A QUANDO LA CAMICIA DI FORZA ?

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DI CARLO BERTANI
carlobertani.blogspot.com

Devo confessare che, quando me lo sono trovato di fronte, sulla soglia, ho trasalito. Non m’aspettavo certo di vederlo comparire, dalle nebbie dei lontani anni ’70, sulla mia porta. Eppure è proprio lui: i capelli alla “Jimi Hendrix” sono diventati una zazzera grigiastra, gli occhi sono cerchiati e le rughe scorrazzano sul viso ma, nel profondo degli occhi, il lampo è il medesimo.
Avevo saputo, da amici comuni, che era partito per il Sudamerica prima del 1980: lo immaginavo oramai nonno nella sua fazenda sul Rio Negro e invece no, era diventato un cercatore di smeraldi sul Rio Urubamba. Si sa, leggere “I fiumi scendevano a Oriente” in gioventù, può fare brutti scherzi.
Nemmeno poi tanto brutti, però, a giudicare dalla fiammante AUDI posteggiata sotto casa.
I convenevoli durano appena un paio di birre, quel tanto che basta per raccontare il lungo viaggio da Manaus fino alla mia porta. Poi, l’elenco di chi se n’è andato: oramai solo per età, non perché “già dottore”, per dirla alla Guccini.
Qualche curiosità da raccontare e, quando si passa alla bottiglia di Calvados, gli occhi cadono sul giornale, quello che ho lasciato abbandonato sul divano.Non è così ingenuo da non sapere che il nostro mondo – quel mondo che immaginava l’Italia un Paese che poteva evolvere verso destini più gradevoli e libertari – non esiste più, e che l’Italia è diventata per metà Berlusconia e per l’altra metà checazzonesò.

Sulla prima pagina, campeggia l’immagine – appena ritoccata dalla modernità – di un milite delle SA in divisa kaki, con sul berretto nero l’Aquila Imperiale e, sulle spalline, lo Schwarze Sonne, il Sole Nero che compone il mosaico, nella “Sala dei Generali”, del pavimento nel castello di Wewelsburg, il famoso “ritrovo” mistico delle SS. Un “nipotino” di Horst Vessel sulla prima pagina di un quotidiano italiano?
La foto lo stupisce: anche in Brasile è giunta l’eco delle “veline” e delle mascalzonate di Berlusconi, ma che mettessimo per strada gente del genere questo no, proprio non se l’aspettava.
Nemmeno io attendevo roba del genere, ma non c’è mai fine al peggio: il discorso scade nei luoghi comuni, fin quando non scende e riparte per Milano.
Appena salito in casa, però, mi casca nuovamente l’occhio sulla foto e mi chiedo se sia proprio così scontato che, fra le varie “Ronde” che si vanno costituendo, qualcuno ne abbia immaginata una d’ispirazione – almeno iconica – nazista. Ha senso? Deve essere proprio un tizio che non vedevo da una vita, che giunge dall’Amazzonia, a farmelo notare?

Ovviamente, tutti prendono le distanze dall’evento e, il Sottosegretario Mantovano (ex AN, ex magistrato), assicura che le ronde non potranno essere l’espressione di forze politiche. Gli risponde, a stretto giro di posta, il Ministro dell’Interno da Pontida: Maroni, assicura che alle “Camicie Verdi” non rinunceranno per nessuna ragione. E, quelle, sono di nome e di fatto la “milizia” della Lega Nord.
Così, avremo per le strade Camicie Verdi e Camicie Nere: le “Camicie Rosse” – anche senza divisa – non si faranno attendere. Potremo così assistere a “ronde” nere e verdi che daranno la caccia a presunti tagliaborse, mentre le ronde rosse, a loro volta, cacceranno camicie verdi e nere. Roba da matti. O no?

