Ursula scopre la luna

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DI ROSANNA SPADINI

comedonchisciotte.org

Nell’era di Greta Thunberg, affrontare i cambiamenti climatici è diventato l’imperativo categorico per le élites globaliste ed europeiste.

Ha iniziato Alexandria Ocasio-Cortez, la superstar dei democratici Usa, nel febbraio scorso, col suo “Green New Deal”. In un unico sottoparagrafo veniva promesso “assistenza sanitaria di alta qualità; alloggi accessibili, sicuri e adeguati; sicurezza economica; acqua e aria pulite, cibo sano e accessibile.” E poi ancora “un lavoro consistente, un adeguato congedo medico e familiare, ferie pagate e sicurezza pensionistica”. Un progetto di riforma sociale decisamente utopistico. Una sorta di paradiso dell’Eden in salsa Dem.

Sostituire le fonti energetiche ad alto tenore di carbonio con fonti più pulite come gas naturale, nucleare e bioenergia costringerebbe decisamente l’America alla decarbonizzazione. Però fornirebbe davvero “milioni di posti di lavoro” e “livelli senza precedenti di prosperità e sicurezza economica” come promesso dalla “green revolution”?

Forse il Green New Deal galvanizzerà il voto dei giovani o aiuterà ad eleggere i democratici attenti all’ambiente, forse è stato geniale associare l’ambientalismo ad altre politiche economiche che potrebbero attirare consensi, tuttavia resta il fatto che il progetto si configura come illusorio.

Poi, a distanza di qualche mese arriva il “European Green Deal” di Ursula von der Leyen, che fa riferimento fin da subito al fenomeno dei Fridays for Future. Con 100 miliardi di euro da destinare alle regioni e ai settori più vulnerabili per favorire la riconversione energetica di tutta l’industria europea.

Ma anche l’accordo verde europeo stabilisce una serie di politiche troppo ambiziose per essere credibili: una legge europea sul clima per sancire l’obiettivo della “neutralità climatica” entro il 2050; un aumento dal 40% al 50/55% di riduzione delle emissioni del 2030; un Fondo di transizione per sostenere le regioni più colpite dalle nuove politiche climatiche; una tassa sul carbonio, e una revisione della direttiva sulla tassazione dell’energia. Alcune di queste politiche si manifesteranno nei primi 100 giorni, mentre altre dovranno impiegare anni, vista la progettazione così complessa. Le disposizioni del Green New Deal insomma sembrano approdare sulla luna, con l’orizzonte del 2050 per la completa decarbonizzazione.

Ma non tutto procede secondo i piani di zia Ursula, visto che Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca e la Francia (sostanzialmente per la difesa del proprio nucleare) si sono rifiutate di appoggiare la proposta in occasione di una riunione del Consiglio europeo.

Risulta evidente il divario est-ovest sul problema ambientalista, perché i governi dell’Europa centrale e orientale scelgono ancora politiche ad alta intensità energetica e protettiva per le proprie industrie tradizionali.  Un sondaggio Eurobarometro ha mostrato che il 50% degli svedesi considera il cambiamento climatico la questione più importante al mondo, mentre solo il 10% dei bulgari è d’accordo; la media EU28 si attesta al 23%.

Oltre alla divisione est-ovest, la nuova commissione deve prepararsi a una resa dei conti politica. È probabile che si trovi intrappolata tra due forze politiche emergenti. Il nuovo gruppo allargato di deputati verdi al PE esaminerà ogni mossa e spingerà per un’azione più rapida e ambiziosa. Già in vista dell’audizione di conferma di von der Leyen, i gruppi liberali, socialisti e verdi al Parlamento europeo hanno creato una piattaforma climatica rafforzata come prerequisito per la sua conquista del loro obiettivo. Ma i populisti sembrano adottare posizioni più scettiche sul clima e non perderanno l’occasione di compattarsi contro l’establishment.

