Chris Hedges: i volenterosi carnefici di Israele

Centinaia di migliaia di palestinesi sono costretti a fuggire, ancora una volta, dopo che più della metà della popolazione di Gaza si è rifugiata nella città di confine di Rafah. Questo fa parte del manuale del sadismo israeliano.

Chris Hedges
chrishedges.substack.com

Correte, chiedono gli israeliani, correte per le vostre vite. Scappate da Rafah come siete scappati da Gaza City, come siete scappati da Jabalia, come siete scappati da Deir al-Balah, come siete scappati da Beit Hanoun, come siete scappati da Bani Suheila, come siete scappati da Khan Yunis. Correte o vi uccideremo. Lanceremo bombe a penetrazione da 2.000 libbre sulle vostre tendopoli. Vi bersaglieremo con proiettili sparati dai nostri droni armati di mitragliatrici. Vi bombarderemo con l’artiglieria e i carri armati. Vi abbatteremo con i cecchini. Distruggeremo le vostre tende, i vostri campi profughi, le vostre città e vostri paesi, le vostre case, le vostre scuole, i vostri ospedali e i vostri impianti di depurazione dell’acqua. Faremo piovere morte dal cielo.

Correte per salvarvi la vita. Ancora e ancora e ancora. Impacchettate le poche cose che vi sono rimaste. Coperte. Un paio di pentole. Qualche vestito. Non ci interessa quanto siete esausti, quanto siete affamati, quanto siete terrorizzati, quanto siete malati, quanto siete vecchi o giovani. Correte. Correte. Correte. E, quando avrete corso terrorizzati verso una parte di Gaza, vi faremo tornare indietro e correre verso un’altra. Intrappolati in un labirinto di morte. Avanti e indietro. Su e giù. Da un lato all’altro. Sei. Sette. Otto volte. Giocheremo con voi come con dei topi in trappola. Poi vi deporteremo perché non possiate più tornare. O vi uccideremo.

Che il mondo denunci pure il nostro genocidio. A noi cosa importa? I miliardi di aiuti militari arrivano senza controlli dal nostro alleato americano. I jet da combattimento. I proiettili d’artiglieria. I carri armati. Le bombe. Una fornitura infinita. Uccidiamo bambini a migliaia. Uccidiamo donne e anziani a migliaia. I malati e i feriti, senza medicine e ospedali, muoiono. Avveleniamo l’acqua. Tagliamo il cibo. Vi facciamo morire di fame. Abbiamo creato noi questo inferno. Siamo noi i padroni. La legge. Il dovere. Un codice di condotta. Non esistono per noi.

Ma prima giochiamo con voi. Vi umiliamo. Vi terrorizziamo. Ci divertiamo con la vostra paura. Ci divertono i vostri patetici tentativi di sopravvivenza. Non siete umani. Siete animali umani. Untermensch. Alimentiamo la nostra libido dominandi, la nostra brama di dominio. Guardate i nostri post sui social media. Sono diventati virali. Uno mostra i soldati che sorridono in una casa palestinese con i proprietari legati e bendati sullo sfondo. Noi saccheggiamo. Tappeti. Cosmetici. Moto. Gioielli. Orologi. Contanti. Oro. Antichità. Ridiamo della vostra miseria. Acclamiamo la vostra morte. Celebriamo la nostra religione, la nostra nazione, la nostra identità, la nostra superiorità, negando e cancellando la vostra.

La depravazione è morale. L’atrocità è eroismo. Il genocidio è redenzione.

Jean Améry, che aveva fatto parte della resistenza belga durante la Seconda Guerra Mondiale e che era stato catturato e torturato dalla Gestapo nel 1943, aveva definito il sadismo “come la negazione radicale dell’altro, la negazione simultanea del principio sociale e del principio di realtà. Nel mondo del sadico trionfano la tortura, la distruzione e la morte: in un mondo del genere non c’è chiaramente alcuna speranza di sopravvivenza. Al contrario, il sadico desidera trascendere il mondo, raggiungere la sovranità totale rifiutandosi di riconoscere gli altri esseri umani, che per lui rappresentano un particolare tipo di ‘inferno’“.

A Tel Aviv, Gerusalemme, Haifa, Netanya, Ramat Gan, Petah Tikva chi siamo? Lavapiatti e meccanici. Operai, esattori e tassisti. Netturbini e impiegati. Ma a Gaza siamo semidei. Possiamo uccidere un palestinese che non si spogli fino alle mutande, non cada in ginocchio e non implori pietà con le mani legate dietro la schiena. Possiamo farlo con bambini di 12 anni e uomini di 70 anni.

Non ci sono vincoli legali. Non esiste un codice morale. C’è solo il brivido inebriante di richiedere gesti di sottomissione sempre maggiori e forme di umiliazione sempre più abiette.

