Se Renzi volesse…o potesse, o sapesse…

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DI CARLO BERTANI

carlobertani.blogspot.it

Se Renzi non fosse un burattino nelle mani del potere finanziario e delle burocrazie europee, non si sarebbe mai sognato di progettare una riforma costituzionale: avrebbe continuato a giocherellare con la sua immagine, con l’album delle sue figurine. Invece, gliel’hanno ordinato, e lui obbedisce. Penso che nemmeno questa volta la riforma passerà – a meno di clamorosi brogli: hanno assoldato legioni di scrutatori “embedded” – poiché il popolo italiano è stanco e sfiduciato, e non è scorretto “vendicarsi” sul referendum, poiché quando le leggi elettorali sono delle truffe incostituzionali, si combatte come si può, anche a suon di sberleffi (pensate cos’hanno fatto gli americani ad Hillary!).

Eppure, una riforma del Parlamento e delle amministrazioni periferiche sarebbe necessaria: siamo certi che, se il popolo avvertisse davvero che si tratta di una consultazione (e non di un voto basato su ricatti e frustate, come al solito) risponderebbe diversamente, poiché gli italiani – almeno in larga parte – non sono degli stupidi. Proviamoci va, tanto siamo certi che non ci ascolteranno mai, ma qualcuno che ascolta ci sarà, ed a noi basta.

Gli scopi di una vera riforma devono essere due: risparmi sui costi inutili ed una maggior efficienza verso i cittadini, cosa fattibilissima e, proprio nello spirito del dibattito democratico che Renzi non attua, il quadro che seguirà spero che servirà come base di discussioni, ovviamente motivate.

Il Parlamento

Fino al 1990 (circa) il sistema era bloccato dalla Guerra Fredda e dalla divisione in blocchi: Camera e Senato erano delle fotocopie, e dunque il sistema reggeva, anche se era inutilmente duplicato. Oggi, siamo al parossismo: per composizione, sono quasi due diversi parlamenti e ciò deriva da leggi elettorali sconsiderate. In questo quadro spadroneggiò un Presidente-padrone – Napolitano – ed oggi regge solo per la presenza del muto Mattarella: la “riforma” l’hanno già attuata e il Parlamento non conta più niente, il vero potere è del governo, grazie all’uso sconsiderato del decreto-legge.
Non servono due Camere, né serve creare una camera dedicata alle amministrazioni locali, poiché – inevitabilmente – entrerebbe in conflitto con la camera “nazionale”.
Piuttosto, serve una Camera che lavori e, per lavorare bene, ha bisogno del costruttivo apporto della Corte Costituzionale e di un Presidente dotato di parola: doppia lettura per ogni legge, inframmezzata da un’analisi dei costituzionalisti – per evitare di avere parlamenti e leggi incostituzionali, come oggi avviene – quindi recepire, nella seconda lettura, i “paletti” costituzionali e valutare anche le note a margine, non obbligatorie. In circa sei mesi una legge sarebbe pronta: una buona legge, che non sarebbe necessario emendare il giorno dopo, soprattutto se si tornasse a legiferare per comparti omogenei, non inserendo un comma sugli allevamenti di mucche da latte nella riforma dell’esame di maturità.
Sui numeri e sugli eletti del Parlamento, torneremo dopo.

Le Regioni

Fino al 1980 circa, le Regioni non esistevano: inserite nel 1970, solo dopo un decennio iniziarono a far sentire il loro peso. Quasi sempre funesto.
Proprio ieri sera parlavo con un funzionario regionale, il quale mi confessava che le Regioni – pur dovendo amministrare vasti territori – sono schiave di una incommensurabile forza centripeta. Se il 100% vige a Milano, a Brescia è soltanto più un 50%, mentre in Valcamonica quasi si perdono le opportunità, le notizie…pur vivendo nel Web 3.0. Inutile: ogni livello cerca d’ottenere qualcosa per sé, per la propria parte politica o affaristica (spesso multi-partitica) ma, soprattutto, sul proprio territorio. Ovvio che il territorio dove sorge il capoluogo è il più avvantaggiato: ne abbiamo visto i frutti, in termine di malaffare, sotto tutti i cieli.
Sinceramente, non riesco a trovare un solo vantaggio, una sola opportunità in più offerta dalle Regioni, anche se tutte fossero equiparate a quelle autonome. E’ il sistema che non funziona: le Regioni hanno canali diretti con l’UE e li adoperano per dirottare fondi destinati verso l’occupazione e la piccola impresa verso i vari carrozzoni controllati dalla politica. In questo senso, sono un vero e proprio danno: l’unica soluzione è gettare via il bambino insieme all’acqua sporca, senza ripensamenti.

