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Siamo alle solite, il governo appena insediato ha cominciato a lamentarsi del buco finanziario nei conti pubblici lasciatogli in eredità dal precedente governo. Il precedente governo aveva fatto lo stesso e così tutti i governi che a partire dagli anni ’90 si sono autoproclamati paladini del rimpinguamento delle casse statali. Da quando è incominciata la litania sul deficit italiano, all’inizio degli anni ’90, dopo il terremoto che colpì la DC, tutti i nostri amministratori si sono adoprati per provvedimenti economici da lagrime e sangue pur di riportare in attivo il bilancio “dell’azienda Italia”.
Dopo quindici anni si scopre che, nonostante il susseguirsi di finanziarie, manovre correttive, vendita dei gioielli nazionali, siamo poco sopra i livelli dai quali si era partiti nei primi anni ’90. Evidentemente qualcosa non torna, e la scusa dei conti in difetto, è un’arma brandita da ogni governo per segare le gambe a determinati soggetti sociali, più spesso i lavoratori dipendenti ma anche i lavoratori autonomi.Il Ministro dell’Economia Padoa-Schioppa fa sapere che la situazione è peggiore di quella del 1996 e non sarà facile imprimere un’inversione a tale trend. L’OCSE ha diffuso ieri un documento dove si annuncia una crescita massima per l’Italia intorno al 1,4% con un rapporto tra deficit e PIL del 4,2% nel 2006 e 4,6% nel il 2007. Tradotto: le entrate non coprono le spese per cui si deva andare giù di mannaia. Ma chi dovrà pagare di più per tale ripristino dei conti pubblici? Facile a dirsi e, come avevamo già preannunciato, si prospetta un giro di vite sul ceto medio che nell’era Berlusconi era stato risparmiato per una convergenza di interessi all’interno della CDL.

Facendo i calcoli, al governo Prodi servono almeno 14 mld di euro per ridurre di almeno un punto percentuale il deficit e i soliti spauracchi con i quali si preannuncia l’improcrastinabilità dei provvedimenti da adottare sono: l’uscita dell’Italia dall’unione monetaria e l’abbassamento dell’indice di rating da parte delle agenzie internazionali (downgrade) che renderebbe più alto il premio da pagare per i titoli sul debito pubblico (a causa di minori garanzie di solvibilità).

Ancora una volta ci prospettano il solito vicolo cieco dal quale si esce solo con maggiore liberalizzazione del mercato interno, cospicue privatizzazioni e un abbassamento del costo del lavoro. Quanto a quest’ultima misura, attraverso il cuneo fiscale, si eviterebbe di raschiare ancora sul fondo del barile e, dalla riduzione percentuale di 5 punti, promessa dal governo, 2/3 andrebbero alle imprese e 1/3 ai lavoratori (Montezemolo & C. possono ritenersi soddisfatti, i sindacati un po’ meno). Allora, dicevamo, da dove prenderanno le risorse necessarie (14 mld per la riduzione del deficit e circa 8mld per il cuneo fiscale)? A parte le già proclamate liberalizzazioni e restrizioni di spesa pubblica (per le quali D’Alema si è tanto vantato ieri sera a “Ballarò” definendo un paradosso che sia stata proprio la sinistra ad occuparsene piuttosto che il centro-destra) ci sarà una stretta sulle tasse. Dato che gli evasori sono soprattutto lavoratori autonomi, o almeno quella parte sulla quale si riuscirà d’intervenire (mentre Montezemolo potrà continuare a piazzare i suoi guadagni in Lussemburgo), il vice-ministro Visco ha fatto sapere che le tasse si pagheranno e che non ci saranno più condoni alla Tremonti. In più sarà ripristinata la tassa di successione che il governo Berlusconi aveva abolito.

Dovrebbe così continuare in Italia quella politica di favoreggiamento dei gruppi dominanti che ci hanno portato, questi sì, alla stagnazione più nera. Montezemolo, non a caso, si sta concentrando su grandi operazioni nel settore tessile da attuare in Cina. Avete capito bene, il leader della Confindustria vuole fare concorrenza ai grandi paesi sviluppati arroccandosi nei settori meno determinanti per la crescita economica di un Paese. Invece di investire in innovazioni di prodotto, nuove tecnologie e fonti energetiche ci buttiamo nel tessile, magari anche con i contributi statali.

Rifondazione Comunista si è già messa sul chi vive ma non ha di meglio che proporre consunte politiche neokeynesiane “da domanda” alle quali credono solo loro.

La verità è che l’Italia si trova in questa situazione a causa dell’inettitudine della sua classe dirigente, sia essa politica, culturale, industriale o finanziaria. E non c’entrano nulla né le tasse, né il deficit né le agenzie di rating. Gli organismi internazionali, si chiamino essi Banca Mondiale, Fondo Monetario ecc. ecc., fanno solo da paravento agli interessi della potenza dominante. Pensate un po’ se le agenzie di rating dovessero preoccuparsi del reale indebitamento dell’economia americana, quale sarebbe l’indice di solvibilità da assegnare? Come mai nonostante una bilancia commerciale disastrosa tutti continuano a fare credito agli USA? Gli americani mettono i paesi in riga a suon di bombe e di fantomatici accordi multilaterali (come quelli che i paesi del Sud America cercano costantemente di rinegoziare) e chi contesta si ritrova presto con una guerra per l’ “esportazione della democrazia” in casa.

E’ questo che manca all’Italia, una strategia di lungo respiro orientata alla conquista di spazi di egemonia (ovviamente non da sola, ma con un assetto strategico che coinvolga altri governi) impossibile finché si resterà sotto l’ombrello protettivo americano. Purtroppo i nostri dominanti non sono capaci nemmeno di siglare un accordo minimo come quello per le forniture di gas Russo, perché gli americani hanno come obiettivo prioritario proprio quello d’impedire che si crei una forza a loro avversa in Eurasia. Per ciò gli Usa non ammettono defezioni e, soprattutto, da quei paesi che considerano alla stregua di un cortile di casa.

Quella tracciata è, dunque, l’unica via attraverso la quale si può pensare ad un futuro risollevamento di questo “povero paese” chiamato Italia, ma tale possibilità passa proprio dall’annientamento di due categorie vetuste e compromesse quali sono quelle di destra e sinistra speculari a tale servilismo pro-USA, non solo in Italia ma anche in Europa.

Fonte: http://ripensaremarx.splinder.com/
24.05.06

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