Genere, “identificarsi come” e identità

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Richard Knight – The Unz Review – 1 giugno 2023

 

Secondo Helen Joyce, il suo bestseller “Trans: when ideology meets reality” riguarda l’autoidentificazione di genere: l’idea che “le persone dovrebbero essere considerate uomini o donne in base a ciò che provano e dichiarano, invece che alla loro biologia“. Ma non ci dice cosa sia il genere. Quando le persone provano questi sentimenti o fanno queste dichiarazioni, che cosa provano e dichiarano? E cosa significa identificarsi in qualcosa? L’autrice sottolinea che le leggi nazionali, le politiche aziendali, i programmi scolastici, i protocolli medici, la ricerca accademica e le guide di stile dei media vengono tutti “riscritti per privilegiare l’identità di genere autodichiarata rispetto al sesso biologico“, ma non dice che cos’è l’identità di genere o, per meglio dire, che cos’è un’identità.

Esaminiamo queste domande per vedere se possiamo fare un po’ di chiarezza. In un precedente articolo ho sostenuto che il termine base dell’ideologia transgender, cioè “genere“, è solo un eufemismo che confonde il concetto di sesso. Se non si intende il sesso in sé, ma ci si riferisce a gruppi di caratteristiche che tendono ad andare con un sesso o con l’altro, questi sono semplicemente gruppi di caratteristiche che tendono ad andare con un sesso o con l’altro. Pensare che si tratti di cose distinte, chiamate generi, che “abbiamo” nel modo in cui abbiamo un sesso, è sbagliato.

Un modo migliore di vedere la questione lo troviamo nei termini archetipali di animus e di anima proposti da Carl Jung, ognuno dei quali, per quanto posso capire, era presente in misura diversa in entrambi i sessi. Inoltre, potrebbero coesistere in gradi diversi in due membri dello stesso sesso. Immagino quindi che avrebbe detto che in una donna come Margaret Thatcher, che era un leader e un leader deciso, l’animus era più forte che nella maggior parte delle donne, mentre l’anima era più debole, mentre qualcuno come Theresa May, un successivo primo ministro britannico, era più femminile. Ciò che non avrebbe detto è qualcosa di così banale come che la signora Thatcher aveva il “genere” di un uomo.

Nel mio caso, da ragazzo non sono mai stato molto interessato al calcio o alla storia militare; preferivo l’arte e la cucina. Disegnavo incessantemente sulla lavagna che mio padre aveva fatto montare sopra un camino inutilizzato e preparai la mia prima pagnotta di pane all’età di circa nove anni. Nessuno suggerì che avessi il “genere” di una ragazza o vide la mia arte o la mia cucina come un problema. Peraltro, mi piaceva anche andare all’avventura con una lancia fatta in casa e tornare con l’aspetto di chi è stato trascinato all’indietro attraverso una siepe. L’idea che le persone abbiano un genere, a meno che non si intenda il loro sesso, è una sciocca ed eccessiva semplificazione di una realtà che, per quanto variegata, chiunque può cogliere, né il fatto che a un ragazzo piaccia una cosa e a un altro un’altra solleva alcun dubbio sul loro sesso.

Quando ci chiediamo cosa significhi dire che qualcuno si identifica come qualcosa, ci troviamo di fronte a una differenza tra l’inglese americano e quello britannico, perché nell’inglese britannico, propriamente detto, non si può dire che qualcuno “si identifica in/come qualcosa”, ma si deve dire che “identificano se stessi in/come qualcosa”. In altre parole, nell’inglese britannico il verbo “identificare” è transitivo. Poiché è un po’ più facile spiegare la risposta alla nostra domanda in inglese britannico, userò questo per iniziare e passerò poi all’inglese americano.

Dire che qualcuno identifica se stesso in/come qualcosa significa che definisce o descrive se stesso in quel modo. Così un uomo che si avvicina alla scena di un incidente potrebbe identificarsi come un medico. Ma non è solo se stessi che è possibile identificare come qualcosa; potrebbe essere qualsiasi cosa. Possiamo identificare quella donna laggiù come francese, un uccello come appartenente a una certa specie o una pietra preziosa come uno smeraldo. Quindi possiamo dire che, nel contesto sessuale, un uomo che identifica se stesso come donna, si definisce tale. Ora, chiaramente le identificazioni non sono necessariamente corrette. L’uomo che si identifica come medico potrebbe non esserlo; la donna potrebbe non essere francese, e così via. Un uomo che si identifica come donna si identifica in modo errato.

