DI GIANLUCA NERI
macchianera.net
Facciamo un gioco.
In questo gioco muore una persona a qualche chilometro da dove abiti.
Dopo qualche tempo, dicono che l’hai uccisa tu.
Dicono che sugli abiti di questa persona hanno trovato il tuo DNA.
Tu questa persona non la conoscevi, e perfino i suoi parenti dicono che lei non conosceva te.
Ma gli inquirenti continuano a dire che l’hai uccisa tu.
C’è un processo. Nomini un tuo avvocato.
Il tuo avvocato chiede di poter esaminare le prove.
Gli danno delle foto.
Lui dice che ha bisogno di esaminare personalmente le prove.
Gli dicono di no, che deve fidarsi dei professionisti che le hanno raccolte, e che è persino offensivo per la loro professionalità il fatto che non si fidi.
Il tuo avvocato dice che ha bisogno di fare analizzare le prove.
Gli stampano i risultati delle analisi.
Lui dice che le analisi dovrebbe poterle fare ripetere a esperti di cui si fida.
Gli dicono di no, che deve fidarsi degli esperti che le hanno analizzate, e che è persino offensivo eccetera eccetera.
Al processo, i professionisti che le hanno raccolte, esaminate e analizzate sono i periti o i testimoni dell’accusa.
Ti condannano all’ergastolo.
Il punto non è se quella persona l’hai uccisa tu o no. Quella è una cosa di cui non si ha la certezza, e se ti dicessi che sono convinto al 100% che sia stato tu, oppure che non sia stato tu, mentirei.
Il punto è: in mancanza di questa certezza, ritieni che lo Stato ti abbia messo in condizioni di poterti difendere adeguatamente?
Ecco, questo è esattamente quello che è successo a Massimo Bossetti.
E a tanti altri come lui che hanno storie molto più banali dietro alle proprie condanne.
Non è un bel gioco quello in cui le regole, per te, le decide il tuo avversario.
E non è un bel gioco quello in cui l’arbitro indossa la maglietta dell’altra squadra.
Gianluca Neri
Fonte: www.macchianera.net
Link: https://www.macchianera.net/2020/06/28/facciamo-un-gioco/?fbclid=IwAR1R_dkAeLBaHPEzLZBdYh1bptq0OJB-Wi5SpwVjF3xw7ayc-r35s6HNnrQ
28.06.2020