Di Stefano Vespo per ComeDonChisciotte.org
Sull’altare del sacrificio
La natura degli estremismi è quella di generare o di aggravare un conflitto. Perchè è grazie al conflitto che gli estremismi possono raggiungere il loro vero scopo, cioè affermare il proprio potere, il potere della fazione politica che rappresentano, eliminando ogni altro gruppo, ogni alternativa. Per far questo, applicano un metodo infallibile: quello di infiltrarsi nella condizione di miseria, nel disagio, nella rabbia di una comunità o di un gruppo sociale, indirizzando questi verso l’obiettivo della lotta. Ma si tratta di una lotta ad oltranza, una lotta trasformata in guerra santa contro un nemico assoluto, in uno scontro tra bene e male. Sbaglia chi pensa che abbiano a cuore le speranze della comunità che è stata invasa dalla loro presenza. L’obiettivo non è affatto il bene di un gruppo o di un popolo: questi possono benissimo essere sacrificati, giocando il ruolo dei martiri. Possono essere mandati al macello, se questo serve alla affermazione della fazione estremista.
Il disagio, la miseria, la rabbia sono una risorsa che i fondamentalismi sfruttano per acquisire potere e prestigio. Una risorsa necessaria alla loro esistenza. Quindi, la responsabilità della loro diffusione è in ultima analisi anche di chi opprime con la propria intransigenza, la propria crudeltà e cecità un popolo, un gruppo sociale, una comunità.
Le azioni di aperta violenza perpetrate contro la striscia di Gaza da parte di Israele, un atteggiamento condannato anche dalla parte politica progressista israeliana, sono state le principali responsabili dell’affermazione dell’estremismo e del fondamentalismo di Hamas.
Ma c’è il rischio che anche tra gli occidentali si propaghi un’attrazione per questo tipo di estremismo, soprattutto tra quelle categorie che la nostra politica e il nostro intero sistema di vita stanno sempre più opprimendo, spingendo ai margini, privando di un futuro, di ogni speranza. Mi riferisco soprattutto alla categoria dei giovani, a cui sono state sottratte non soltanto la sicurezza, ma anche le idee e le parole con cui poter descrivere un futuro. A cui non rimane altro che la violenza dell’azione.
L’appello di Hamas, tra Oriente e Occidente
L’attacco inaudito e senza precedenti di Hamas avvenuto tra la sabbia del deserto è una pietra posta per far inciampare innanzitutto il mondo arabo. Israele, spaccata tra una visione integralista e una progressista, adesso imboccherà la strada del conflitto aperto e della repressione: senza alcun limite, stando alle parole di Netanyahu.
La Palestina allora si compatterà sempre di più intorno all’estremismo di Hamas, avviato a diventare l’unico partito e movimento politico. Hamas, che con questa azione ha dimostrato di possedere notevoli abilità strategiche, apparendo agli occhi dei giovani Palestinesi come l’unica organizzazione in grado di comprendere il loro bisogno di riscatto, di futuro, di vendetta.
Come reagirà allora quella parte del mondo arabo, con l’Arabia Saudita in testa, che si stava da poco avvicinando a Israele e all’Occidente tramite gli accordi di Abramo? Quell’avvicinamento temuto soprattutto dall’Iran, capofila della parte più intransigente. Il mondo arabo, la cui unità era minacciata da quegli accordi, potrà ritrovare coesione nell’opinione pubblica dei propri paesi, offesa e sconcertata dalla violenza e dalla crudeltà di Israele, colpita profondamente da una vendetta che si annuncia già spaventosa.
L’attacco di Hamas è stato pensato come un imperativo a scegliere da che parte stare. Un imperativo rivolto innanzitutto ai popoli arabi. Un appello che mira a negare qualunque possibilità di dialogo, di accordo, di pace. Un appello la cui urgenza è sottolineata dalle vittime degli attacchi di Israele su Gaza.
Ma anche il mondo occidentale inciamperà sulla stessa pietra, e forse ha già avvertito risuonare dentro di sè l’appello lanciato tra la sabbia di quel deserto.
Probabilmente è la crisi profonda che l’Occidente sta attraversando che darà ad Hamas un rilievo del tutto inaspettato.
Anche l’Occidente è intimamente lacerato. Gli ultimi cinque anni hanno accelerato nei cittadini occidentali la crisi della fiducia in qualsiasi istituzione: da quelle sociali, a quelle culturali e religiose. La sfiducia nella politica è ormai completa: nessuno si illude più di ritrovare ideali o prospettive nei partiti che ancora si dividono i voti di quei pochi che frequentano ancora le urne. Tutto è stato eroso dall’interno. La nostra società appare sempre di più gestita da un apparato di potere economico e tecnologico, privo di qualunque scopo che non sia la sempre più stringante sorveglianza. Il puro esercizio della potenza della tecnica. Tutto, ma veramente tutto, ogni piega della nostra vita, subisce un rigido controllo, una ferrea disciplina. La tecnologia, la pianificazione burocratica hanno sostituito la politica stessa.