Le Province

Siamo giunti al parossismo: dopo avere strombazzato ai quattro venti l’eliminazione delle Province, nel 2016 si sono tenute – lo dico per coloro che non se ne sono accorti – le Elezioni Provinciali. Elezioni di “Secondo livello”, le chiamano, ovverosia i sindaci ed i consiglieri comunali votano una sorta di Presidente della Provincia con gli assessori – senza emolumenti, per carità! (e i gettoni di presenza? A quanto ammontano?) – i quali avranno il compito…di gestire l’azzeramento delle Province! Per quando? Non si sa: immaginiamo non prima del 2050…
Se volete, leggete il mio ultimo articolo e capirete che razza di sordida cloaca siano diventate le amministrazioni provinciali “rinate”: non per questo, però, l’impianto napoleonico è da buttare.
Per come stanno le cose oggi, però, c’è da buttare il bambino, l’acqua del bagnetto e spaccare pure la vaschetta.

I Comuni

Non so da quanto tempo non vi recate in Comune: non un grande Comune, cittadine di qualche migliaio d’abitanti o poco più. Un tempo, c’erano un paio d’impiegati all’anagrafe, il vigile od il messo, un’impiegata all’amministrazione, il geometra, il segretario o poco più. Osservate oggi.
Decine e decine di persone che volteggiano, girano, salgono e scendono scale, cercano qualcuno, telefonano, fotocopiano, consultano, lavorano al computer…ma cosa fanno?
Il lavoro glielo trovano – sicuro – con tutto l’ambaradan di nuove leggi e leggine che mutano ogni mese…ma…a cosa serve tutto quello sciame di api operaie ronzanti?
In fin dei conti, e mi dispiace dirlo per chi crede di svolgere un’attività socialmente utile, servono a mantenere una base elettorale sicura, tramite il favore, la raccomandazione, il posto sicuro. Per questa ragione i Comuni hanno piante organiche sempre più ampie.

In Italia, ci sono quasi 10.000 comuni. Una decina sono città di rango internazionale, altre duecento circa hanno importanza nazionale poiché sedi d’industrie, città d’arte, snodi ferroviari, porti, località turistiche, ecc.
Circa 9.000 Comuni sono, in gran maggioranza, borghi agricoli dove l’agricoltura sta morendo per mancanza…d’agricoltori! A differenza della Francia e della Germania – che hanno pressappoco un agricoltore sotto i 35 anni contro un altro 65enne, un rapporto di sostituzione di 1:1 – in Italia il rapporto è di 8:1, ossia 8 vecchi per un giovane.
Inutile ricordare che, ogni anno che passa, si riducono le superfici coltivate ed i boschi avanzano, inesorabili: ciò è dovuto, principalmente, alla mancanza d’idee, poiché le idee fanno impresa, generano ricchezza. E, non dimentichiamo, la ricchezza – sia essa legno o grano, oro o pirite – si trova nel territorio, non in piazza Navona.

L’ampiezza di un Comune non supera le decine di chilometri quadri: estrema frammentazione del territorio (per ragioni storiche), fra i più densamente popolati del pianeta. Oltre il confine, segnato a volte da un fiume, altre da un semplice cartello affisso nella pianura c’è un altro Comune, magari differente per Storia e monumenti, ma identico per territorio, per bisogni, per possibilità.
Il Comune, oggi, non ha fondi da destinare a nulla, se non alla propria sopravvivenza: le frane richiedono anni di lavoro, perché bisogna aspettare che la Regione stanzi, che la Provincia approvi…e così via. E le transenne restano, perché i fondi devono andare al sostegno elettorale, che gli frega a loro se noi bestemmiamo, fermi al semaforo della frana.

Un tentativo di riunire più Comuni, per lo più accanto ad aree urbane, fu portato a termine durante il Fascismo, ma non in molte realtà: l’esempio genovese è forse il più “classico” come esempio, laddove i comuni di Voltri, Pegli, Sestri, Pra, Nervi…eccetera…divennero la “grande” Genova.
Nessuno, però, ha mai immaginato di riunire più Comuni distanti da una città in realtà amministrative autonome, realtà omogenee per territorio ed attività economiche: un’intera vallata, ad esempio, oppure una porzione di pianura fra due fiumi. Cosa porterebbe?

