisamente hanno veramente paura di una nuova escalation da parte di Washington nei conflitti mondiali che potrebbe portare l’élite statunitense, sempre più disperata sul piano geopolitico, su quello finanziario e su quello economico, a decidere un first strike contro la Russia. Solo così si spiega il discorso, totalmente irrituale, di Putin, cioè di una persona che soppesa le parole col bilancino per almeno tre volte prima di pronunciarle.

Il sabotaggio degli accordi di Minsk e la preparazione di una nuova offensiva contro il Donbass per controbilanciare la perdita di terreno in Medioriente sono sotto gli occhi di tutti (per lo meno di tutti quelli che vogliono vedere). L’irritazione per la probabile perdita della Ghouta, l’area vicina a Damasco finora tenuta da terroristi tagliagole (che lì gettavano gli omosessuali dalle torri ma sono considerati “moderati”) con l’aiuto di consiglieri Nato, di armi americane e di finanziamenti sauditi, si somma alla preoccupazione per il disastro nel Nord dove i Curdi sotto attacco della Turchia ad Afrin hanno permesso in alcune aree il ritorno dell’Esercito Arabo Siriano e dei suoi alleati, accolti in festa dalla popolazione.

È quindi ricominciato con la Ghouta tutto il cinema già visto ad Aleppo, con i “tagliagole buoni” che si difendono dai siriani e dai russi cattivi, con gli usuali interventi public relation dei soliti Elmetti Bianchi, di Amnesty, di Medici Senza Frontiere (sospettata da alcuni di essere proprio nella Ghouta il paravento degli agenti Nato) e di cheerleader italiche come Assopace. Ovviamente, sia detto incidentalmente, le continue testimonianze dei religiosi che abitano nella zona non sono nemmeno prese in considerazione dai media mainstream. E, sia ancora detto incidentalmente, c’è veramente del perverso e dell’idiota a continuare a utilizzare fandonie (le armi chimiche) già utilizzate proprio per la Ghouta nel 2013 e sputtanate persino dal MIT di Boston.

La reazione statunitense a questa situazione è che il “deep state”, i neo-liberal-cons con in testa il Washington Post puntano a una guerra aperta contro la Russia. Infatti ormai si dichiara che la famosa (e mitologica) “intrusione” russa nelle elezioni presidenziali è “un atto di guerra pari a Pearl Harbor (sic!) e al 9/11 (sic!)” e che quindi “bisogna rispondere come dopo Pearl Harbor (sic!) e come dopo il 9/11 (sic!)”.  Ovverosia, se la Storia è maestra,  bisogna rispondere con armi nucleari e con invasioni. Sfido chiunque a fornire un’interpretazione diversa.

Prima di andare avanti vi chiedo: ma questa vi sembra gente sensata o in preda a smanie insane?

Non contenti, esortano a proclamare nuove “linee rosse” in Siria da cui non recedere assolutamente e si parla con insistenza di bombardare Damasco. Cosa che farebbe quasi sicuramente scoppiare una guerra con la Russia. La famosa escalation della guerra mondiale a pezzetti di cui si parlava prima.

Putin e la Russia hanno paura di un’escalation simile. Contrariamente all’attitudine dei governanti statunitensi, Putin ha detto senza mezzi termini che lui e la Russia sono spaventati dall’idea di una guerra. Capibile i differenti punti di vista dato che l’URSS nella II Guerra Mondiale hanno avuto quasi 25 milioni di morti e gli Stati Uniti 400.000, visto che i primi sono stati invasi e i secondi no. La Storia ha insegnato due lezioni differenti alle due potenze.

I Russi non vogliono assolutamente una guerra. D’altra parte vedono che gli USA non sentono ragioni se non quelle delle armi da ben 17 anni, da quando Bush jr ha stracciato unilateralmente nel 2001 i trattati ABM sui missili balistici, da quando lui e i suoi successori hanno smentito la promessa di Reagan a Gorbachev di non incorporare nella Nato nessun ex membro del Patto di Varsavia, mentre oggi i missili e i carri armati Nato sono a 100 km da San Pietroburgo.

 

6. L’irrituale discorso di Putin è quindi un messaggio chiaro e urgente agli USA: non scalate i conflitti e ritorniamo al negoziato sul disarmo nucleare che voi avete interrotto da 17 anni e che sono 17 anni che vi chiediamo di riprendere, ma inutilmente. Anzi.

