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La Redazione

 

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Germanwings, Malaysia Airlines e la politica dei disastri aerei

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A cura di Davide
Il 30 Marzo 2017
1574 Views

DI FEDERICO DEZZANI

federicodezzani.altervista.org

A distanza di due anni dallo schianto del volo Germanwings 9525 sulle Alpi francesi, il padre del presunto responsabile della tragedia aerea, il copilota Andreas Lubitz, ha pubblicamente rigettato le conclusioni delle autorità francesi e tedesche: testimonianze inventate, errori nelle indagini, omissioni ed un movente, la depressione del figlio, senza fondamento. La versione ufficiale, fabbricata da media ed inquirenti nell’arco di 24 ore dallo schianto e rimasta immutata sino ad oggi, poggia su basi molto fragili. E se ci fossero analogie fra il volo 9525 della Germanwings ed i due disastri aerei che colpirono la Malaysia Airlines nel 2014? Due compagnie aeree di altrettanti Stati, Germania e Malesia, ai ferri corti con l’establishment atlantico e perciò oggetto di una moderna politica delle cannoniere.
Disastri aerei: la continuazione della politica con altri mezzi
La “guerra ibrida”, “senza limiti” o “non ortodossa”, non è una materia fossilizzata, ma in costante divenire: chi volesse studiarla, ed è lo scopo dei nostri articoli, si confronta con un oggetto mobile, sfuggente e sempre nuovo. Lo studio del passato fornisce certamente utili strumenti per interpretare quanto accade: raid finanziari, aggiotaggi di borsa, attentati terroristici, omicidi politici, campagne diffamatorie, etc. etc., appartengono da sempre all’arsenale della guerra ibrida ed è sufficiente scavare un po’ nella storia per trovare comodi precedenti. Tuttavia “la vitalità” dell’argomento costringe spesso l’analista a confrontarsi con avvenimenti del tutto nuovi e non sempre facilmente decifrabili: l’intuito è fondamentale, ma occorre anche una certa cautela per evitare di compiere passi falsi. Talvolta bisogna lasciare trascorrere un po’ di tempo e, raccolta una quantità sufficiente di indizi, ci può finalmente avventurare sui terreni più estremi e sconosciuti della “guerra ibrida”: come i disastri aerei, ad esempio.

Non è la prima volta che riconduciamo i disastri aerei alla più ampia guerra combattuta dall’establishment atlantico contro nemici od “alleati” riottosi ma, nel caso del volo Metrojet esploso sopra i cieli dell’Egitto e in quello del volo Egyptair MS804 scomparso nel Mar Mediterraneo orientale, le nostre analisi non erano poi così “temerarie”: in entrambi casi, media ed apparati di sicurezza parlavano apertamente di terrorismo e, di conseguenza, si trattava soltanto di spiegare chi e perché avesse effettivamente piazzato gli ordigni. Non certamente il fantomatico “Califfato”, ma quelle potenze che avessero conti in sospeso con Russia, Egitto e Francia.

Finora abbiamo tralasciato due episodi, cui ne va sommato un terzo solo apparentemente scollegato: il volo Germanwings 9525 schiantatosi sulle Alpi francesi il 24 marzo 2015, il volo 370 della Malaysia Airlines scomparso nell’Oceano Indiano l’8 marzo 2014 ed il volo 17, sempre della Malaysia Airlines, abbattuto sopra i cieli dell’Ucraina il 17 luglio 2014 da un missile terra-aria.

Arrivati nel 2017, dopo aver accumulato una quantità sufficiente di certezze, ci sentiamo sicuri a sufficienza da ricondurre tutti e tre i disastri aerei ad un unico denominatore comune: la “politica dei disastri aerei”, moderna versione della politica delle cannoniere con cui Londra, e poi Washington, hanno intimorito alleati e nemici per più di due secoli. L’abbattimento volontario degli aerei di linea è l’ennesima freccia all’arco della guerra ibrida, a fianco di attentati, sanzioni, campagne diffamatorie, embarghi, sabotaggi, etc. etc.