Quanto costano oggi

Ogni lavoratore o pensionato paga, annualmente, circa 700 euro per le amministrazioni locali (Regioni e Comuni): siccome gli occupati sono 22 milioni 498 mila ed i pensionati 15,8 milioni (fonte: ISTAT), paghiamo per queste istituzioni circa 26 miliardi l’anno. Cifre da legge Finanziaria: tanto per fare un paragone, il governo Renzi ha stanziato, quest’anno, 7 miliardi per le pensioni, che è uno dei maggiori stanziamenti dell’attuale legge. Ma non finisce qui.
Mancano le Province, che si approvvigionano tramite una quota sulle assicurazioni auto più le onnipresenti multe, diventate un vero cespite anche per i Comuni: ci sono Comuni che inseriscono nel bilancio di previsione la quota percentuale di quanto dovranno aumentare nell’anno successivo! Il “crimine” previsto, quantificato e tollerato.
Bolli, tasse, addizionali, TARES, TARSU, TOSAP…è difficilissimo stimare quanto costano queste amministrazioni, poiché – ad esempio – in quello delle Regioni c’è da conteggiare la Sanità, in quello delle (ex?) Province gli interventi di manutenzione delle scuole…qualcuno ipotizza addirittura un costo totale di 90 miliardi l’anno…ma non ci sono cifre certe…è proprio necessario?

Premetto che le ipotesi che seguiranno sono pensate per l’attuale situazione, vale a dire la presenza dell’UE anche se, personalmente, credo che uscire dall’Europa e dall’Euro sarebbe la prima e più necessaria medicina: non perché un impianto europeo sia disdicevole, ma nelle mani di questa gente – e per come è stato pensato e realizzato – è una vera iattura.

Ipotesi di discussione

Accorpando in gruppi di 15-20 Comuni i circa 9.000 piccoli comuni italiani, si otterrebbero 450-600 unità territoriali – Comunità, Distretti, Comprensori, Dipartimenti, mini-province…chiamateli come desiderate – le quali avrebbero a disposizione (osservando le attuali piante organiche) almeno 100-200 dipendenti fra impiegati, operai, vigili, ecc, quali sarebbero i vantaggi?
Venti cantonieri che spingono una carriola raggiungono gli stessi obiettivi di venti cantonieri – provvisti dei necessari macchinari – che riparano una frana? Od una perdita d’acqua? Oppure tagliano alberi caduti? Lo stesso dicasi per gli impiegati, i vigili, ecc: si potrebbero ottenere non dei risparmi di scala, bensì dei vantaggi di scala. Senza dimenticare che, per gli aspetti amministrativi, già oggi (vedi Germania) è possibile inviare e ricevere documenti via Internet, comodamente da casa.

Ogni Comunità avrebbe un Consiglio ed un Presidente, ed eleggerebbe un parlamentare ogni cinque anni: una sola giornata elettorale ogni 5 anni, fine delle elezioni ogni anno. Se ci pensate, la pratica delle elezioni “frazionate” è soltanto una necessità degli attuali partiti: quella di controllare continuamente i rapporti di forza. I costi delle elezioni? E che gliene importa a loro?
Nei vecchi Comuni rimarrebbero un modesto ufficio per le pratiche più comuni: anagrafe e poco altro e le Pro Loco, organismi nati dal basso dove si creano, con la sperimentazione per la valorizzazione del territorio, i futuri amministratori e politici.
I comuni di “cintura” alle grandi città diventerebbero quartieri della città stessa, ovviamente.

Ogni Comunità dovrebbe essere dotata di una piccola astanteria (10-15 posti letto) per le emergenze, mentre la Sanità “maggiore” – i grandi ospedali – tornerebbero sotto lo Stato: riflettiamo che, prima della riforma, mantenevamo un Poggiolini (l’ispettore dei farmaci con i lingotti d’oro sotto il divano), oggi ne manteniamo venti, uno per Regione.
Inserendo come capoluogo la cittadina più grande e popolosa, le scuole già ci sarebbero: sarebbe poi compito delle amministrazioni occuparsi di completare gli iter formativi, secondo le esigenze.
Molto importante creare una giustizia locale per il “piccolo cabotaggio”: incidenti di varia natura, piccoli furti, sfratti, separazioni, confini, ecc. lasciando i compiti più difficili, le inchieste ecc. nelle mani dei giudici nei grandi tribunali: tornerebbe, rivisitata, la figura del pretore, giudice monocratico e, nella nuova riforma, unico grado di giudizio (al massimo, un ricorso ad un altro pretore). La giustizia spicciola, grosso modo, funziona così in Gran Bretagna.

