DI GIORGIOS KALLIS
adbusters.org
UN EPISODIO DIMENTICATO NELLA STORIA DI QUESTA DISCIPLINA RIVELA IL MODO IN CUI È STATA ELIMINATA LA DIVERSITÀ NELL’ECONOMIA.
La crisi economica sembra aver dato il via ad un processo di riesame della professione degli economisti. Cinque anni di crisi e gli economisti danno ancora queste risposte: “Creare nuove bolle”, “Tagliare il Tappeto Rosso”, “Liberalizzare la finanza nel resto del mondo”. Ma perché gli economisti continuano a sbagliare in questo modo?
L’Innovazione si alimenta con la diversità, ma in economia la diversità ancora scarseggia.
Un episodio quasi dimenticato nella storia di questa disciplina, raccontato da Tiago Mata nella sua dissertazione alla Borsa Valori di Londra, rivela come la diversità è stata eliminata dall’economia. Nel lontano 1986, un gruppo di giovani economisti radicali, prodotto delle proteste dei campus universitari degli anni ’60 e dei movimenti contro la guerra, iniziarono a contestare le basi della disciplina economica. Organizzati nell’Unione della Politica Economica Radicale, denunciavano la politicizzazione dell’economia, accusando altri colleghi economisti di ignorare le questioni importanti e di essere “strumentalizzati dalle ingiuste mire delle elite”.
Respingevano l’ “approccio marginalista”, mantra della moderna economia, accusandolo di aver fatto propri i presupporti del capitalismo e di sviluppare, solo marginalmente, la propria amministrazione.
L’avanguardia del gruppo era ad Harvard, dove docenti non di ruolo quali Arthur MacEwan, Samuel Bowles, Herbert Gintis e Thomas Weisskopf insegnavano in un corso dal titolo “Il sistema capitalista: conflitto e potere”. L’Harvard conservatrice considerava il corso una vergogna. Ma erano ancora gli anni ’60 e l’economia non era ancora l’economia. Uno dei docenti di Harvard, John Kenneth Galbraith, economista politico non convenzionale e grande alleato dei giovani radicali, era presidente della American Economic Association. Galbraith nutriva molte diffidenze sul fatto che l’economia si fondasse su delle reali teorie e usò il suo discorso presidenziale del 1972 per sostenere questa “nuova e articolata generazione di economisti” che esigeva informazioni e risposte politiche importanti. Non tutti erano d’accordo. Seguì negli anni a venire una campagna mirata a sradicare questi economisti radicali da posizioni importanti. Furono revocati contratti dopo contratti e mandati dopo mandati, compresi quelli dei “quattro” di Harvard.
Tra questi, il caso più eclatante fu quello di Sam Bowles, uno dei più brillanti economisti della sua generazione, come confermarono i suoi successivi lavori. La sua candidatura fu respinta nel 1973 con 19 voti contro e 5 a favore. Aveva avuto il sostegno dei membri più importanti del dipartimento, J.K. Galbraith e il vincitore del premio Nobel Wassily Leontief e il futuro Nobel Kenneth Arrow. Albert Hirschman fu uno degli altri due che votarono a suo favore, come ci racconta il suo biografo in un discorso commemorativo a cui ho assistito recentemente a Boston e che ha portato alla mia attenzione l’intera vicenda di Harvard.
Hirschman, un economista moderato, nel 1974 abbandonò Harvard amareggiato per andare a Princeton; lo stesso fece Leontief per la New York University nel 1975, dopo aver servito Harvard per 30 anni, dando lezioni a quei grandi conservatori del calibro di Paul Samuelson e Robert Solow. Galbraith si ritirò nel 1975 dopo mezzo secolo ad Harvard, puntando deciso alla West Coast. Con l’esclusione di Bowles, la partenza di Leontief, Galbraith e Hirschmann, ebbero fine le famose battaglie tra docenti moderati e conservatori di Harvard, non solo riguardo ai ruoli ricoperti ma anche sul governo dell’Università e sulle occupazioni studentesche, quelle battaglie che negli anni ’70 avevano portato il dipartimento ad uno stallo.