Volto la pagina e compare il volto affilato di “Baffino”: D’Alema ci rende edotti sui pericoli di una “scossa”, un “tracollo” o roba del genere. Messaggio in codice: compagni! Tenetevi pronti! Peccato che, i “compagni”, siano soltanto più “compagni di merende” nelle lobby affaristiche.
“Baffino”, però, è il più furbo della nidiata, inutile raccontare frottole: se manda un simile avvertimento in codice, qualcosa deve aver fiutato. Forse un messaggio cifrato, una pergamena dentro ad una bottiglia che è andata ad adagiarsi proprio al mascone del suo incrociatore a vela, quello che – guarda a caso – s’è comprato dopo la guerra del Kosovo? Lui dice che ha fatto un leasing: due miliardi di lire per fare un leasing, ovviamente, li abbiamo tutti. Come no.
Più probabilmente, quel messaggio gli è giunto dai contatti che aveva pazientemente intessuto – quando era Presidente del Consiglio – nella city londinese, nei “templi” dell’alta finanza.

Cosa pensano, nelle lobby finanziarie internazionali di Silvio Berlusconi, ce lo fanno sapere addirittura dalle colonne del “Times”, mica dai tabloid del sabato, quelli che ancora cercano qualche “pilu” di Diana.
Considerano fallito “l’esperimento Berlusconi”, poiché incapace d’essere un vero liberista con le zanne – sempre che simili aggeggi nel Belpaese possano campare a lungo poiché, un Paese che ha il 30% dell’economia sommersa, quale “liberismo” può perseguire? – e “Papi” non è solo impelagato con le sue storie di veline, processi, gite sugli aerei di Stato, festini dionisiaci e quant’altro.
L’uomo di Arcore poggia su una maggioranza numericamente consistente, ma politicamente troppo eterogenea e non bastano più “veline” e minacce per tenere a bada chi sta scomparendo nel nulla (la ex Alleanza Nazionale). Anche chi naviga a gonfie vele (Lega Nord) scalpita, ed aggiunge ogni giorno un tassello alla strategia “bonapartista” che persegue una “secessione lenta”, costruita giorno dopo giorno con qualche legge e tanti messaggi nell’etere, “pizzini” che il Nord, sempre più povero e deindustrializzato, accetta come la manna. Se, poi, il pudding viene da una formazione politica dichiaratamente antieuropeista, chi se ne frega.

Nonostante i numeri parlamentari, D’Alema ha ragione nel definire il governo Berlusconi un malato terminale, poiché i record negativi che va inanellando sul fronte economico sono da brivido: PIL a -5,3%, debito/PIL salito al 115%, disoccupazione al 10%, consumi a -2,4%[1]. Cifre da stramazzare un toro, soprattutto se non si ha una strategia per uscire dall’impasse che – precisiamo – non si riferisce ai frutti della crisi internazionale (che ha colpito meno l’Italia d’altri Paesi, per la ricchezza ancora detenuta dalle famiglie italiane), bensì trae origine dall’incapacità strutturale italiana di ritagliarsi un futuro nell’economia internazionale.
Perdiamo settori di mercato, ma non sappiamo crearne di nuovi né valorizzare l’esistente: e, nonostante i malaugurati “sogni ad occhi aperti” destri/sinistri, nessuna riforma del mercato del lavoro o previdenziale riuscirà a scalfire il pessimo andazzo. Ci vorrebbero ben altri “colpi di reni”, e non certo quelli che progettano nella city.

Volto ancora una pagina e ci sono le dichiarazioni di Gaetano Saya, il “creatore” della futura Guardia Nazionale Italiana. Afferma che sono già duemila i “militi” pronti ad entrare in servizio – moltissimi ex militari – al comando di un ex ufficiale dell’Esercito.
E chi paga?