È stato osservato che usare parole sensate e gentili è inutile con gli USA che hanno nel DNA un solo tipo di risposta e di forma di dialogo: picchiare duro, picchiare, picchiare e picchiare. “Quando l’unica cosa che si ha in mano è un martello, ogni problema sembra un chiodo” disse nel 2001 un generale del Pentagono venuto a sapere della decisione di mettere a ferro e a fuoco tutto il Medioriente, come poi è stato. Lo disse un po’ avvilito perché per fortuna negli USA non sono tutti pazzi.

È un atteggiamento abbastanza intrinseco all’élite statunitense.

L’Impero Britannico, al di là dei crimini commessi contro le popolazioni che dominava, ha portato in Europa cento anni sostanzialmente di pace (interrotti solo dalle nostre guerre d’indipendenza, dal breve conflitto franco-prussiano, e dalla periferica guerra di Crimea). Una cosa mai vista prima nel nostro continente, e nemmeno dopo.

L’Impero Statunitense ha condotto invece una guerra dietro l’altra: Corea, Vietnam, Cambogia, Laos, Panama, Golfo, Balcani, Afghanistan, Iraq, Libia, Siria, Donbass. Guerre in tutto il mondo, e di nuovo dentro l’Europa.

E, detto tra parentesi ma in tema, mentre l’Impero Britannico fondava il Museo di Baghdad, l’Impero Americano lo devastava da cima a fondo.

Quello americano è dunque un impero di tipo nuovo, tra quelli moderni: è un impero guidato da una élite di selvaggi (uso una parola utilizzata da un accademico inglese, David Harvey, per descrivere le reazioni statunitensi alle sfide). Selvaggi che purtroppo sono convinti di avere dalla loro un compito divino, pensano di essere investiti da un “destino manifesto” che rende gli USA l’unica “nazione indispensabile” del nostro pianeta. Selvaggi e invasati. Invasati convinti che pur essendo solo un ventesimo scarso della popolazione mondiale hanno diritto di dominare su tutti.  È letteralmente impossibile ragionare in modo più insano e pericoloso.

 

7. La risposta di Washington al discorso di Putin è stata dunque: “No! Noi continueremo a scalare i conflitti. O per lo meno minacciamo seriamente di farlo. Non dovete credere di aver vinto o che avrete la vita facile. Vedete? Ci sbarazziamo anche di Tillerson che era troppo condiscendente sulla Siria, sull’Iran, sulla Corea e anche sulla Russia”.

Trump coi suoi dazi sta praticando una politica di falso isolazionismo ma in realtà di aggressione commerciale all’esterno: lo ha ammesso tranquillamente lui stesso che i dazi sono un ricatto all’Europa per poterla sommergere coi prodotti statunitensi più orrendi. Io mi aspetto ad esempio un pressing dei loro peggiori prodotti agricoli e di speculazioni sulle parti più pregiate del territorio europeo. Non è un caso che Mike Pompeo sia sfrenatamente a favore degli OGM e contrario a ogni precauzione ecologica. Se cediamo al ricatto – e probabilmente cederemo – vi voglio vedere con la bio-agricoltura, con il chilometro zero, con la difesa del paesaggio, della cultura e dei posti di lavoro!

America first e fuck the EU!

Ieri Trump lo ha ribadito: “America first! Costi quel che costi!”.

Fino a che punto tirerà la corda? Vuole andare a vedere se la Russia ha veramente le armi che dice? Beh, l’altro giorno c’è stato un nuovo test del missile Kinzhal, ed è stato un successo.

Fare proposte sensate agli USA con parole gentili non serve. Ormai è assodato. Farle con una grossa pistola attaccata al cinturone forse sortisce l’effetto sperato.

Se questo è l’unico linguaggio che sentono …

 

Piotr

Fonte: http://megachip.globalist.it

Link: http://megachip.globalist.it/guerra-e-verita/articolo/2018/03/14/donald-trump-america-first-costi-quel-che-costi-2020991.html

16.03.2018

 

 

P.S. Ho amici di sinistra che sostengono che la Russia è un grande pericolo (forse perché vuole il disarmo nucleare?) e che i Paesi dell’ex Patto di Varsavia hanno fatto bene ad entrare nella Nato. No comment.

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