COME L’AUMENTO DELL’EFFICIENZA PORTA AL CONSUMO DELLE RISORSE

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DI GUNNAR RUNDGREN
Post Growth

Di recente ho visitato il Distretto di Moroto nel nord-est dell’Uganda, dove vivono i famosi pastori del Karamajong. Sono mezzo milione di persone, isolate geograficamente, economicamente e politicamente, molto disprezzate dai loro compatrioti come violente e sottosviluppate. Ci sono state iniziative per radunare la comunità Karamajong nei villaggi, per mandare i bambini a scuola e per fargli coltivare la terra. La gran parte di loro dipende da vari programmi per lo sviluppo, e anche dagli aiuti alimentari del Programma Alimentare Mondiale [1].

Ho visitato un villaggio dove venivano praticati gli usuali interventi a favore dello sviluppo. Un intervento sembrava aver avuto successo: la costruzione di stufe per limitare il consumo di legna. Queste stufe sono diventate le beniamine della comunità, e infatti riescono a far risparmiare almeno la metà della legna. È sicuramente una cosa positiva, e venivano usate davvero. Quando ho chiesto a una donna se ora non doveva più raccogliere tanta legna la mattina, lei mi ha risposto: “Raccolgo la stessa quantità di legno di prima, ma vendo quello di cui non ho bisogno.” È una cosa buffa, perché il motivo dell’introduzione di queste stufe era quello di salvare gli alberi, non di generare reddito.

Questo è uno dei tanti esempi del paradosso di Jevons, formulati dall’economista inglese nel suo libro del 1865 “The Coal Question”. Egli osservò che in Inghilterra il consumo di carbone era aumentato dopo che James Watt introdusse la sua macchina a vapore alimentata a carbone, che migliorò enormemente l’efficienza del precedente progetto di Thomas Newcomen. Le innovazioni di Watt resero il carbone una fonte energetica più economica, che portò a un maggiore uso della macchina a vapore in una vasta gamma di industrie. Questo a sua volta aumentò il consumo totale di carbone, anche se la quantità di carbone necessaria per ogni singola applicazione era diminuita di molto. Jevons argomentò che i miglioramenti nell’efficienza del carburante tendono ad aumentare, più che a diminuire, il suo consumo: “E’ un’idea sbagliata supporre che l’uso parsimonioso del carburante sia equivalente a una diminuzione del suo consumo. È vero il contrario […] non si deve supporre che il carbone non consumato venga risparmiato: viene risparmiato solo per essere impiegato in altro modo.” E ciò sembra descrivere con estrema precisione gli effetti della stufa a risparmio di legna a Moroto.

Con l’avvento del petrolio, il paradosso di Jevons cadde nell’oblio fino al primo shock petrolifero [2] e all’emergere della tematica ambientalista all’inizio degli anni ’70. Quando si migliora l’efficienza, ad esempio quella dell’utilizzo del carburante in un’auto, la conseguenza è che la gente guida sempre di più fintanto che il prezzo continua a scendere. Per di più, non sono solo i primi utilizzatori dell’auto che guidano di più, ma ora altre persone decidono di comprarsi una macchina e la usano invece di andare a piedi, in bicicletta o in treno. A un livello più vasto, il denaro risparmiato per l’acquisto di benzina viene utilizzato per qualche altra attività che è altrettanto esigente nell’uso di risorse, come la costruzione di una casa più grande, prendere un volo per una vacanza o anche solo consumare più “cose”. In questo caso si parla di “effetto rimbalzo”. Ci sono studi che hanno valutato come un miglioramento dell’efficienza porta necessariamente a un incremento del consumo di risorse [3].

Se confrontiamo l’efficienza in vari sistemi, ad esempio in agricoltura o nella trasformazione alimentare, vedremo che, nella maggior parte dei casi, il sistema più grande e tecnologicamente più avanzato è anche il più efficiente. Le aziende agricole che hanno colture più vaste hanno migliori prestazioni finanziarie, in media, di quelle più piccole. Le aziende più grandi non hanno entrate superiori o rese maggiori per ettaro, ma hanno costi inferiori. Secondo una relazione (Farm Size and the Organization of U.S. Crop Farming) del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti: “Le aziende di grandi dimensioni sembrano poter realizzare una maggior produzione per unità di lavoro e capitale. Questi vantaggi finanziari perdurano nel tempo, e quindi anche nel futuro assisteremo al passaggio produttivo della produzione verso le aziende agricole che hanno colture più vaste.” La loro resa per ettaro è quasi sempre la stessa di quella delle aziende più piccole, ma la ricerca evidenzia che le aziende con più di 2.000 ettari utilizzano 2,7 ore di lavoro per ettaro di mais e hanno costi per le attrezzature pari a 432 dollari, mentre chi ha tra i 100 e i 249 ettari dovrà utilizzare, per acro, quattro volte il lavoro e il doppio del denaro per le apparecchiature. In questo senso le aziende più grandi sono più “efficienti” o “produttive”.

Lo stesso vale per un agricoltore che guida il suo pick-up al mercato rispetto ai camion che riforniscono i supermercati; userà più carburante e più capitale per chilogrammo di prodotto. E incorporate nel capitale per le attrezzature ci sono molte altre risorse, metalli, altra energia e il lavoro di altre persone. Ma nonostante tutta questa efficienza, la nostra società non riesce a ridurre il numero di ore lavorate, e neppure le risorse utilizzate, né in totale, né pro capite. Questo vale anche per le aziende che si sono spostate verso il terziario, visto che l’agricoltura e l’industria sono sempre meno presenti. Come mai?