A suo dire, l’MSI-Destra Nazionale, ovvero il partitucolo che è rimasto dopo la “svolta” di Fiuggi. Un partito che non ha rappresentanza parlamentare né in Italia e né in Europa, e che non ha certo soldi da buttare.
Eh sì, perché “armare” – nel senso marinaresco del termine – duemila persone per mandarle in giro per le strade italiane non è proprio una cosa da nulla. Automobili, radio, telefoni…e poi…saranno proprio tutti “volontari”?
Gaetano Saya è uno di quegli strani tizi che non si sa bene come campano: ovvero, si sa, ma solo se consideriamo che di tipi del genere – diciamo “a mezzo servizio” con gli apparati di polizia e con i servizi segreti – in circolazione ce ne sono parecchi. E non sono proprio degli idealisti, bensì gente che è molto attenta alla pecunia: un bel ritratto del nostro “rondarolo” – compresi i suoi “trascorsi” d’organizzatore di viaggi in Iraq per i contractors (dove Fabrizio Quattrocchi ci lasciò la pelle) – lo hanno tratteggiato su Global Projet, consigliata la lettura[2].

Questo Saya, probabile massone, sembra uno che – per tutta la vita – non ha fatto altro che buttarsi a pesce dove c’era da far soldi organizzando qualcosa di losco, oppure pronto a far da zerbino ai potenti delle lobby militari e finanziarie. Che, questa volta, si sia ricreduto ed abbia deciso di “donarsi alla Patria”? Difficile crederlo.
Ma, anche immaginando che abbia ricevuto il “salarium” del legionario, è difficile ipotizzare che quei soldi siano giunti dall’area del governo: a ben vedere, un tizio come Saya – per Berlusconi & soci – è più una tegola sulla testa che altro. Lui e le sue divise paramilitari, da SA a Camicia Nera in poltrona – dalle foto a Youtube[3] – finiscono per aggiungere altra benzina al fuoco, nell’incendio di un regime da operetta. Noemi, i voli di Stato, Apicella e la sua chitarra, adesso la Patrizia pugliese che afferma d’essere stata “convogliata” a Palazzo Grazioli per il solito rito dionisiaco: ci manca solo un tizio come Saya che – nella sua intervista su Youtube – adula Berlusconi fino al delirio, e la frittata è fatta.
Già, ma chi sta mescolando la frittata?

Volto nuovamente la pagina del giornale – questa volta indietro – e ricompare la smorfia sibillina di “Baffino”: “sc
osse”, lui le definisce, e tutti corrono a credere che D’Alema sapesse qualcosa sulla belloccia pugliese. Dopo tutto il can can di Noemi e di Veronica Lario, che “Baffino” si scomodi per così poco?
In fin dei conti, quando Berlusconi evoca misteriosi intrighi contro di lui ed il suo governo – sempre citato come “volontà degli elettori” – finisce per fare la figura del fesso. Ma come, dopo che ci hai insegnato come si fa a diventare presidente del Consiglio – da Presidente del Milan a Fininvest, da Mediaset a palazzo Chigi, con un percorso che della democrazia ha solo la sopraveste – ti meravigli se qualcuno usa i tuoi stessi mezzi (od equivalenti) per farti la festa?
Dai, non fare l’ingenuo: quella della democrazia parlamentare come rito assoluto valla a raccontare alle Elementari. Ma alle Elementari di qualche paesello sperduto, altrimenti manco quelli ci cascano.

Perché qualcuno si sta scomodando, al fine di mandare a quel paese Berlusconi? Non certo per fare un piacere alla Binetti, a D’Alema o a Di Pietro: i grandi film non si progettano partendo dalle comparse.
Avevamo avvertito per tempo che c’era qualcuno, che aveva lasciato ombrello e bombetta a Londra, pronto ad insediarsi nel Belpaese: per salvarlo, ovviamente.
Ci riferiamo a Mario Draghi[4], del quale avevamo indagato le trame – neppure poi così nascoste – già nel lontanissimo Ottobre del 2007, quando regnava un altro governo e Bush ancora mangiava noccioline nello Studio Ovale. In tempi, veramente, “non sospetti”.
Che l’uomo sia legato a filo doppio alla finanza anglo-americana è un segreto di Pulcinella: chi fa il “relatore” sul Britannia, per illustrare come appropriarsi dell’industria pubblica italiana, non lavora certo per le Dame di San Vincenzo.
Nella sua recente relazione[5], Draghi ha riportato le pessime cifre dell’economia italiana, al punto d’irritare molto Silvio Berlusconi: quella relazione, è quasi un j’accuse.

