Il filo che unisce la morte di Skripal alla Brexit

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DI MAURO BOTTARELLI

ilsussidiario.net

Sembra ci sia più di una cosa che non torna nella morte per avvelenamento di Sergei Skripal che ha provocato uno scontro tra Regno Unito e Russia.

Guardate la “torta” più in basso, fa parte dell’ultimo report di JP Morgan, pubblicato giovedì e dedicato ai principali tail risk globali nella visione dei grandi manager della finanza, principalmente gestori di fondi. Come vedete, la Russia e la sua presunta volontà di intromissione politica non appare esattamente una priorità. Sapete qual è la voce mancante, quella della parte blu maggioritaria nel grafico? L’incertezza della politica negli Usa, in principal modo legata al commercio. Insomma, chi investe sa qual è il problema. E dove risiede. Ma si sa, la narrativa – come diceva Goebbels – non necessita di basi di verità. Anzi, più una bugia è spaventosa e inverosimile, più viene accettata per vera, se veicolata a dovere e con martellante assiduità. E per quanto non abbia alcuna base reale, la criminalizzazione della Russia legata al Russiagate, alla fine, è riuscita a introdurre e inoculare nelle vene dell’opinione pubblica una dose minima di russofobia che permette manipolazioni in serie. E di alto livello. 

Un quotidiano australiano ieri faceva notare che la Regina Elisabetta II ha pronto un discorso alla nazione in caso di scoppio della Terza guerra mondiale: fu preparato nel 1983 e nessuno sa se da allora ha subito variazioni. O anche soltanto una rilettura. All’epoca c’era ancora il Muro di Berlino, la divisione in due blocchi, la Guerra Fredda: e ora, si chiedeva retoricamente il giornale down under? con la crisi legata all’avvelenamento dell’ex spia sovietica vendutasi all’MI6, Sua Maestà dovrà prendere penna e bianchetto e dare una rinfrescata a quel discorso? L’impatto retorico di quanto accaduto giovedì, d’altronde, è da Dottor Stranamore (se non avete mai visto il capolavoro di Stanley Kubrick, è decisamente arrivato il momento di farlo). 

 

Theresa May, degnatasi dopo oltre una settimana dall’accaduto di andare a fare visita a Salisbury, cittadina teatro del presunto avvelenamento, ha usato toni veramente da Guerra Fredda 2.0 contro Mosca, incassando la solidarietà della colonia numero uno degli Usa in Europa, la Germania, degli Usa stessi e del recalcitrante Emmanuel Macron, in un primo tempo colto da attacco di buonsenso – ovvero, intenzionato ad avere delle prove concrete contro il Cremlino, prima di condannare ufficialmente – e poi accodatosi al carro dei maccartisti da cabaret. L’Italia si è limitata a un attestato di solidarietà da parte di Angelino Alfano (deve averlo intercettato Federica Sciarelli con il suo Chi l’ha visto?), visto che nessuno le ha chiesto – come al solito – nemmeno un parere generale. Contiamo davvero quanto il Burkina Faso in Europa, su questo Silvio Berlusconi non ha una ma cento ragioni. Insomma, siamo di fronte a un rinnovato patto atlantico in chiave anti-russa, tanto che la Nato – per bocca del suo segretario, Jens Stoltenberg – ha parlato di atto contro la sicurezza internazionale, mentre da Londra arrivavano contestualizzazioni storiche dell’accaduto che vedevano l’avvelenamento come il primo atto di utilizzo ostile di un agente chimico in Europa dalla fine della Seconda guerra mondiale. 