Se ciò in cui ci si identifica è come ci si definisce, l’identità è ciò che si è. È un attributo che si possiede. Ognuno ha molti attributi, quindi ognuno ha molte identità; nel caso di un’attrice con due figli, per esempio, saranno tre, cioè quelle di attrice, donna e madre. Ma nell’uso politico odierno la parola “identità” ha un significato più ristretto. Sono disponibili solo poche identità politiche, definite in riferimento alle caratteristiche politicamente salienti di una persona, come la razza o il sesso. Così si può avere l’identità politica di essere bianco o nero o di essere uomo o donna.

Ogni identità politica si contrappone a una o più altre identità politiche e in certe coppie le persone con un’identità politica sono convenzionalmente descritte come oppresse dalle persone con l’altra. Così i neri sono convenzionalmente descritti come oppressi dai bianchi e le donne sono convenzionalmente descritte come oppresse dagli uomini. Questo deriva direttamente dal marxismo culturale e non ha nulla a che vedere con la reale oppressione di qualcuno. È solo teoria. Ma la teoria viene applicata in modo che i gruppi “oppressi” siano favoriti rispetto ai loro “oppressori”, facendoli sentire intitolati ad ottenere beni sociali come pietà, potere e trattamenti preferenziali. La lotta dei “gruppi di identificazione” favoriti per ottenere tali beni a spese dei gruppi opposti è nota come politica dell’identità.

Passando ora all’inglese americano, le persone che dicono di identificarsi in qualcosa tendono anche a parlare della loro “identità” e, in genere, confondono le due cose. Così un uomo che dice di identificarsi come donna dirà che essere una donna è la sua identità. È “ciò che lui è”. Ma dicendo questo aggiunge un errore all’altro. Non solo si definisce donna quando non lo è, ma insiste sul fatto di esserlo davvero. È come se qualcuno che si definisce Napoleone insistesse sul fatto di essere davvero Napoleone. Entrambi gli errori devono essere annullati prima di poter vedere che in realtà si tratta solo di Mario Rossi.

Dopo il genere, il concetto più importante dell’ideologia “transgender” è quello di identità di genere, definita come il senso profondo e interiore che una persona ha del proprio genere, cioè il senso profondo e interiore del proprio sesso. L'”identità di genere” di una persona “transgender” non è tuttavia la sua identità, ma una sua contraddizione. Un uomo che si definisce donna ha ancora l’identità di un uomo perché è ancora un uomo. Il termine “identità di genere” non si riferisce quindi né a un genere né a un’identità, ma all’idea che una persona ha del proprio sesso. Pertanto, quando sentiamo dire che qualcuno “mette in discussione la propria identità di genere“, si tratta solo di qualcuno che si chiede se sia maschio o femmina.

Come sottolinea Helen Joyce, l’ideologia “transgender” afferma che tutti noi abbiamo una “identità di genere“, che nella maggior parte dei casi coincide con il nostro sesso, ma nel caso dei “transgender” non è così. Ma è vero che tutti noi abbiamo un senso profondo e interiore del nostro sesso? Ho il sospetto che la maggior parte delle persone non abbia una cosa del genere più di quanto non abbia un senso profondo e interiore di quante braccia abbia. Per la maggior parte delle persone, il loro sesso è una parte così ovvia e familiare che non ci pensano mai, e ancor meno lo considerano come una cosa su cui poter avere delle opinioni. Se questo è corretto, le uniche persone che hanno “identità di genere” sono i “transgender”, ingannati dal senso profondo e interiore del proprio sesso.

Le “identità di genere” di queste persone possono essere profonde e interiori, ma se si identificano come membri del sesso opposto, si tratta di qualcosa di esterno, perché definirsi qualcosa è un atto che richiede un pubblico. Se si spingono fino a presentarsi come membri del sesso opposto, in quella che l’ideologia “transgender” chiama la loro espressione di genere, questo è un atto decisamente pubblico.

Le persone che si presentano come membri del sesso opposto si trovano in difficoltà se si aspettano che gli altri le identifichino come loro stesse si vedono. Proprio come Mario Rossi, presentandosi come Napoleone, ha più probabilità di essere visto come l’illuso Mario Rossi che come Napoleone, così un uomo che si presenta come donna ha più probabilità di essere visto come un uomo che si presenta come donna che come donna, né ha molte più probabilità di essere trattato come una donna di quanto Mario Rossi non sia trattato come un imperatore. Ma mentre Mario Rossi sa che deve sopportare che gli altri non approvino la sua idea di sé, questo è più di quanto i “transgender” possano fare. O almeno, è più di quanto possano fare se seguono l’esempio dei loro attivisti, che non possono tollerare che qualcuno non approvi le loro autodescrizioni.

