FONTE: The Oil Crash
Cari lettori,
a ragione di un deplorevole scivolone in cui sono incorso in un programma radiofonico (quando ho sbagliato di vari ordini di grandezza la quantità di energia necessaria per trasportare un chilo di materiale nello spazio), mi è sembrato interessante fare una revisione critica (e meglio fondata rispetto a quei calcoli affrettati ed errati) su ciò che comporta lo sfruttare i giacimenti minerari nello spazio, anche per rispondere ad alcune sciocchezze ricorrenti sull’estrazione dell’elio-3 sulla Luna, o su quella di inviare tutti i residui radioattivi al Sole.
Ho avuto fortuna che Luis Cosin si sia offerto di fare il lavoro al posto mio (liberandomi dello sforzo di documentare l’argomento) e sono certo che Luis ha scritto un’analisi eccellente. Vi lascio a Luis. Saluti, AMT
MINIERE TERRESTRI… O EXTRATERRESTRI?
Abbondanza relativa dei differenti elementi chimici nel pianeta Tierra
La formazione del pianeta che abitiamo ha avuto varie fasi che spiegano l’abbondanza relativa dei differenti elementi chimici in ognuna delle sue strutture.
Circa sei milioni di anni fa, la Terra
era una massa fusa di materiale interstellare. Per questo, grazie alla gravità, i materiali più densi (fondamentalmente ferro per il 70%, insieme a minori quantità di nichel, iridio e altri elementi pesanti) sprofondassero verso il
centro.
Invece i più leggeri risalirono verso la corteccia, la cui composizione approssimata è la seguente:
Ossigeno (sotto forma di ossidi e sali anionici), silicio, alluminio, ferro, calcio/stronzio, magnesio, sodio e potassio formano il 99,2% della crosta terrestre.
Notare la relativa scarsità di un elemento fondamentale come il carbonio, meno dello 0,8%, e in ogni caso la vita sul pianeta è possibile solo grazie ad esso.
Gli elementi chimici più leggeri, fino al Ferro (numero atomico 26), si formano di solito nelle stelle, mediante la fusione successiva di nuclei di idrogeno ed elio a forte pressione e a una temperatura di vari milioni di gradi (un processo che si cerca di replicare su scala minore nel nostro pianeta nei reattori di fusione), e questo spiega la sua relativa abbondanza nell’universo e nel nostro pianeta in particolare. In ogni caso, sono straordinariamente scarsi: si stima che il 98% dell’universo sia idrogeno, e il 99,99% idrogeno +elio.
Gli altri elementi chimici più densi, come il piombo o l’uranio, non si formano facilmente, perché richiedono temperature e pressioni che non si verificano neppure nel nucleo di delle stelle più grandi.
Si ritiene che la sua formazione abbia luogo in casi davvero speciali che avvengono sporadicamente e che liberano quantità favolose di energia: le esplosioni di stelle supergiganti (le supernove) quando giungono al termine del ciclo vitale.
Il fatto che nel nostro pianeta si
trovino, anche se raramente, elementi come il piombo, l’oro o l’uranio, suggerisce che la nuvola di materia a partire dalla quale si è formato il sistema solare dovette “rastrellare” una o più regioni della galassia cosparse di rottami di supernove, o forse un’esplosione di una supernova vicina e la sua corrispondente onda d’urto furono le scatenanti della formazione del Sistema Solare.
Gli elementi più pesanti sono molto rari nella Terra, o sono propensi alla combinazione chimica con elementi più leggeri, e pertanto rimangono in superficie. In un certo senso, siamo fortunati di vivere in un pianeta in cui sono presenti tracce di questi elementi e che si siano mantenuti sulla superficie, alla nostra portata,
La Terra è il pianeta più denso del Sistema Solare. Ricordiamolo più avanti.
Il settore estrattivo terrestre
Che tipo di materiali speriamo di trovare nelle estrazioni sulla Terra?
Dalla discussione anteriore, possiamo concludere che ci sono elementi leggeri, fino al ferro, e tracce di elementi pesanti che si trovano in combinazione con altri elementi leggeri (ossidi, solfati, idrossidi, carbonati, nitrati, eccetera).
L’attività tettonica del nostro pianeta, con un magma fuso che emerge sporadicamente sotto forma di
vulcani e di cordigliere dorsali, porta alla superficie nuove infornate di materiali pesanti che possono essere sfruttati.
Tuttavia, il ritmo di estrazione dei giacimenti conosciuti è talmente alto che in pochi anni ne avremo esaurita una buona parte e saremo costretti a trovare nuovi giacimenti.
Un esempio paradigmatico sono le miniere di uranio:
Quindi, visto che le possibilità
offerte dal nostro ambiente sono limitate, forse in breve tempo potremo
iniziare a sperimentare un “collo di bottiglia” provocato
dall’’incapacità di aumentare l’estrazione di alcuni elementi critici:
molibdeno e tungsteno per le leghe, il lantanio e le terre rare per
i componenti elettronici miniaturizzati, l’uranio per le installazioni
nucleari, tantalio (chi non ha sentito parlare della guerra del “coltan”),
eccetera, sono candidati a diventare protagonisti di futuri conflitti
nel futuro.
L’estrazione extraterrestre
Visti i limiti prima accennati, ci
potrebbe venire un’idea ovvia: perché non andare a cercare all’esterno?
