Berberina candidato terapeutico per le malattie cardiovascolari

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La barberina, un alcaloide vegetale utilizzato da oltre 2.000 anni nella medicina cinese e ayurvedica, e contenuto in numerose piante tra cui Hydrastis canadensis, Berberis vulgaris (Crespino) e Coptis chinesis, ha mostrato di possedere significative proprietà che ne permettono l’utilizzo in varie patologie cardiovascolari (QUI un’interessante review).
Innanzitutto, è da segnalare la sua attività diretta nel ridurre i parametri lipidici, inoltre ha mostrato una potente attività antinfiammatoria e insulinosensibilizzante. Proprio la riduzione dei lipidi e del glucosio nel sangue, unita alla riduzione delle citochine pro-infiammatorie, rendono la berberina una possibile soluzione anche nell’aterosclerosi, nell’ipertensione e nel danno al miocardio, fenomeni che spesso si verificano in concomitanza.

I lavori scientifici fin qui condotti mostrano che la berberina possiede un alto profilo di sicurezza; al momento, infatti, non sono stati rilevati, nei vari studi, eventi avversi gravi o medio gravi nei pazienti trattati. L’unico problema riscontrato è relativo allo scarso assorbimento di questa molecola, ostacolo che si è mostrato superabile inserendola in formulazioni con aggiunta di altre sostanze naturali (ad esempio il silybum marianum e la quercetina) che ne aumentano la biodisponibilità.
Segnalo, a tal proposito, una revisione descrittiva dei meccanismi d’azione di berberina, quercetina e silymarina sulla resistenza all’insulina/iperinsulinemia e sulla prevenzione cardiovascolare che è stata firmata da Paolo Bellavite (cattedra di Fisiopatologia alla Scuola di Medicina Omeopatica di Verona), Serafino Fazio (Dipartimento di Medicina Interna Università degli Studi di Napoli, Federico II) e Flora Affuso (ricercatrice indipendente).

Degli stessi autori è da poco uscito un nuovo articolo dedicato all’insufficienza cardiaca. Il lavoro evidenzia le potenziali alterazioni causate dall’insulino-resistenza e dall’iperinsulinemia sul sistema cardiovascolare e il loro impatto negativo sullo scompenso cardiaco, inoltre descrive i potenziali benefici di uno screening precoce con conseguente trattamento tempestivo facendo riferimento, nello specifico, a berberina e a due medicinali già noti come efficaci, ovvero gli inibitori del cotrasportatore sodio-glucosio-2 (SGLT2) e la metformina.

Scrivono i ricercatori: “Alcuni farmaci più vecchi, ancora abbastanza spesso utilizzati dai pazienti con scompenso cardiaco (beta-bloccanti, diuretici tiazidici e statine), mentre migliorano la prognosi complessiva di questi pazienti, possono indurre o peggiorare uno stato di IR/Iperine (Resistenza all’Insulina/Iperinsulinemia)”. E aggiungono: “Quanto detto dovrebbe indurre a contrapporre la potenziale azione negativa di questi farmaci nei confronti delle IR/Iperine, ove possibile, con modifiche dello stile di vita e con l’utilizzo di sostanze che abbiano dimostrato efficacia nei confronti delle IR/Iperine. Ciò potrebbe determinare un’azione sinergica favorevole che potrebbe aggiungere efficacia alla loro azione positiva sulla morbilità e mortalità cardiovascolare”.

Concludendo, la berberina non ha mostrato finora eventi avversi gravi o medio gravi nei pazienti trattati; invece sta mostrando – insieme agli opportuni cambiamenti nello stile di vita (attività fisica regolare e dieta equilibrata, povera di carboidrati e ipocalorica nei soggetti obesi e in sovrappeso) – numerose evidenze nelle malattie cardiovascolari con effetti significativi comparabili anche ai farmaci di scelta per queste patologie.
Studi futuri dovranno semmai valutare l’efficacia delle varie possibili associazioni tra questa molecola e altre sostanze che riducono la resistenza all’insulina e l’iperinsulinemia in modo da ottimizzare il trattamento e migliorare anche la prognosi dei pazienti con scompenso cardiaco.
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VB

 

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