Cominciamo col volo 9525 della Germawings, tornato alla ribalta in questi giorni, a distanza di due anni esatti dallo schianto, grazie al coraggioso intervento del padre di Andreas Lubitz, il presunto responsabile della strage costata la vita a 150 persone: durante una conferenza stampa, Guenter Lubitz ha rigettato le conclusioni delle autorità francesi e tedesche, sottolineando come l’inchiesta fosse viziata da errori e false testimonianze: la confessione di una presunta ex-fidanzata rilasciata alla Bild sulle intenzioni di Andreas Lubitz di compiere una strage sarebbe, ad esempio, una classifica“fake news” dei grandi media. Sopratutto, secondo il padre del copilota, il figlio non soffriva di depressione al momento della tragedia, né aveva tendenze suicide: era sua intenzione, al contrario, sposarsi e costruirsi una famiglia1.

La tesi di Guenter Lubitz, prontamente liquidata dalla stampa come una provocazione (“I parenti delle vittime si sono già fatti sentire, accusandolo di insensibilità e di mancanza di rispetto” scrive La Stampa2) è una vera mina piazzata sotto la versione ufficiale della tragedia: se svanisse infatti la depressione di Lubitz e la sua volontà suicida/omicida, l’intero castello probatorio crollerebbe, lasciando il disastro aereo senza alcuna spiegazione. Già, perché gli inquirenti francesi e tedeschi, debitamente “imboccati” dalla stampa a distanza di 24 ore dallo schianto, hanno da subito seguito la strada del copilota depresso ed aspirante suicida, tralasciando qualsiasi altra pista. Sono così cadute nel vuoto le non poche voci, provenienti dal mondo dell’aviazione civile, che sollevavano dubbi sulla versione ufficiale ed evidenziavano le vistose irregolarità ed incongruenze nelle indagini.

Riepiloghiamo brevemente i fatti. Sono le 9.00 del 24 marzo 2015, quando il volo 9525 della Germanwings, compagnia low-cost della tedesca Lufthansa, decolla da Barcellona alla volta di Dusseldorf. Alle 9.30 l’Airbus invia un messaggio di routine per chiedere conferma della rotta, quindi, un minuto dopo, abbandona i 38.000 piedi per abbassarsi rapidamente: l’ultimo contatto radar risale alle 9.40, poi lo schianto contro una parete rocciosa delle Alpi francesi, nei pressi di Barcellonette.

L’asciutta cronaca dei fatti, fin qui, non differisce da quella di qualsiasi altro disastro aereo: le prime anomalie sopraggiungono ora. Se occorrono normalmente anni alle autorità civili e giudiziarie per accertare le cause di un disastro aereo (si pensi allo schianto del Concorde nel luglio 2000, investigato per quasi due anni dalla BEA), entro 24 ore dal disastro appare incredibilmente sui media, grazie ad una fonte anonima, “la soluzione” della tragedia, pedissequamente seguita dagli inquirenti fino alla conclusione delle indagini. “Germanwings Pilot Was Locked Out of Cockpit Before Crash in France” scrive il New York Times il 25 marzo3:

A senior French military official involved in the investigation described a “very smooth, very cool” conversation between the pilots during the early part of the flight from Barcelona, Spain, to Düsseldorf, Germany. Then the audio indicated that one of the pilots left the cockpit and could not re-enter.

“The guy outside is knocking lightly on the door, and there is no answer,” the investigator said. “And then he hits the door stronger, and no answer. There is never an answer.”

He said, “You can hear he is trying to smash the door down.”

Il New York Times, subito ripreso dalla stampa internazionale (“Germanwings, Nyt su scatola nera: Pilota cerca di buttare giù la porta della cabina” scriverà l’indomani il Fatto Quotidiano), lancia così, grazie ad una fonte militare francese anonima, la versione del copilota suicida/omicida, barricato nella cabina e deciso a suicidarsi trascinando con sé colleghi e passeggeri. Per alimentare questa tesi, a distanza di cinque giorni dal disastro aereo, appare sui media la trascrizione dell’ultima, disperata, conversazione tra il pilota, chiuso fuori dalla cabina, ed Andreas Lubitz: definirlo dialogo è eccessivo, perché il presunto suicida/omicida non proferisce una singola parola e si limita a “respirare“. Ora: non solo l’ECA (l’European Cockpit Association che rappresenta 38.000 piloti) protesterà formalmente per la diffusione dell’audio, in aperta violazione della normale prassi investigativa4, ma ci saranno addirittura piloti che contesteranno la veridicità della prova, asserendo che le cabine dell’Airbus A320 sono troppo rumorose perché la presunta conversazione possa essere stata registrata5.