Di più, quella lince geopolitica di Donald Trump ha immediatamente colto la palla al balzo, annunciando nuove sanzioni unilaterale contro Mosca. Casualmente, l’Ue ha rinnovato le sue fino al 15 settembre solo l’altro giorno: qualcuno già sapeva dello showdown a Westminster e ha voluto portarsi avanti con il lavoro? Ho notato con dispiacere che anche su queste pagine la tesi di Vladimir Putin come grande cerimoniere delle vendette postume interne ai servizi russi è prevalente, quindi mi schiero sul banco della difesa, lasciando quello comodo della pubblica accusa ad altri. E pongo qualche domanda. Primo, perché si impone a Mosca di discolparsi dalle accuse entro 24 ore, ponendo un inaccettabile ultimatum che puzza lontano un miglio di condanna preventiva ma si ignora contemporaneamente la sua richiesta – più che legittima, viste le accuse – di poter analizzare il materiale radioattivo utilizzo a Salisbury, al fine di poter fornire collaborazione alle indagini in corso? E perché, se l’atto è così grave e il marker criminale del Cremlino così palese, le autorità britanniche ci hanno messo almeno tre giorni, prima di mettere in campo un apparato di intelligence e gestione del rischio biologico degno della minaccia che ora denunciano al mondo? Per quale ragione, poi, ammazzare in quel modo un ex spia, già perdonata 8 anni fa, lasciata vivere in pace da allora nel Regno Unito e, di fatto, totalmente innocua per Mosca a livello di segreti rivelabili al nemico? Oltretutto, lasciando tutte quelle tracce. Oltretutto, a pochi giorni dalle presidenziali e a pochi mesi dai mondiali di calcio, cui non parteciperanno né membri della famiglia reale britannica, né alti funzionari di governo in segno di protesta e boicottaggio. 

Perché? Cosa ha da guadagnare Putin da un atto simile, politicamente? Da quanto mi pare di aver capito, stando alla tesi propagandata ieri su queste pagine, quanto accaduto risiede nella natura vendicativa stessa dei servizi segreti russi, un po’ come la storiella della rana e dello scorpione. È nella loro natura vendicarsi e non scordare i tradimenti, non c’è nulla da fare, anche se questo comporta la condanna e l’isolamento internazionale, così come la propensione a pungere condanna lo scorpione ad annegare insieme alla rana che lo stava traghettando dall’altra parte del fiume. Interessante, non c’è che dire. Insomma, i temibili servizi segreti russi, l’Fsb figlio del Kgb, sarebbe un branco di vendicativi incapaci di reprimere odio ed emozioni e intenti ad atti scriteriati come quello di Salisbury, con tanto di beneplacito del Cremlino, dove alberga uno che del Kgb è stato proprio massimo dirigente. Sarà, ma qualche dubbio mi resta, scusatemi. Anche perché, pur avendo Vladimir Putin il phisique du role del cattivo per antonomasia, occorrerebbe non dimenticare la storia recente della Gran Bretagna e dei suoi di servizi segreti. 

Ricordate David Kelly, per caso? No, non è un centrocampista dei Rangers di Glasgow, ma l’ispettore sugli armamenti nucleari iracheni che sbugiardò Tony Blair e il suo governo davanti al mondo, parlando del dossier contro Saddam Hussein come di un qualcosa di manipolato. Nel luglio del 2003, Kelly fu trovato morto misteriosamente in un parco pubblico a un miglio da casa sua. La versione ufficiale dell’inchiesta avvalorò ovviamente la tesi del suicidio, la coscienza non aveva retto dopo quell’accusa così grave, ma resta un fatto: chi fu l’unico “beneficiario” di quella morte? L’intelligence britannica, precipitata per un certo periodo nella crisi più nera e poi scagionata di colpo: quantomeno grazie all’oblio sul tema seguito alla morte di Kelly. Mettici poi un bell’allarme terrorismo globale, debitamente pompato dall’allarmismo dei media e quelli che fino al giorno prima erano manipolatori di prove di colpo tornano a essere gli eroi che ci difendono dal male. E con quali mezzi ottengano quel risultato non interessa a nessuno, quando di mezzo c’è l’incolumità della tua famiglia. 

Eh già, avete notato come – da quando la Russia ha sbugiardato le bugie occidentali in Siria -l’allarme Isis sia sparito da giornali e tg: di colpo l’Europa pare immune dal fondamentalismo, l’unico rischio è quello russo. E le centinaia, migliaia di foreign fighters che sarebbero tornati da Siria e Iraq per scatenare l’inferno in terra in Europa? Forse hanno trovato traffico al casello o al check-in. In compenso, ci sono hacker e avvelenatori russi ovunque. A perdita d’occhio. Attenzione, avvelenatori anche abbastanza stupidi, visto che per tentare di ammazzare Sergei Skripal e sua figlia avrebbero usato un agente chimico di stretta fabbricazione post-sovietica: già che c’erano, potevano lasciare un biglietto da visita. Nessuno si sarebbe stupito, in un mondo dove i “terroristi” lasciano i passaporti in bella vista. 

