IL MILITARISMO NON RIESCE AD ESSERE SERIO

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I refusi hanno spesso un’intelligenza rivelatoria. Il 3 marzo dell’anno scorso sul sito web “Forze Italiane” un articolo illustrava i termini dell’esercitazione militare denominata Orion2023, affermando testualmente: “Domenica scorsa 700 soldati e 150 mezzi sono sbracati (sic!) sulle coste dell’Hérault, in Occitania: è questo lo scenario che fa da sfondo ad Orion2023, la più grande esercitazione di guerra simulata degli ultimi decenni in Europa occidentale”.
L’articolo su “Forze Italiane” conteneva una domanda inquietante, cioè se queste esercitazioni di guerra simulata preparino alla guerra vera. Il problema è che il confine tra simulazione e verità, tra farsa e tragedia, non è affatto chiaro, tanto che viene da chiedersi se esista un militarismo che riesca a non sbracare. Affidiamoci alla parola di uno che ne capisce, il generale Paolo Capitini, che ha rilasciato un’ampia intervista a “Fanpage”, la testata giornalistica online che può essere considerata la Radio Maria della religione del politicamente corretto. Alla richiesta di un parere sulle dichiarazioni del presidente Macron sulla eventuale spedizione di truppe francesi in Ucraina, il generale Capitini non esita a definirle un “bluff”, poiché l’esercito francese nel suo complesso sarebbe di centocinquantamila uomini, per di più con mera esperienza di guerra coloniale, mentre nel solo Donbass sono schierati trecentomila militari russi, ormai resi esperti alla guerra simmetrica. Al Cremlino potrebbero essere quindi tentati di vedere il bluff di Macron; ammesso che il termine “bluff” non sia un eufemismo benevolo, poiché, data l’evidente impreparazione militare francese, si potrebbe definire come la solita cialtronata di Macron. Ma il generale non poteva certo permettersi di essere così diretto. Capitini afferma inoltre che l’esercito professionale non è sufficiente per una guerra in cui ci si confronti con forze alla pari, anche se sembra che non si tratti di tornare alla pagliacciata della leva obbligatoria, quando torme di rachitici, cifotici, scoliotici e ipovedenti venivano arruolati a forza, offrendo facili prede al nonnismo nelle caserme e intasando gli ospedali militari; il tutto solo per giustificare la carriera di una pletora di ufficiali. Capitini pensa semmai ad una riserva e ad una guardia nazionale.

 

La vera perla è però nel finale dell’intervista, ed anche in questo caso la citazione merita di essere testuale: “Fino ad oggi il concetto di difesa in Europa è stato interpretato in modo esclusivamente economico: paghiamo ed otteniamo in cambio sicurezza. Si tratta di un paradigma falsato e pericoloso: i soldi sono necessari, certo, ma non sono sufficienti. Occorre che la collettività rifletta davvero sui valori che la tengono insieme, valori come democrazia, solidarietà, libertà e pluralismo e che quindi si chieda quanto è disposta a pagare per preservarli e non parlo solo di denaro, ma di difenderli anche, se necessario, combattendo. D’altra parte è questo che indica la costituzione quando definisce “sacro” il dovere di ogni cittadino di difendere la Patria”.

 

Insomma, si tratta del classico “credere, obbedire, combattere”, come già diceva il caro vecchio Duce. Certo, vuoi mettere una democrazia con una dittatura o una “democratura”. Gli studenti statunitensi che da giorni manifestano a favore dei palestinesi e contro il massacro che Israele fa a Gaza, dovrebbero trarre insegnamento da questa esperienza. Che essi vengano manganellati e brutalizzati dalla polizia, inseguiti dagli sbirri fin dentro le aule universitarie, sgomberati e ammanettati, schedati insieme con i loro professori e arrestati a migliaia, fatti oggetto di scariche di proiettili di gomma, accusati di essere antisemiti e infiltrati, tutto questo dovrebbe esser loro di monito per riconoscere con gratitudine la fortuna di vivere in una grande democrazia. Ma il vero messaggio del generale Capitini è che il giro dei soldi legato alle spese militari va benissimo; solo che per tenere in piedi la baracca dell’affarismo militare occorre pure il proverbiale “fesso che se la beve”, cioè colui il quale è disposto a credere ai “valori” ed a combattere per essi. Insomma, senza l’adesione sociale ad un politicamente corretto che imponga il sacro e il sacrificio, la cleptocrazia militare rischia di non andare da nessuna parte.

Oggi c’è una diffusa e crescente insofferenza verso le pretese del politicamente corretto, ciò che Michel Foucault chiamava “ortopedia morale”, e che in effetti funziona come il classico letto di Procuste al quale i singoli devono chirurgicamente adattarsi. Quando però un meccanismo di mistificazione sociale entra in crisi, tendono ad intervenire immediatamente fenomeni di protezione, ciò che viene spesso definito “gatekeeping”. Il concetto di “gatekeeping” viene di solito frainteso in termini cospirativi. In realtà la mistificazione è una dinamica sociale, e spesso un riflesso condizionato; perciò quando si crea un’opinione pubblica stufa delle coercizioni morali del politicamente corretto, ci sarà automaticamente qualcuno che si presenterà a riscuotere popolarità e protagonismo attaccando il politicorretto nell’ultima versione, riproponendolo però nella versione originale, che è appunto quella della pedagogia nazionale e dell’educazione ai “valori”.

 

Non è affatto un caso che a svolgere il ruolo di finto critico del politicorretto e di riciclatore della pedagogia nazionale sia un generale della Divisione “Folgore”, che è ricordata per la battaglia di El Alamein, la battaglia che, come dice Giordano Bruno Guerri, “gli italiani sono fieri di aver perso”. Se esistesse un militarismo serio, la questione El Alamein sarebbe stata quella di individuare e mandare alla corte marziale i responsabili della mancata ritirata dell’esercito italiano per evitare l’annientamento. Al contrario, El Alamein è diventata un’oleografia della pedagogia nazionale, e ci si è persino vantati del fatto che i vincitori angloamericani abbiano concesso l’onore delle armi alla “Folgore”. Questi poi sarebbero i patrioti italiani: si compiacciono di aver riscosso la stima degli angloamericani; un dettaglio che smaschera l’affinità sostanziale con il politicorretto attuale. Coerentemente una discepola di quella pedagogia patriottica oggi si compiace di aver ricevuto il bacio in testa da Biden.

 

Il militarismo non può permettersi di essere serio; il paradosso è già stato delineato da Julian Assange: la priorità in guerra non è vincere ma fare affari con le armi per più tempo possibile. Un militarismo serio sarebbe quindi un ossimoro, perché la decisione più seria riguardo ad una guerra sarebbe di non farla.

Di Comidad

 

Ringraziamo Mario C. “Passatempo”

 

09.05.2024

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