Dal punto di vista fiscale, sarebbe necessario un ribaltamento delle attuali prassi: stabiliti i costi generali dello Stato (ossia Difesa, Giustizia, Sanità, Scuola) – anno per anno, e dando potere esecutivo alla Corte dei Conti di limitare gli “incrementi” – tutte le altre entrate rimarrebbero alla Comunità.
In questo modo, le Comunità avrebbero fondi propri per gli investimenti sul territorio, oppure potrebbero optare per un ridimensionamento del prelevo fiscale.
Le grandi città, all’opposto, vedrebbero frazionata la loro gestione: pur mantenendo un Consiglio Comunale (per il controllo e la supervisione generale), il vero potere (ossia i soldi) andrebbero nelle mani delle Circoscrizioni, ovvero dei quartieri, in base alla popolazione residente. In questo modo, non ci sarebbero più quartieri poco popolati che fanno la parte del leone e quartieri-dormitorio che si dividono le briciole.
Anche in questo caso, vigerebbe il federalismo fiscale sopra esposto, mentre tutte le leggi elettorali sarebbero proporzionali, senza nessun premio di maggioranza e con uno sbarramento al 3%.

Il nuovo Parlamento

Il Parlamento, rimasto unica camera di rappresentanza, dovrebbe lavorare, e parecchio. Una settimana lavorativa di cinque giorni (Lunedì-Venerdì), non come oggi (Martedì-Giovedì): per contrappeso, la quarta settimana del mese rimarrebbe chiuso, cosicché i parlamentari possano tornare nei collegi ed ascoltare le novità, le richieste, i bisogni…partecipando, in veste d’uditori, alle riunioni del Consiglio di Comunità.
Oltre al referendum abrogativo – senza quorum (c’è forse un quorum per le elezioni?) – sarebbe necessario il referendum propositivo: 500.000 firme, ma un anno di tempo per raccoglierle, ed il parlamento sarebbe obbligato ad esaminarlo subito, non infilarlo nel cassetto “ricordi e depositi” come fanno per le leggi d’iniziativa popolare.
Sarebbero da riformare anche i regolamenti parlamentari, l’abuso del decreto-legge nella formazione delle leggi e molto sulla Giustizia, ma sono argomenti che esulano da questa trattazione.

Conclusioni

A qualcuno sembrerà l’uovo di Colombo, ad altri un sistema irrealizzabile, ad altri ancora una schifezza: provate a ragionare, io propongo un sistema che dimezza i costi centrali e sopprime due amministrazioni locali su tre. Quanto il risparmio? Non so darvi una cifra certa, ma valutabile nell’ordine delle decine – forse centinaia – di miliardi l’anno.
Ed una maggior efficienza, di questo sono sicuro. Perché?

Poiché le cose, nelle amministrazioni locali, non vanno come (forse) pensate: ossia, l’assessore comunale all’ambiente si reca dall’assessore provinciale, il quale telefona all’assessore regionale e combina un incontro col ministro dell’Ambiente. Manco per idea.
L’assessore comunale all’Ambiente va da suo cugino, l’assessore provinciale ai Trasporti, il quale contatta il suo ex compagno di scuola, che è assessore regionale alla Sanità. L’idea, se buona – ossia se rende dei soldi – viene portata avanti calcolando da subito la divisione del malloppo, magari se si riesce a fare a meno del ministro anche meglio, perché quello non lo liquidi con due spiccioli.

Idee come quella delle “macro-regioni” – ricordando il sen. Miglio – sono inutili: anzi, complicano le cose. La gerarchia, soprattutto oggi, con la velocità dell’informazione, è un inutile orpello: è un retaggio del nostro modo di pensare, un ricordo al quale siamo legati.
Nella suddivisione dei fondi europei, la Spagna ed il Portogallo si presero (anni ’80-90) anche la parte che l’Italia non riusciva a spendere, perché l’Italia convogliava i fondi nella “catena” amministrativa, gli iberici avevano uffici centrali. Fu un caso (forse ancora abituati a stati fortemente centralizzati?) che li favorì, mentre l’Italia perse tutte le occasioni nelle quali i nostri ladri di polli non riuscivano a trovare un accordo per la spartizione. I famosi capannoni abbandonati, ricordate?