Il problema è che Berlusconi, già nella legislatura 2001-2006, si dedicò più alla difesa del proprio elettorato – quella fascia di borghesia che ancora possiede ricchezza, all’incirca 1/3 degli italiani, senza considerare il “sommerso”[6] – ma al prezzo di un generale impoverimento del Paese. Ne è un lampante esempio la riduzione delle aliquote fiscali per i redditi medio alti, che ha spostato ricchezza dal “circolante” alla finanza, con pesanti ripercussioni sui consumi interni e, dunque, sulla produzione industriale.
Mario Draghi non è certo un filantropo: come già spiegavamo ne “Le preoccupazioni del Drago”[7], l’assillo dei banchieri è principalmente quello di poter “tosare” regolarmente e con profitto le pecore, ossia la popolazione. Se il sistema va in crisi – ovvero vengono introdotti elementi che lo rendono troppo squilibrato, al punto da mettere “in forse” le future “tose” – paradossalmente, i banchieri s’adoperano per riportare la situazione in equilibrio, ossia “tosare” di più dove c’è abbondanza di lana.
Non ci sarebbe da stupire se Draghi proponesse una maggior differenziazione del prelievo fiscale, per “captare” anche la quota di ricchezza che, approssimativamente, quel terzo d’italiani ancora detiene. Per “tosare” meglio – ossia far rientrare ricchezza da Wall Street a Main Street – è necessario lavorare di più: per questa ragione sono richieste “serie e vigorose riforme” del lavoro e della previdenza. Così, per par condicio, si tosano tutti ed i banchieri contano sempre più balle di lana.
E, qui – in modo assolutamente acritico – incontriamo sulla stessa barricata tanti pappagallini ripetenti, da Casini a Di Pietro, i quali non aspettano altro che il “collasso” per mettersi a servire il Drago.
Quali scelte ha ancora, oggi, Silvio Berlusconi?
A giudicare dal tono del colloquio con Barack Obama alla Casa Bianca, poche. Osservando la mimica facciale del Presidente americano[8] non si notano particolari segni d’empatia: in genere, nei minuti concessi alle telecamere durante questi incontri, i partecipanti si sforzano almeno d’apparire cordiali.
Invece, Barack Obama sembra recitare una requisitoria, mentre Silvio Berlusconi ha più la faccia di uno che ascolta una condanna che quella di un capo di Stato durante un colloquio. Eppure, Obama ha dimostrato in molte occasioni d’essere una persona che sa trovare “canali empatici” di comunicazione.
Anche quel buffetto finale sulla spalla, ha più l’apparenza di un “togliti dai piedi” che quella di un “vai avanti così”. Non c’è, in tutto il colloquio, un solo sorriso: anche le strette di mano sono ammantate da una evidente freddezza.

Non si tratta quindi, come afferma Berlusconi, di un “complotto” contro di lui: questa è politica, baby. Poi, qualcuno preferirà scomodare gli “Illuminati” oppure i think tank di Harvard, ma la sostanza non muta: il giudizio dei potentati internazionali su Silvio Berlusconi, è un evidente pollice verso. Dal Times a Draghi, da Obama alla Merkel.

La “manifestazione” evidente del disagio si sostanzia nelle strane “ronde fasciste” – cosa che, a Londra, serve molto per impressionare la popolazione – e nello stillicidio, oramai quotidiano, di “gole profonde” e di bardi che cantano la medesima canzone: sei inadeguato, lascia.