La macchina mediatica è però partita ed è troppo veloce ed imponente per essere arrestata: “Airbus, Lubitz aveva anche problemi alla vista. Una ex: mi disse tutti conosceranno il mio nome”, Aereo caduto, il procuratore: prima di prendere il brevetto Lubitz aveva tentato il suicidio”, “A320 caduto: co-pilota killer provò la manovra suicida nel volo di andata”,“ Lubitz, Lufthansa sapeva della depressione. E spunta un video degli ultimi istanti”, etc. etc. Già, la Lufhtansa: le sue azioni precipitano in borsa e a nulla servono le difese dell’amministrazione delegato Carsten Spohr che evidenzia subito come Andreas Lubitz avesse superato tutti i test medici, ma anche tutti i test psicologici, e fosse atto al volo, al cento per cento.6”. La compagnia aerea tedesca finisce nella bufera e c’è addirittura chi ipotizza che il disastro aereo possa infliggerle il colpo di grazia: “Airbus Germanwings: ora Lufthansa rischia la crisi”7, Rischio bancarotta e allarme sicurezza: Lufthansa teme il crollo8”.

Considerato quanto avverrà nei mesi successivi, è lecito considerare il disastro aereo del 24 marzo 2015 come il primo capitolo dell’attacco sferrato dall’establishment atlantico alla Germania ed al sistema-Paese tedesco: seguiranno nella tarda estate il Dieselgate che affosserà Volkswagen e, l’anno successivo, il tentativo di George Soros e della finanza angloamericana di mandare a tappeto Deutsche Bank. Nella primavera del 2015, infatti, sono in corso i negoziati tra Atene e la Troika ed è grande il timore, negli circoli atlantici, che l’intransigenza tedesca e la strenua opposizione a qualsiasi condivisione del debito possano causare, presto o tardi, l’implosione della moneta unica e dell’Unione Europea. Colpendo prima la Lufthansa, poi la Volkswagen ed infine Deutsche Bank, l’establishment liberal piccona quindi la monolitica Germania, coll’obbiettivo di aprire qualche crepa nel sistema-Paese e ricondurre la classe dirigente tedesca a più miti consigli.

Il disastro aereo, quindi, come nuovo strumento della guerra ibrida: una spettacolare ed inquietante rappresaglia che l’establishment atlantico può effettuare contro qualsiasi Paese ribelle, a qualsiasi ora e su qualsiasi rotta. Con quale tecnologia? Come spiega un esperto dell’industria aerospaziale al Financial Times (“Wait for air safety professionals to complete investigations”9), le possibili cause dello schianto del volo Germanwings abbondano:

“(…) including external electronic hacking into the aircraft’s control and navigation systems through malware or electromagnetic interception. This is one reason military and head-of-state aircraft are generally installed with specific shielding and additional active protective measures. Civilian aircraft are not.”

Programmi informatici che esautorano de facto l’equipaggio e consentono ad anonimi intrusi (forse lo stesso “senior French military official” intervistato dal New York Times?) di pilotare il velivolo verso qualche catena montuosa, salvo, ovviamente, attribuire poi la colpa all’Andreas Lubitz di turno: il messaggio intimidatorio è stato comunque recapitato ed il destinatario l’ha quasi certamente ricevuto forte e chiaro.

Nel caso del volo Germawings 9525, come in qualsiasi altro episodio terroristico, è sempre utile cercare un precedente od un caso analogo: se il fenomeno, a parità di condizioni esterne, si ripete quasi uguale, si può dire che la teoria poggi su basi scientifiche. Ed il disastro “indotto” del volo 9525 ha almeno un precedente: il tristemente noto Malaysia Airlines 370, scomparso nell’Oceano indiano nella primavera del 2014.

Ricordiamo brevemente i fatti: l’8 marzo il Boeing 777 della compagnia malese decolla da Kuala Lampur alla volta di Pechino (si tenga a mente il particolare), con a bordo 239 persone. A distanza di un’ora dal decollo, i sistemi di comunicazione si spengono e il Boeing effettua una misteriosa virata a sud-ovest, verso l’Oceano Indiano aperto. Volerà sette ore, prima di finire il carburante ed inabissarsi in una delle zone più proibitive dell’oceano: le ricerche, protrattesi per quasi tre anni, saranno sospese nel gennaio 2017. Ha recentemente scritto il Messaggero, commentando gli ultimi sviluppi del “più grande mistero dell’aviazione civile”10:

“Per la Malaysia, è un’umiliazione. Il governo di Najib Razak, criticato all’inizio per la reticenza nel fornire informazioni chiare e per la generale incompetenza nella gestione dell’emergenza, non ha mantenuto le promesse di cercare il Boeing finché non sarà ritrovato. I parenti delle vittime, senza pace da allora, avevano alimentato polemiche che hanno anche incrinato i rapporti tra Kuala Lumpur e Pechino, proprio la rotta che avrebbe dovuto seguire l’MH 370. E anche oggi, alla notizia della cessazione delle ricerche, ci sono state reazioni negative e proteste”.