I giovani radicali non ebbero la stessa fortuna dei loro più affermati sostenitori più anziani. Furono relegati alle università meno prestigiose, rifugi radicali come la New School di New York e la UMass Amherst. La UMass offrì a Bowles la possibilità di fondare un suo istituto ed ospitare altri giovani radicali estromessi da Harvard, Yale ed altrove, come i marxisti Stephen Resnick e Richard Wolff.
L’ American Economic Association ritenne che non vi era alcuna motivazione politica dietro l’epurazione dei radicali, se non in quei casi in cui venne alla luce un qualche coinvolgimento del FBI. Tuttavia, la logica spesso usata in molte decisioni di facoltà di negare la qualità della ricerca dei radicali, era che era “politica” e non abbastanza scientifica. Scienza e obiettività in economia finirono con l’essere definite attraverso queste battaglie tra cattedre e non solo in termini di formalismo matematico (cosa in cui Bowles e Gintis eccellevano), ma di un formalismo di tipo particolare basato sulle teorie cosiddette “neoclassiche” di un mondo composto da individui egoisti intenti a massimizzare il loro guadagno personale.
Questa visione pre-analitica di un mondo di soggetti neo-liberali è stata considerata fondamentalmente neutrale, ma da essa derivarono deviazioni con motivazioni ideologiche. Difensore della sua neutralità fu Milton Friedman, secondo il quale anche se le premesse erano errate, ciò che contava era la verifica empirica delle proposte derivate (ovviamente questo non valeva per quelli che facevano ipotesi troppo radicali). Ma poiché le alte sfere della disciplina e le loro prestigiose riviste erano state epurate dai radicali, tali inquietanti domande non furono mai messe alla prova. Erano troppo pochi i radicali ancora in giro per verificare le migliaia di studi e proposte che martellavano le posizioni neo-liberali, offuscate da una matematica incomprensibile, qualcosa che i non iniziati non potevano penetrare. Mentre l’economia ha finito con l’essere dominata dalle idee neo-liberali (la cosa più di sinistra che troviamo tra le pubblicazioni economiche più prestigiose di oggi proviene dalla destra del Partito Democratico) i dissidenti finirono con il fondare delle scuole eterodosse di importanza minore, o passarono ad altre discipline, come la geografia.
Indubbiamente, figure di grande rilievo come Paul Krugman o Joseph Stiglitz ci parlano oggi delle crescenti disuguaglianze e della profonda crisi del capitalismo. Ma questo è troppo poco ed è troppo tardi. Durante le loro carriere dedicarono a questi problemi poca attenzione e i loro rari studi prodotti sul tema passarono inosservati. I giovani economisti non possono certo aspirare ad essere ascoltati all’interno dei loro dipartimenti…o almeno non possono pretenderlo se non dopo aver preso un premio Nobel.
La prossima volta che voi studenti di economia state per uscire dall’aula, ricordate al vostro professore di parlarvi di questa storia di Harvard: quello che viene insegnato oggi in economia non è il risultato di una nobile lotta tra idee, ma il prodotto di un potere politico. Non sarà più una sorpresa che oggi la disciplina risulti così monolitica e riluttante ai cambiamenti.
L’economia è diventata l’equivalente laico della religione. E’ una rete intessuta di scritture (libri di testo), discepoli(studenti) e predicatori(professori), tutti impegnati a credere senza mettere in discussione la supremazia del libero mercato e disposti a difenderla a spada tratta in ogni contesto, difendendola contro i non-credenti. Come la Chiesa ed i sacerdoti, gli economisti non potranno cambiare per proprio conto. Possono diventare obsoleti o reliquie del passato solo se cambia il mondo intorno a loro. E per fortuna questo sembra che stia per accadere molto presto.
Giorgos Kallis è professore di economia ecologica a Barcellona e coordinatore della Rete Europea di ideologie politiche. Questo articolo è tratto da “Harvard, gli economisti radicali e la Commissione sulla Discriminazione Politica” di Tiago Mata, pubblicato in Scienza nel Contesto (2009).
Fonte: www.adbusters.org
Link: https://www.adbusters.org/magazine/112/battle-soul-economics.html
2.04.2014
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SKONCERTATA63