Anni fa, quando gli attivisti “transgender” si chiesero cosa si potesse fare con queste persone non collaborative, venne loro un’idea. Perché non costringerli a sostenere le loro autodescrizioni? Così hanno iniziato a esercitare la loro influenza sui politici e a far sì che introducessero regole che vietassero i riferimenti a tutto ciò che non volevano fosse menzionato. Ciò significa che quando si vede un uomo che si presenta come donna, bisogna chiamarlo donna o almeno “donna trans“. Si noti che non possono chiamarlo “uomo trans“. Come termine per un uomo “transgender”, il termine sarebbe stato troppo descrittivo. L’idea era di nascondere il fatto che si trattava di uomini, non di rivelarlo. Gli “uomini trans” erano quindi donne, cioè quelle che si presentavano come uomini.

Le persone avrebbero dovuto riferirsi agli uomini “transgender” anche con il pronome “lei”. Se volessero riferirsi specificamente al sesso di queste persone, come quando si parla della loro partecipazione a sport femminili, non potrebbero chiamarle uomini, ma dovrebbero inventarsi locuzioni come quella di Piers Morganpersone nate in corpi biologici maschili“. Perché non obbligare le persone a rendersi ridicole e a far perdere tempo a tutti usando dodici sillabe invece di una?

E ancora, perché non far sì che i politici impediscano alle persone di usare anche le parole “mamma” e “papà” e “marito” e “moglie“, come Qantas ha detto al suo personale di bordo di smettere di fare nel 2018? Perché non vietare il termine “madre in attesa“, come ha fatto l’Associazione Medica Britannica (BMA) l’anno precedente, richiedendo che tali donne siano chiamate persone incinte? Perché non vietare anche il termine “allattamento al seno“? Perché non eliminare dal linguaggio tutti i riferimenti al sesso, ai ruoli sessuali e alle relazioni familiari con la motivazione che potrebbero “rendere invisibili gruppi di persone” (Qantas) o “offendere i transgender” (BMA)? Se non è consentito fare riferimento a fatti naturali fondamentali, le persone potrebbero dimenticare che si tratta di fatti naturali fondamentali.

I politici hanno pensato che questa fosse un’idea così eccellente che non riuscivano a capire perché non ci avessero pensato loro stessi, e così nel 2015 è stato possibile licenziare due operatrici di asilo nido texane che si erano rifiutate di chiamare una bambina di sei anni “John” dopo che i suoi “due genitori maschi” si erano lamentati. Il fatto che le donne, come ha spiegato una di loro, si fossero “preoccupate di creare confusione alla bambina” era assolutamente irrilevante. Nel 2016 un uomo britannico è stato condannato per crimine d’odio per aver salutato un uomo che conosceva di vista con le parole “Come va, vecchio mio?” dopo che quest’ultimo, un veterano dell’Afghanistan, aveva deciso di identificarsi come donna. Durante l’udienza d’appello dell’anno successivo, il denunciante avrebbe singhiozzato mentre diceva alla corte di aver trovato il saluto “molto sconvolgente“. Aveva “negato la sua umanità” (nota: la condanna è stata annullata).

Nel 2018 un insegnante americano ha perso il lavoro quando ha detto alla sua classe di bambini di sette anni: “Non fatela andare contro il muro!”, dimenticando che la bambina in questione si definiva ormai un maschio. Una donna che rappresentava il distretto scolastico ha illustrato il calibro mentale di coloro che applicavano le regole quando ha dichiarato: “Si trattava in effetti di una discriminazione, perché per tutti gli altri studenti venivano usati i pronomi ma non per questa studentessa“.

Abbiamo tutti sentito le storie. Nel 2018 un insegnante dell’Indiana è stato costretto a dimettersi dopo essersi rifiutato di seguire la politica della sua scuola che prevedeva di rivolgersi ai bambini “transgender” con i nomi di battesimo da loro stessi scelti. In un primo momento la scuola gli ha permesso di usare i loro cognomi, poi ha cambiato idea senza dare spiegazioni. Alla riunione in cui gli è stata comunicata la nuova decisione, ha trovato l’amministrazione scolastica “molto minacciosa e prepotente“. Il carattere degli attivisti “transgender” sembra avere un modo di trasmettersi ai loro delegati. Nel 2021 un padre canadese è stato incarcerato per aver chiamato la figlia quattordicenne “sua figlia” e per essersi riferito a lei come “lei“. Si trattava di oltraggio alla corte, poiché gli era già stato intimato di smettere di farlo.