A questo punto, ad occhio e croce da qui alla fine del 2009, a Berlusconi verranno probabilmente recapitati dei “pizzini”: te ne vai da solo, oppure…
All’uomo di Arcore rimarranno due scelte:

1) Salvare il salvabile, ossia giungere ad un accordo per salvare il suo impero mediatico (ovviamente, “devitalizzato” da personaggi “ingombranti”) per dedicarsi ad un’altra, spinosa questione: il futuro di Mediaset. Mentre “Papi” immagina una divisione 50/50 fra i due figli nati dalla prima moglie, ed i tre avuti dalla Lario, Veronica Lario chiederà una suddivisione paritaria, 20-20-20-20-20 ai cinque figli. Non sfuggirà al lettore che la richiesta dell’attuale moglie, in procinto di divorziare, consegnerebbe la maggioranza della holding nelle mani dei suoi figli. E se Noemi fosse un’altra figlia? Dio, che casino.

2) Non mollare, combattere lo strapotere degli Angli fino alla “ridotta della Valtellina”. Difficile ipotizzare, in questo frangente, cosa potrebbe accadere ma – la Storia insegna – le “ridotte della Valtellina” non sembrano portare bene: si rischia di ritrovarsi soli, con una mano davanti e l’altra dietro, per coprire alla meglio le proprie nudità.

Silvio Berlusconi è uomo d’affari scaltro, e siamo certi che capirà e non si getterà in avventure sconsiderate: porta la camicia nera ed acconsente a qualche saluto romano per compiacere i “bimbi sperduti” della ex Alleanza Nazionale, ma non è certo un Mussolini. Altri tempi ed altra storia.

Chi “servirà il Drago”?
Qui, non c’è che l’imbarazzo della scelta: da Casini a Di Pietro, più un buon numero di “transfughi”, “comprenderanno” la necessità di “mettersi al servizio della Patria” per salvarla dagli scogli incombenti. Un “governo tecnico” d’antica memoria: chissà se Capezzone farà il portavoce anche per Draghi? Lo ha fatto per tutti: è un “portavoce on demand”.

E per noi, cosa riserverà il futuro?
Niente di nuovo, perché – a comandare – saranno soltanto spezzoni differenti del capitalismo internazionale, che si riuniranno in quella che Marx già definì la “sostanziale unitarietà delle borghesie”.
Potremo aspettarci anche qualche elemosina, quel tanto che basta per consentirci di fare la spesa al supermercato ma – già immagino
– “Baffino” e Damiano che chiedono “sacrifici” per rimettere a posto i “disastri” lasciati da Berlusconi.

Le vie per uscire veramente da questa crisi sarebbero altre e bisognerebbe iniziare su due fronti: sfoltire – ma di brutto – la pletora d’inconcludenti politici che occupano le amministrazioni, eliminando parecchi livelli decisionali. In fin dei conti, cinque livelli decisionali – Stato, Regioni, Province, Comuni e Comunità Montane – servono solo a riempire le greppie di quelli che vi siedono.
In seconda battuta, ci sono decine di miliardi d’esborso petrolifero che potrebbero diventare ricchezza per gli italiani, se solo qualcuno iniziasse a captare i miliardi di Watt che ruotano intorno a noi, dall’eolico al solare, dalle biomasse all’idroelettrico.

Ma, questa, sarebbe un’altra storia e – oggi – non siamo in grado d’organizzarci per chiedere un serio cambiamento: ci hanno rubato anche le sedie, altro che riuscire ad infastidirli.

Chissà se, al “Corriere di Manaus”, hanno bisogno di un giornalista per la cronaca? L’amico m’ha lasciato il numero di cellulare…magari chiamo…

Carlo Bertani
Fonte: http://carlobertani.blogspot.com
Link: http://carlobertani.blogspot.com/2009/06/quando-la-camicia-di-forza.html
18.06.2009

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