D’altronde, è nel nostro DNA europeo post-bellico la russofobia. Per quale scopo sono nate l’Ue, fin dai suoi prodromi carboniferi e la Nato, se non per contrastare l’influenza di Mosca in un mondo bipolare e con la Germania divisa in due? E poi, sarà un caso che la dissoluzione dell’Urss risalga al dicembre 1991 e l’atto supremo di costituzione dell’Ue, il Trattato di Maastricht, al febbraio 1992? In Afghanistan, oggi, ci sono 15mila soldati statunitensi e da tutti viene ritenuta una nazione “occupata”: bene, nel mondo ci sono 275mila militari Usa, di cui 47mila solo in Germania, 15mila da noi in Italia e 8mila nel Regno Unito. Cosa siamo se non una colonia militarizzata della corporate America? Vi stupisce, quindi, che seguiamo pedissequamente i desiderata del Dipartimento di Stato, fresco fresco di licenziamento del troppo raziocinante e diplomatico Rex Tillerson, insignito non a caso anni fa da Vladimir Putin della “Croce dell’amicizia”, la più alta onorificenza russa per cittadini stranieri, il corrispettivo della Legion d’Onore francese? 

E poi, come dimenticare che recentemente 25 su 28 Stati dell’Ue hanno siglato un accordo di cooperazione militare avanzata conosciuto come Permanent Structured Cooperation (Pesco), il cui scopo è quello di integrare strutturalmente le forze armate dei vari Paesi europei. Insomma, il prodromo seminale del Famoso esercito comune europeo. E chi è rimasto fuori? Danimarca, Malta e – rullo di tambura -, la Gran Bretagna a causa del Brexit. E se dopo l’ondata di psicosi inutile legata all’allarme Isis nelle nostre società, servisse lo spauracchio russo – il nuovo maccartismo 2.0 – per fare tornare a più miti consiglio sull’addio all’Ue anche i conservatori più recalcitranti, oltre che la parte più orgogliosamente isolazionista dell’opinione pubblica britannica? 

Chi è, non a caso, il più grande sponsor del cosiddetto Bregret e della necessità di un secondo referendum nel Regno Unito, ora che i sondaggi parlano di una vittoria del Remain? Tony Blair, proprio il giubilato del caso Iraq, delle prove manipolate e degli scienziati militari misteriosamente trovati morti su una panchina del parco. Viene da pensare, da riflettere. Anche perché in perfetta contemporanea con l’escalation diplomatica contro Mosca di giovedì, le cronache economiche ci dicevano che dopo 100 anni, il gigante Unilever abbandonava Londra come quartier generale in favore di Rotterdam. La ragione? Il Brexit, ovviamente e l’incertezza che ne circonda i dettagli e le conseguenze. 

Tutte criticità che l’assoluto dilettantismo politico di Theresa May e del caravanserraglio dell’esecutivo che sta guidando, Boris Johnson in testa, hanno soltanto aggravato, basti notare al riguardo la progressiva e ormai tangibile perdita di pazienza al riguardo non solo del negoziatore Ue, Michel Barnier, ma degli stessi Jean-Claude Juncker e Donald Tusk, massimi vertici politici europei. E con le truppe di mezza Europa già schierate nel Baltico per contenere la minaccia russa e la Nato ormai egemone nell’ex sfera di influenza sovietica dei Balcani, un bell’allarme come quello scatenato dal caso Skripal appare come manna per poter vendere all’opinione pubblica britannica la necessità di un congelamento temporaneo delle pratiche del Brexit, non fosse altro per la necessità di collaborazione più stretta con le altre intelligence e gli altri eserciti europei. Oltretutto, questo appianerebbe anche l’ultima diatriba sorta con Bruxelles, ovvero il pasticciaccio brutto dei confini fra Irlanda e Irlanda del Nord, capace di evocare fantasmi ancora molto vivi e scalcianti nell’armadio della storia recente britannica. 

Insomma, se l’avvelenamento di Skripal fosse stato il prezzo necessario per raggiungere un obiettivo più importante? Serve che scomodi Machiavelli o vi basta questo? 

 

Mauro Bottarelli

Fonte: www.ilsussidiario.net

Link; http://www.ilsussidiario.net/News/Economia-e-Finanza/2018/3/18/SPY-FINANZA-Il-filo-che-unisce-la-morte-di-Skripal-alla-Brexit/811815/

18.03.2018

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