Il cambiamento climatico si è ormai definitivamente configurato come guerra politico culturale sia in Europa che a livello globale. La nuova commissione si definisce una “commissione geopolitica”, e pretende che l’Europa diventi il ​​”primo continente neutro dal punto di vista climatico” entro il 2050. Augurandosi addirittura di convertire al credo ambientalista anche personaggi come Donald Trump, Jair Bolsonaro, Narendra Modi, Xi Jinping. Ma la sfida è grande, anche perché la Von der Leyen intende introdurre una tassa sul carbonio con l’obiettivo di prevenire la “rilocalizzazione delle emissioni di carbonio”, ovvero il trasferimento della produzione ad alta intensità di carbonio in paesi al di fuori dell’UE che non sono vincolati da rigide norme europee.

Processo decisamente lungo e arduo che comporterà attriti con tutte le altre principali potenze, mentre le guerre commerciali sono già in corso.  Man mano che le ambizioni crescono, le sfide al Green New Deal saranno comunque piuttosto ampie e determinate: la divisione est-ovest sull’azione per il clima; i lavoratori preoccupati per l’occupazione; i populisti desiderosi di sfruttare questa questione; la necessità di convincere l’industria e il commercio europei  e la prospettiva di fare tutto ciò navigando in un ambiente geopolitico complesso.

Ora appare chiaro come dietro al fenomeno Greta, così ampiamente sponsorizzato a livello globale, ci fossero gli ordoliberisti, quelli che hanno imposto il mercatismo della deregulation, la globalizzazione selvaggia e che hanno sfruttato le risorse del pianeta più di chiunque altro, quindi appare assolutamente inedito che questi squali dal volto disumano si siano improvvisamente svegliati dal loro torpore civico ed ora s’interessino gratuitamente alle sorti del Pianeta. Un evidente paradosso.

Magari lo stanno facendo perché grandi società hanno investito enormi capitali sulla green economy, investimenti che finora sono rimasti improduttivi, rappresentando un problema economico-finanziario piuttosto grave, ergo hanno bisogno che quel mercato si sblocchi per trasformare l’enorme debito in enorme guadagno. E le banche a loro volta devono rientrare dai prestiti concessi.

Il tema ambientale quindi per i mondialisti rappresenta la nuova strategia capitalistica, il nuovo simbolo attrattivo con cui arricchirsi a dismisura, visto che hanno ritrovato il solito modo per socializzare le perdite e privatizzare gli utili, mostrando il lato virtuoso del proprio agire, riuscendo intanto a distogliere l’attenzione dalla devastazione sociale che hanno causato negli ultimi 40 anni.

Quanto agli effetti della riconversione green potrebbero essere anche dirompenti e magari generare sacche di povertà economica ed esclusione sociale. E se gran parte dell’attuazione di tali trasformazioni sarà necessariamente in capo al settore privato, oggi il decisore politico è chiamato a dare un impulso fondamentale a questa evoluzione. Per questo motivo, oltre alla guida strategica, il finanziamento pubblico dovrà giocare un ruolo chiave per la riconversione industriale in Europa.

Perfino il Financial Times si chiede se il piano sia pensato per proteggere l’ambiente o solo per risollevare l’industria europea.  Alle spalle comunque c’è la solita strategia della sorveglianza che ha favorito la nascita e la crescita di movimenti populisti che hanno consumato e depotenziato la protesta sociale (Sardine, M5S, Verdi). Secondo propaganda retorica ed emotiva, si punta alle nuove generazioni, già disinnescate dall’attenzione ai problemi sociali, spedite in massa a cercare lavoro all’estero (Erasmus), totalmente ipnotizzate da social e tecnologia, e che ora vengono strumentalizzate anche per manifestare a vanvera contro il cambiamento climatico, al seguito di Greta, la pulzella di Stoccolma.

Miracoli della propaganda dei suddetti media padronali, pilotati da banche, corporations, fondi d’investimento ecc ecc… Occorre cooptare i consensi e creare un nuovo contenitore dove rastrellare le proteste per poi sterilizzarle al meglio. E magari stanziare enormi fondi pubblici per la Green Economy.

 

Rosanna Spadini

Fonte: https://comedonchisciotte.org/

 

 

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