Sono anni che sentiamo parlare della carenza di insegnanti, e anche per questo anno scolastico il solito teatrino si è ripetuto [1].
Ci si chiede come sia possibile che il nostro corpo docente sia perennemente in carenza d’organico, specie al nord d’Italia [2]. La risposta è facile: hanno talmente complicato le procedure [3] d’assunzione (la ‘scusa’ è sempre la stessa, ce lo chiede l’Europa [4]), da far scappare la voglia anche al più volenteroso degli aspiranti insegnanti. Se ci sono possibilità di insegnare guadagnando qualcosa in più, magari all’estero, alcuni ne approfittano, altri ripiegano su diverse professione. L’insegnamento nella nostra nazione, insomma, diventa l’ultima ratio per giovani che progettano la loro vita.
E così, una professione importantissima nella crescita e nella formazione dei futuri cittadini, che richiede talento e dedizione, diventa una specie di ripiego, mentre in molti Paesi europei resta la semplice e sensata regola che per insegnare ci voglia ‘semplicemente’ una laurea magistrale.
Anche da noi in Italia funzionava nello stesso modo: ti laureavi, facevi un concorso, entravi in graduatoria e potevi insegnare. Alle scuole elementari poi, c’erano bravissime maestre uscite dalle scuole magistrali (che da sole gestivano classi molto più numerose di ora). Di questi tempi, invece, le faccende si sono complicate di un bel po’, specie se si vuole insegnare alle scuole secondarie di I e II grado:
In base alle nuove disposizioni, il percorso per diventare insegnanti comprenderà: una laurea magistrale (o triennale per ITP); un percorso formativo di abilitazione di 60 CFU/CFA (sono almeno altri due anni di studio universitario, oltre a quelli già passati per conseguire la laurea magistrale); il superamento di un concorso; un anno di prova in servizio con un test e una valutazione finale.
E se pare poco, va sottolineato che dei 60 CFU almeno 20 sono attraverso un periodo di tirocinio diretto presso le scuole.
Poi ci si chiede perché gli istituti siano in carenza d’organico.
Ma ciò non conta per i nostri capacissimi legislatori, i quali giustamente la vita ce la complicano ancora un po’.
Il DPCM 4 agosto 2023 “Definizione del percorso universitario e accademico di formazione iniziale dei docenti delle scuole secondarie di primo e secondo grado, ai fini del rispetto degli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza”, non solo ci informa del fatto che i 60 CFU rappresentano un vero e proprio lasciapassare per entrare nelle graduatorie, ma che ha un costo non indifferente:
I costi massimi, pari a euro 2.500, di iscrizione ai percorsi di formazione iniziale, corrispondenti a non meno di sessanta CFU o CFA, sono posti a carico dei partecipanti [5].
Ricapitolando: non bastano i sette anni di media per conseguire la laurea magistrale, per poter conseguire i crediti universitari abilitanti per l’insegnamento che vengono imposti bisogna pagare e passare almeno altri due anni di studio, più la prova finale (al modico costo di 150 euro, qui nessuno regala niente).
Dieci anni di studio, anno più, anno meno. E se sei povero, o almeno non in condizioni di avere i soldi necessari per pagarti il corso e mantenerti gli studi per tutti gli anni previsti, non insegni. I meno abbienti non possono neanche pensare di insegnare, a queste condizioni, salvo grossi sacrifici.
E qui dovrebbe essere finita, e c’è abbastanza di che indignarsi. E invece no.
La classe di laurea magistrale conseguita corrisponde a una specifica classe di concorso. Le classi di concorso sono dei codici a cui corrispondono i requisiti accademici indispensabili per ottenere l’abilitazione all’insegnamento di una precisa materia. A partire dal codice della classe di laurea si può individuare a quali classi di concorso si può accedere, e scoprire i requisiti che servono per accedere all’insegnamento di quella particolare materia. Per accedere all’insegnamento di una specifica materia scolastica sono previsti quindi dei ‘vincoli’:
per poter insegnare una determinata materia, è obbligatorio non solo avere conseguito una laurea della corrispondente classe di concorso, ma anche aver superato un certo numero di esami (e quindi aver conseguito un certo numero di CFU) in alcuni specifici settori scientifico-disciplinari.
L’Odissea finisce poi con i concorsi, che prevedono una prova scritta, una orale e una valutazione dei titoli personali. Il risultato di un concorso scuola è una classifica:
da questa vengono assunte a tempo indeterminato solo le persone necessarie a coprire i posti vacanti.
Chi ha superato il punteggio di base ma non ha conseguito quello sufficiente per ottenere la cattedra, può lavorare nelle scuole da precario, in attesa del suo ‘turno’. Per quanti anni, non è dato di sapersi.
E intanto, le cattedre restano vuote.
[2] https://www.universoscuola.it/carenza-insegnanti-nord.htm
[4] https://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2007:0392:FIN:IT:PDF
[5] https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2023/09/25/23A05274/sg