Non vi è nulla di più diretto e senza intoppi che un ufficio – corrispondente alla commissione parlamentare – il quale riceve dei piani d’intervento, richieste di fondi (motivate) e quant’altro: devono solo lavorare, di certo non andare ai talk-show.
Per evitare il noto fenomeno del “approvo per la maggioranza, respingo per l’opposizione”, tutti i provvedimenti di spesa per le amministrazioni locali sarebbero racchiusi in una, unica legge di spesa: una a trimestre, ad esempio, cosicché si approverebbe o si respingerebbe in blocco. In commissione è più facile accordarsi (in un parlamento che funzioni, si fissano delle regole e ci si attiene ad esse), mentre in aula bloccare è facilissimo.
Inoltre, per la corruzione, vi sarebbero solo due livelli da controllare: più facile da vigilare, meno complesso: in fin dei conti, lo stato napoleonico era molto simile, e Napoleone era una persona di un’intelligenza straordinaria. I francesi, per due secoli, non sono riusciti a demolire l’impianto napoleonico: comunque, oggi, les voleurs de poulets français ci stanno riuscendo, anche loro stanno per aggiungere il livello regionale.

Vorrei solo far notare la differenza fra un impianto federalista e la mia ipotesi: qui si tratta di tornare a dei valori e dei comportamenti che la Lega ha sempre strombazzato, ma ai quali non ha mai creduto. Basta riflette sulle “grandi verità” sbraitate a Pontida e la misera fine di Bossi, che regnava su un partito nel quale i parlamentari “romano-acquisiti” (“Roma Ladrona”: i romani non si offendano) si spartivano mazzette a iosa. Quelli buoni, dalla Lega se ne andarono già prima del 2000.
Ossia, non si tratta di costruire un impianto gerarchico “locale” bensì di spazzarlo via: un filo diretto, al posto di una sequela di “prolunghe” macilente e poco sicure. Di certo, la politica nelle Comunità dovrebbe essere di alto livello, perché è lì che si faranno le scelte politiche importanti: non la “giornata della fertilità”, ma come dare un assegno sicuro alle future madri e la certezza di ritrovare il proprio lavoro dopo il parto, indipendentemente da razza, religione, condizione sociale e moralità. Così recita la nostra Costituzione.
Dovrebbero, inoltre, essere aboliti tutti i finanziamenti ai media – Tg, giornali, ecc – cosicché la stampa diventerebbe – finalmente – libera (e responsabile): non ci sarebbero più i Renzi in Tv dall’alba al tramonto né gli “editti bulgari”.

Già conosco le vostre obiezioni: se non sono onesti…certo, lo so anch’io…se non si riforma la moneta…sicuro…se c’è l’Europa di mezzo non c’è niente da fare…ma certo…e allora? Che facciamo? Avete una katana per fare karakiri tutti? Altrimenti vi presto la mia: se volete passarvela…scherzo, ovviamente.
Facciamo circolare delle idee, non possiamo fare altro – per ora – però un terzo dell’attuale parlamento è costituito da neofiti, gente che reputo onesta (forse esperta e capace un po’ meno, ma non importa) con una direzione politica un poco arruffona (più facile dal palcoscenico, vero Beppe? Ti capisco…) ma, tutto sommato, è una nuova realtà che appare…non sappiamo ancora come andrà a finire. Magari il bicchiere è mezzo pieno e non ce ne accorgiamo.

Ci sarebbero ancora molte cose da dire, ma non voglio abusare della pazienza di chi mi ha seguito fin qui: andiamo a buttare in faccia al ragazzino di Rignano la sua pasticciata e clientelare “riforma” con un NO, senza ripensamenti e paure di buttare “un’occasione”. Questa riforma non è nulla: è fuffa, è truffaldina, aumenta le spese invece di diminuirle.
Grazie per la vostra attenzione.

 

Carlo Bertani

Fonte: http://carlobertani.blogspot.it

Link: http://carlobertani.blogspot.it/2016/11/se-renzi-volesseo-potesse-o-sapesse.html

20.11.2016

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