In Israele possiamo anche sentirci insignificanti, ma qui, a Gaza, siamo King Kong, un piccolo tiranno su un piccolo trono. Camminiamo tra le macerie di Gaza, circondati dalla potenza delle armi industriali, capaci di polverizzare in un istante interi condomini e quartieri, e diciamo, come Vishnu, “ora sono diventato la morte, il distruttore di mondi”.

Ma non ci accontentiamo semplicemente di uccidere. Vogliamo che i morti che camminano rendano omaggio alla nostra divinità.

Questo è il gioco che si fa a Gaza. È il gioco che si faceva durante la Guerra sporca in Argentina, quando la giunta militare aveva fatto “sparire” 30.000 dei suoi stessi cittadini. Gli “scomparsi” erano stati torturati (chi si rifiuterebbe di chiamare tortura ciò che sta accadendo ai palestinesi di Gaza?) e umiliati prima di essere uccisi. È il gioco che si fa nei centri di tortura e nelle prigioni clandestine di El Salvador e dell’Iraq. È ciò che ha caratterizzato la guerra in Bosnia nei campi di concentramento serbi.

Questa malattia che schiaccia l’anima ci attraversa come una corrente elettrica. Infetta ogni crimine a Gaza. Infetta ogni parola che esce dalle nostre bocche. Noi, i vincitori, siamo gloriosi. I palestinesi non sono niente. Parassiti. Saranno dimenticati.

Il giornalista israeliano Yinon Magal, durante la trasmissione “Hapatriotim” sul Canale 14 di Israele, ha scherzato sul fatto che la linea rossa di Joe Biden è l’uccisione di 30.000 palestinesi. Il cantante Kobi Peretz ha chiesto se quello fosse il numero di morti per un singolo giorno. Il pubblico è scoppiato in applausi e risate.

Abbiamo piazzato tra le macerie “trappole esplosive” che assomigliano a barattoli di cibo. I palestinesi affamati vengono feriti o uccisi quando li aprono. Trasmettiamo il suono delle urla delle donne e dei pianti dei bambini dai quadricotteri per attirare all’esterno i palestinesi e potergli sparare. Annunciamo punti di distribuzione del cibo e usiamo l’artiglieria e i cecchini per massacrarli.

Siamo l’orchestra di questa danza di morte.

Nel racconto “Un avamposto del progresso“, Joseph Conrad scrive di due commercianti europei bianchi, Carlier e Kayerts. Vengono inviati in una remota stazione commerciale del Congo. La missione consiste nel diffondere la “civiltà” europea in Africa. Ma la noia e la mancanza di vincoli trasformano rapidamente i due uomini in bestie. Scambiano schiavi per avorio. Si scontrano in una faida per la diminuzione delle scorte di cibo. Kayerts spara e uccide il suo compagno disarmato Carlier.

“Erano due individui perfettamente insignificanti e incapaci”, scrive Conrad di Kayerts e Carlier:

… la cui esistenza era resa possibile solo dall’elevata organizzazione delle folle civilizzate. Pochi uomini si rendono conto che la loro vita, l’essenza stessa del loro carattere, le loro capacità e le loro audacie, sono solo l’espressione della loro fiducia nella sicurezza dell’ambiente circostante. Il coraggio, la compostezza, la fiducia, le emozioni e i principi, ogni pensiero, grande o insignificante che sia, non appartengono all’individuo ma alla folla; alla folla che crede ciecamente nella forza irresistibile delle sue istituzioni e della sua morale, nel potere della sua polizia e della sua opinione. Ma il contatto con la pura e semplice barbarie, con la natura primitiva e l’uomo primitivo, porta nel cuore problemi improvvisi e profondi. Al sentimento di essere soli nel proprio genere, alla chiara percezione della solitudine dei propri pensieri, delle proprie sensazioni – alla negazione dell’abituale, che è sicuro, si aggiunge l’affermazione dell’insolito, che è pericoloso; una suggestione di cose vaghe, incontrollabili e ripugnanti, la cui sconvolgente intrusione eccita l’immaginazione e mette a dura prova i nervi civilizzati sia degli sciocchi che dei saggi.

Rafah è il premio alla fine della strada. Rafah è il grande campo di sterminio dove massacreremo i palestinesi su una scala mai vista in questo genocidio. Guardateci. Sarà un’orgia di sangue e di morte. Sarà di proporzioni bibliche. Nessuno ci fermerà. Uccidiamo in preda a parossismi di eccitazione. Siamo degli dei.

Chris Hedges

Fonte: chrishedges.substack.com
Link: https://chrishedges.substack.com/p/israels-willing-executioners
13.05.2024
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

Chris Hedges è un giornalista vincitore del Premio Pulitzer, è stato corrispondente estero per 15 anni per il New York Times, periodo in cui è stato capo ufficio per il Medio Oriente e capo ufficio per i Balcani. In precedenza aveva lavorato all’estero per il Dallas Morning News, il Christian Science Monitor e la NPR. È il conduttore del programma “The Chris Hedges Report.”

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