Fin dal marzo 2014, ed in maniera molto più convinta rispetto a quanto avverrà con il volo Germanwings, è avanzata l’ipotesi di un possibile dirottamento “informatico” del volo 370, attraverso quegli stessi strumenti di controllo remoto che avrebbero potuto trascinare l’Airbus della compagnia tedesca contro le Alpi: l’attenzione, in particolare, è rivolta alla base militare degli Stati Uniti nell’Oceano Indiano, la Diego Garcia11. Con una certa malizia si sottolinea anche come Washington sia stranamente reticente sulla scomparsa del Boieng, nonostante i sofisticati sistemi di sorveglianza schierati nell’Oceano Indiano, le avrebbero permesso di seguire, miglio dopo miglio, il tragico volo della Malaysia Airlines.

Gli Stati Uniti, in effetti, interverranno sulla vicenda a distanza di due anni, ma in modo piuttosto originale: cercando, come nel caso del volo Germanwings, di imporre la tesi del pilota suicida/omicida. “Malaysia Airlines, è stato un omicidio suicidio di massa premeditato dal pilota. Il New York magazine ha ottenuto un documento dell’indagine della polizia malese: dal rapporto emerge che il capitano, Ahmad Zaharie, meno di un mese prima dell’incidente, aveva effettuato con un simulatore casalingo un volo suicida.” scrive il Fatto quotidiano nel luglio 201612.

Il nostro impianto probatorio, forte di due singolari episodi, è già sufficientemente robusto, ma si può rendere ancora più solido concatenandoci una terza sciagura aerea, accaduta sempre nel 2014 e, incredibile coincidenza, riguardante sempre la Malaysia Airlines: è il tristemente noto volo 17, abbattuto nei cieli dell’Ucraina Orientale. Il 17 luglio 2014, un Boeing 777 della compagnia malese, in servizio lungo la tratta Amsterdam-Kuala Lampur, è intercettato da un missile terra-aria sorvolando un’area che Kiev avrebbe dovuto interdire, considerata l’intensità dei combattimenti in corso: nello schianto muoiono 283 persone.

Il disastro aereo è prontamente impiegato da Barack Obama per accusare Mosca (“evidence indicates that the plane was shot down by a surface-to-air missile that was launched from an area that is controlled by Russian-backed separatists inside of Ukraine”13) e fornisce l’assist decisivo alla cancelliera Angela Merkel per imporre al resto dell’Unione Europea le sanzioni economiche alla Russia: tuttavia c’è da chiedersi se sia una coincidenza che l’aereo abbattuto appartenga proprio alla Malaysia Airlines, una compagnia aerea che, fino a quel momento considerata tra le più sicure al mondo, registra l’incredibile record di due disastri aerei nell’arco di sei mesi, obbligando Kuala Lampur a rinazionalizzare la società per evitare la bancarotta.

Perché proprio la Malaysia Airlines? La risposta, come nel caso della Germanwings, si trova lontano da aeroporti, torri di controllo e radar: concerne, anche in questo caso, la geopolitica e la spietata guerra condotta dal declinante establishment atlantico per difendere la sua egemonia mondiale, in Europa come in Asia.

La Malesia, un Paese asiatico relativamente piccolo coi suoi 29 milioni di abitanti, è infatti strategica per il controllo dello Stretto di Malacca, un passaggio marittimo di vitale importanza, che unisce l’Oceano Indiano a quello Pacifico: l’80% del greggio africano e mediorientale importato da Pechino passa attraverso questa nevralgica strozzatura14. È quindi una priorità di Washington che la Malesia, storicamente diffidente verso gli americani, aderisca alla Trans-Pacific Partnership, l’accordo economico-commerciale concepito dall’amministrazione democratica di Barack Obama in chiave anti-cinese. Le pressioni americane sono però controbilanciate da Pechino, disponibile a firmare generosi contratti miliardari pur di impedire che Kuala Lampur entri nell’orbita angloamericana. Gli ammiccamenti di Pechino sono soprattutto ben visti dai settori della classe dirigente malese più “tradizionalisti”, ostili alle interferenze di Washington ed alle manovre, tanto opache quanto aggressive, per agganciare Kuala Lampur al TTP15. È proprio contro queste fazioni ostili a Washington che sono inviati due messaggi intimidatori consecutivi in rapida sequenza: prima il volo della Malaysia Airlines, scomparso nell’Oceano Indiano, e poi il volo 17, abbattuto sopra i cieli dell’Ucraina Orientale.