Proprio l’altro giorno, in Gran Bretagna, un insegnante è stato bandito dalla professione per aver “sbagliato” il termine di un’alunna dicendo “Ben fatto ragazze!”. Nella sua classe c’era una ragazza che si identificava come un ragazzo. Inoltre, avrebbe mostrato alla classe un video in cui si parlava di responsabilità degli uomini. Ha negato di averlo fatto, ma l’accusa è stata sufficiente.

A dimostrazione del fatto che è ormai inaccettabile riferirsi ai sessi in sé e non solo alle qualità generalmente associate ad essi, lo stesso giorno è stato reso noto che a una studentessa americana è stato dato un voto zero per un compito in cui aveva usato l’espressione “donne biologiche”. Il suo professore ha definito il suo lavoro “valido”, ma ha ritenuto l’espressione “escludente” così offensiva che il suo compito non poteva essere riconosciuto come meritevole.

E così vediamo la logica continuazione dei divieti su parole come “presidente” e “pompiere“, introdotti per volere delle femministe decenni fa. A questi sono seguiti, nel 2017, i divieti della Cardiff Metropolitan University su espressioni come “fatto a mano” (nel testo man-made), “braccio destro” (nel testo right-hand man) e “accordo tra gentiluomini“. Anche le parole “antenati” (nel testo forefathers) e “sportività” (nel testo sportsmanship) sono state escluse. Il termine “forza lavoro/truppe” (nel testo manpower) non poteva essere usato, mentre le alternative suggerite erano “staff” o “human resources“, il che significa che gli studenti che scrivevano della battaglia di Agincourt avrebbero dovuto dire che gli inglesi avevano vinto quando i francesi avevano esaurito lo staff o le risorse umane. Molte altre università hanno introdotto regole simili.

Tutto ciò applica la teoria alla base della Neolingua di George Orwell, secondo cui se manca la parola manca il concetto, e senza il concetto ci si comporta come se la cosa non esistesse. Il concetto principalmente destinato alla cancellazione è quello di uomo, come in tutti gli esempi del paragrafo precedente, ma come abbiamo visto, i nostri ingegneri linguistici ce l’hanno anche con il concetto di donna. Ciò che è veramente sotto attacco è la consapevolezza del fatto che esistono due sessi. Come nella Neolingua, il nostro vocabolario viene costantemente ridotto in modo da “diminuire l’ampiezza del pensiero“, ed è questo fatto fondamentale della vita che non dobbiamo pensare o, idealmente, essere in grado di pensare.

Questo ci allontana dalle domande con cui abbiamo iniziato, su cosa siano i generi, cosa siano le identità e cosa significhi identificarsi in qualcosa ma, per ripetere le risposte: il genere come proprietà di un essere umano non esiste, a meno che con questo non si intenda solo il suo sesso; l’identità di una persona è qualcosa che la riguarda; e quando qualcuno si identifica in qualcosa, si definisce quella cosa, che potrebbe benissimo non essere.

Siamo arrivati all’odierna infelice situazione grazie alla voglia megalomane degli attivisti “transgender”, ceduta non si sa perché ai politici, di controllare il linguaggio altrui in modo che le loro illusioni fossero sostenute e mai messe in discussione. Ma si è scoperto che la loro agenda si estendeva ben oltre l’impedire a chiunque di turbarli, fino a comprendere il rimodellamento del linguaggio in modo da escludere qualsiasi riferimento ai sessi o ai loro ruoli nella società o nella riproduzione. Così, quello che Shulamith Firestone aveva indicato nel 1970 come l’obiettivo finale della rivoluzione femminista, ossia l’eliminazione della distinzione di sesso in sé, si avvicina alla realizzazione.

 

richard_knightRichard Knight è il redattore di Radio 4 che si occupa attualità, come in precedenza alla BBC. Ha lavorato sul campo su alcune grandi storie e ha vinto diversi premi giornalistici. È anche padre di due ragazzi che fanno molte domande. Loro (e le sfide politiche che pensa la loro generazione dovrà affrontare) gli hanno ispirato If I Ran The Country, un’arguta introduzione alla politica per bambini, che mette il lettore al comando.

Link: https://www.unz.com/article/gender-identifying-as-and-identity

Scelto e tradotto (IMC) da CptHook per ComeDonChisciotte

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