La questione può essere affrontata in vario modo. In un articolo [4] pubblicato sul Journal of Cleaner Production, Blake Alcott ha valutato in modo critico l’affermazione secondo cui l’impatto degli impiegati nel terziario sia inferiore a quelli che lavorano nel manifatturiero. Secondo lui, questa affermazione perde la sua validità se si tiene di conto dell’utilizzo totale delle risorse da parte dei lavoratori. Se guardiamo solo al lavoro, è abbastanza evidente che un parrucchiere utilizza meno risorse ogni ora rispetto a chi lavora in un’azienda automobilistica. Ma il barbiere userà il denaro che guadagna per acquistare le stesse cose, quindi l’utilizzo delle risorse che è incorporato in ogni ora di lavoro è più o meno lo stesso. Certo, la casa automobilistica probabilmente guadagna di più, quindi in questo senso userà più risorse. Ma, invece, se il servizio è svolto nell’immobiliare o in finanza, chi lavora in questi settori guadagna di più, e ha quindi una media più alta per il consumo di risorse. In questa prospettiva, quello che conta è l’utilizzo totale delle risorse da parte di un lavoratore, e non quante ne utilizza sul posto di lavoro.

Altri dicono che sono innanzitutto le forze intrinseche al capitalismo, cioè il profitto e l’accumulazione di capitale, che portano inevitabilmente allo scambio tra aumento di efficienza ed espansione. John Bellamy Foster, Brett Clark e Richard York hanno scritto in Monthly Review [5] che: “Un sistema economico devoto al profitto, all’accumulazione e all’espansione economica illimitata tende a utilizzare tutti i guadagni di efficienza e di riduzione dei costi per espandere il livello complessivo della produzione. […] La conservazione, nel complesso, è impossibile per il capitalismo, per quanto il rapporto tra input e output possa essere aumentato nella progettazione di un determinato prodotto. Questo perché tutti i risparmi tendono a stimolare ulteriormente la formazione di capitale.

Vedendo la cosa da un’altra prospettiva: se confrontiamo l’utilizzo delle risorse di una grande fattoria fortemente meccanizzata con un agricoltore su piccola scala, abbiamo accertato che l’efficienza del lavoro per chilogrammo di prodotto è maggiore per la fattoria più grande. Questo vale anche se si considera l’utilizzo di tutte le altre risorse per unità di superficie. Ma cosa succede se si guarda l’utilizzo delle risorse per ora di lavoro? È evidente che la grande fattoria col suo trattore da 400 CV utilizza molte più risorse rispetto all’agricoltore che ha un piccolo trattore, o i buoi, per non parlare del mezzo miliardo di agricoltori che ancora utilizza il proprio lavoro come risorsa principale. Lo stesso vale per l’autista del camion che consegna a Walmart; anche lui usa molte più risorse per ora rispetto all’agricoltore che carica il suo pick-up per andare al mercato.

Si potrebbe comunque dire che alla natura la cosa non interessa, se siamo efficienti per ora, per Kg o per acro; la natura si preoccupa solo dell’uso complessivo delle risorse o delle emissioni totali. Questo è corretto. Ma quasi tutte le persone hanno un lavoro di un qualche tipo, e in ogni posto di lavoro si applica la stessa logica, ossia che tanto più una persona è efficiente, tante meno risorse utilizza per unità di prodotto, ma utilizza più risorse per ora di lavoro [6]. L’uso complessivo delle risorse da parte della società è dunque destinato ad aumentare, nonostante, o forse a causa, dell’aumentata efficienza del lavoro. È solo un altro modo di osservare l’analisi di Alcott. Egli considera il consumo incorporato di una persona a prescindere dal tipo di occupazione, mentre qui io valuto più l’utilizzo di risorse assolute per ora di lavoro.

Dopo tutto, fino a che noi continueremo a lavorare così tanto, il nostro uso complessivo delle risorse sarà determinato dalla quantità che usiamo al lavoro e da quante ne usiamo come consumatori. Non ci sono pasti gratis. O piuttosto il problema è che ne abbiamo avuti così tanti sotto forma di “capitale naturale” che abbiamo avuto a gratis”, che ora pensiamo di “avere il diritto” di usare sempre così tante risorse, e che il pranzo sarà gratis anche in futuro. Ma non lo sarà.

Note:

1. Ci sono state inondazioni, combattimenti e tanti altri motivi, ma la cosa importante in questo articolo non è il fornire un quadro completo del destino del Karamajong, che si merita un articolo a parte.

2. Come “I Limiti dello Sviluppo”, del Club di Roma.

3. Jevons aveva notato la stessa cosa per i motori a vapore. Dopo tutto, i primi erano piuttosto inutili, e per questo non venivano quasi mai usati. Quando la loro efficienza aumentò, si diffusero in tutta l’economia.

4. “Mill’s scissors: structural change and the natural-resource inputs to labor”, Journal of Cleaner Production 21 (2012) pp. 83-92.

5. “Capitalism and the curse of energy efficiency: the Return of Jevons Paradox”, Monthly Review, 1° novembre 2010.

6. È probabile che ci siano alcune eccezioni, ma credo che siano proprio eccezioni.

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GUNNAR RUNDGREN
Post Growth

Link: How Increased Labour Efficiency Drives Resource Consumption

01.04.2014

Scelto e tradotto per Come Don Chisciotte da SUPERVICE

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