L’azione di Hamas potrebbe avere la tremenda capacità di catalizzare e fare esplodere un malcontento profondo anche nell’Occidente. Un malcontento che la propaganda occidentale ormai non riesce più ad arginare. Una prova è la sempre più fievole e screditata presa della propaganda della guerra in Ucraina, il fatto che in Europa cresce sempre di più l’opposizione a quella guerra e a tutte le guerre. E anche adesso, si cominciano a riproporre le stesse strategie del consenso: dall’imbarazzante copione in cui si dipinge Israele come vittima, alla prevedibile esclusione da premi e riconoscimenti di artisti e intellettuali palestinesi. Strategie che sembrano essere partorite da un’intelligenza artificiale, tanto sono banali e ripetitive.
In Occidente cresce sempre di più l’opposizione tra società civile e il mondo della politica e delle istituzioni.
Il futuro della politica
Quale può essere, in queste condizioni, il futuro per la pratica politica in Occidente? O meglio, all’interno di quali prospettive politiche potranno crescere le nuove generazioni in Occidente? Ma si può essere ancora più precisi: in un clima del genere, come è risuonato alle orecchie dei giovani l’attacco di Hamas? Conviene rispondere a quest’ultima domanda prima di affrontare le altre due.
A quale gruppo sociale vengono negati il futuro e la speranza? A chi viene programmaticamente inibita la fiducia nei valori e negli ideali? A chi si prospetta un’esistenza il cui massimo obiettivo è la conquista di un lavoro per sopravvivere? Qual è il gruppo sociale che il mondo occidentale costringe a vivere in una sorta di striscia di Gaza virtuale? Quanti gruppi politici e quanti ragazzi avranno sentito in quel gesto l’espressione della propria volontà di spezzare un clima divenuto ormai insopportabile?
Noi adulti forse siamo disposti a vedere, a sopportare, ad accettare il vuoto a cui la nostra storia ci ha condotti: il vuoto ideologico, la compressione dentro un futuro senza luce, una società sempre più cinica e assoggettata al controllo tecnologico, il vuoto delle istituzioni e della politica. I giovani invece no: non sono disposti ad accettarlo, questo vuoto, perchè per loro potere affidarsi ad un mondo leggibile e dotato di senso è una questione vitale.
Inoltre, questo mondo non lascia nessuno spazio alla libera progettualità, ai sogni: si tratta soltanto di sopravvivere, di inseguire il miraggio di un lavoro sempre più lontano.
Per un ragazzo, tutto è preferibile a questo vuoto, all’assenza completa di prospettive. Non essendoci più parole a cui affidarsi, dove può incanalare i propri ideali, le proprie aspettative? É chiaro che gli resta soltanto una cosa: l’azione violenta, risolutiva. Di fronte al vuoto, meglio un gesto di violenza. Molti ragazzi vedono in quel gesto l’urto formidabile da dare ad un mondo senza più futuro.
L’estremismo in generale rischia di riscuotere simpatie infiltrandosi in queste fratture, in queste lacerazioni.
Quali saranno quindi i politici di domani? Non più quelli cinici e docili, istallati nelle stanza del potere, sempre più screditati, sempre più impotenti di fronte ai veri capi globali. Saranno giovani animati dalla rabbia, guidati da politici che adopereranno nei loro discorsi mitologie di riscatto, di redenzione sociale la cui forza si nutre della condizione di marginalità, del senso di esclusione e di oppressione di chi le ascolta.
Quanto sono distanti i nostri ragazzi dai giovani che Hamas ha sedotto con il mito del riscatto, della lotta violenta, di un futuro radioso in cui il nemico sarà finalmente schiacciato?
La politica senza idee
Il futuro per la politica in Occidente potrebbe essere questo. Le nuove leve dei giovani vorranno distruggere il sortilegio del vuoto, per erigere un nuovo mito: quello dell’azione violenta e risolutiva. Un’azione priva di autentiche idee, cieca e fine a se stessa, indirizzata alla mera conquista del potere, a scapito di tutto e tutti.
Quali idee infatti potrebbero avere cittadinanza in un contesto come quello disegnato? Ci sarà spazio soltanto per una visione vittimistica e vendicativa della realtà, una visione che divide il mondo in buoni e cattivi: una percezione della realtà ridotta nello schema della guerra santa contro il nemico. Ma queste non sono idee: sono bandiere agitate per stimolare la violenza, sono mitologie del tutto omogenee per struttura a quelle che da sempre si danno in pasto alla rabbia delle masse totalitarie. Pura e semplice distruzione. Cosa dovrà essere costruito dopo, nessuno si cura di pensarlo, di saperlo, di indicarlo.
Questa visione, che si avvia a sedurre sempre più persone, condivide la stessa radice da cui nasce il vuoto che vorrebbe combattere: la riduzione della politica a semplice procedura priva di qualunque luce razionale, di qualunque riflessione sugli scopi, sugli obiettivi da realizzare, priva appunto di idee. Questa visione è la più perfetta erede del vuoto ideologico dell’Occidente.
Passando dalla visione della politica burocratica e tecnocratica dentro la quale viviamo adesso, a quella fondata sulla pratica della violenza, non cambierà nulla, il fondamento rimarrà il medesimo: quello di una politica che ha negato le idee, ridotta a mera procedura, a mera prescrizione pratica.
Di Stefano Vespo per ComeDonChisciotte.org
Stefano Vespo. Poeta e scrittore. Laureato in Filosofia, attualmente insegna lettere al Liceo di Nicosia. Sposato, vive a Sperlinga. Scrive su temi di politica e società su ComeDonChisciotte.