Appurata l’esistenza di questa nuova arma della guerra ibrida, “il disastro aereo”, che giudizio si può dare sulla sua efficacia?

Come gli altri strumenti analoghi (attentati terroristici, assalti speculativi, sanzioni, sabotaggi, scandali giudiziari, etc. etc.) si può tranquillamente dire che anche la strategia dei disastri aerei non riesca a supplire alla classica guerra “guerreggiata”, il cui scopo, come diceva Carl von Clausewitz, è quello di imporre la propria volontà ai nemici.

I due disastri aerei della Malaysia Airlines, seguiti da un grande scandalo mediatico-giudiziario contro il premier malese, non hanno infatti impedito a Kuala Lampur di avvicinarsi progressivamente a Pechino, fino a siglare, lo scorso novembre, una serie di accordi strategici che spaziano dalla difesa alle infrastrutture16. Né il disastro Germanwings, seguito dalla guerra economica a Volkswagen e dall’assalto speculativo alla Deutsche Bank, è servito ad ammorbidire Berlino, impedendo che il rigore teutonico portasse l’eurozona e l’Unione Europea sull’orlo del baratro. L’abbattimento degli aerei di linea è quindi la classica “continuazione della politica con altri mezzi”: ma se la vigliaccheria è sicura, l’utilità è incerta.

 

Federico Dezzani

Fonte: http://federicodezzani.altervista.org

Link: http://federicodezzani.altervista.org/germanwings-malaysia-airlines-e-la-politica-dei-disastri-aerei/

29.03.2017

1http://www.repubblica.it/esteri/2017/03/24/news/volo_germanwings_il_padre_del_pilota_accusa_e_chiede_riapertura_inchiesta-161266287/

2http://www.lastampa.it/2017/03/24/esteri/il-padre-del-pilota-della-germanwings-contro-la-procura-mio-figlio-non-era-depresso-non-voleva-suicidarsi-o8v0RvbSxxgJ1P7dyAoUlO/pagina.html

3https://www.nytimes.com/2015/03/26/world/europe/germanwings-airbus-crash.html

4http://atwonline.com/labor/pilots-union-germanwings-cvr-data-leak-serious-breach-rules

5http://christinenegroni.blogspot.it/2015/03/you-call-this-investigation-germanwings.html

6http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Schianto-Airbus-Lufthansa-il-co-pilota-Lubitz-aveva-superato-tutti-i-test-psicologici-8c718d09-a934-453a-9e78-5020f8f55452.html

7http://www.panorama.it/economia/aziende/airbus-germanwings-lufthansa-crisi/

8http://www.ilgiornale.it/news/mondo/rischio-bancarotta-e-allarme-sicurezza-lufthansa-teme-crollo-1111042.html

9https://www.ft.com/content/6dcd2266-dc79-11e4-b70d-00144feab7de

10http://www.ilmessaggero.it/primopiano/esteri/malaysia_airlines_volo_mh_370_mistero_scomparsa-2201702.html

11http://www.lastampa.it/2014/04/04/blogs/underblog/dubbi-e-trame-cospirazioniste-sullaereo-scomparso-2voyPJCVLosv063GHfJD2O/pagina.html

12http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/07/23/malaysia-airlines-e-stato-un-omicidio-suicidio-di-massa-premeditato-dal-pilota/2927885/

13https://obamawhitehouse.archives.gov/blog/2014/07/18/president-obama-speaks-malaysia-airlines-flight-mh17-russia-and-ukraine-and-situatio

14http://in.reuters.com/article/idINIndia-46652220100304

15https://www.google.it/search?q=ttp&oq=ttp&aqs=chrome..69i57j0l5.856j0j7&sourceid=chrome&ie=UTF-8

16https://www.theguardian.com/world/2016/nov/01/malaysia-najib-razak-defence-deal-china-beijing-visit

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