Dopo tutto, nel nostro Sistema Solare
ci sono solo altri sette pianeti e una moltitudine di satelliti, planetoidi
e asteroidi, nei quali forse potremmo trovare materiali che cominciano
a scarseggiare nel nostro.
Le opere di fantascienza mostrano un
futuro ottimistico di società progredite, impegnate in grandi progetti
di commercio interplanetario (o, esagerando ancor di più, intergalattico!),
che ricercano oltre la cerchia dei pianeti e delle stelle di origine
i materiali e l’energia necessarie per mantenere in vita le proprie
civiltà ultra-sviluppate.
Ma questo tipo di avventure non somiglia
per niente a ciò a che abbiamo visto o sperimentato sinora. È
un’altra scala di spazi e di tempi.
Tenendo in conto che un’Unità Astronomica
(UA), definita come la distanza media tra la Terra e il Sole, equivale
a 149.597.870 km, stiamo parlando di una distanza pari a varie migliaia
di milioni di chilometri, che anche la luce impiega ore a percorrere:
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Per poter fare un paragone, l’equatore
terrestre è lungo “solo” 40.000 chilometri, 5.000 volte meno.
Le sonde
Voyager, gli oggetti più
veloci mai costruiti, alimentate dal combustibile nucleare che viaggiano
all’incredibile velocità di 17 km/s, hanno impiegato 28 anni per raggiungere
i limiti del Sistema Solare.
Trovare quello che cerchiamo in un
scenario tanto vasto non è facile.
Cosa possiamo trovare?
Prima di metterci a cercare, dovremmo
avere un’aspettativa realistica su quello che speriamo di trovare. È
evidente che l’estrazione extraterrestre non ha troppo senso per i
minerali di magnesio, ferro o alluminio, di cui abbiamo abbondanza (a
meno che l’obiettivo non sia quello di formare una colonia extraterrestre,
ma questo è certamente fantascienza!).
Con un po’ di fortuna, speriamo di
trovare giacimenti con sufficiente abbondanza di qualche elemento raro.
Dove andiamo a cercare?
Nei grandi, no
Possiamo scartare i grandi pianeti
gassosi (Giove, Saturno,
Urano e Nettuno) perché sono formati dal 99,99% di idrogeno ed elio,
con un piccolo nucleo roccioso nascosto al suo interno, inaccessibile
sotto una grossa e tempestosa atmosfera spessa varie migliaia di chilometri.
Forse le sue lune, piccole e rocciose,
hanno quello che cerchiamo. Ma continuano a essere molto lontane.
Ci rimangono solo i pianeti
più vicini
Mercurio, Venere e Marte sono candidati,
come la nostra Luna. Mercurio è troppo vicino al Sole ed è
troppo estremo (350° C di giorno e -170°C la sera). Non ha atmosfera
e il vento solare (particelle cariche elettricamente a velocità vicine
a quella della luce) distrugge rapidamente le strumentazioni. La sonda
Messenger è riuscita ad arrivare fino al pianeta e ha sopravvissuto
solo poche settimane.
Venere, nonostante il nome accogliente, è un inferno
di oltre 400°C, con un’atmosfera altamente corrosiva composta da acido
solforico, novanta volte più densa della nostra e sottoposta a venti
molto forti. Le rocce sulla superficie si trovano semifuse per via dell’effetto
serra estremo. Non sembra un obiettivo fattibile a breve o medio termine.
La Luna è a una distanza accessibile (384.400 km)
e ci siamo stati varie volte (forse, dicono alcuni!)
La sua composizione è, con ogni probabilità,
molto simile a quella della crosta terrestre. Oggi l’ipotesi più
diffusa è che il sistema Terra-Luna si sia formato a causa di
un forte impatto: un corpo celeste del volume di Marte urtò con la
giovane Terra, lanciando in orbita un grande quantità di materiale
che subì un processo di aggregazione per formare poi la Luna.
Marte, invece, è un mondo lontano (800 milioni
di km nel punto più vicino al nostro pianeta, quasi tremila volte più
della la Luna) e la sua composizione, anche se stimata in modo ragionevole,
continua a essere un mistero.
Molto meno denso della Terra (quasi
la metà), ci si può aspettare che abbondino soprattutto gli elementi
leggeri, in una proporzione perfino superiore a quella della Terra.
Ma questi sono gli elementi di cui non abbiamo bisogno.
L’estrazione
Anche se le tecniche di estrazione
e di lavorazione potrebbero essere per molti aspetti analoghe a quelle
del settore minerario terrestre a cielo aperto, bisogna tener di conto
una serie di limitazioni:
– né sulla Luna né su Marte
disponiamo di combustibili fossili, e molto meno aria con
sufficiente ossigeno per bruciarli. Saremo dipendenti dall’energia
solare, eolica o nucleare. Ciò comporta trasportare, montare e mantenere
enorme installazioni termosolari, fotovoltaiche, eoliche o nucleari.
La disponibilità di rame (numero atomico 28, successivo al ferro nella
tavola periodica e pertanto scarso) ed altri elementi pesanti costituirebbero
un fattore davvero limitante.
– non disponiamo neppure di sufficiente
acqua liquida per il lavaggio dei materiali e il trattamento chimico.
Considerando che i costi di trasporto sarebbero molto più alti (vedi
il punto seguente), sarebbe vitale ottenere materiali dalla massima
purezza possibile per migliorare l’efficienza del trasporto.
– Un’altra sfida è il lavoro
di costruzione ed il mantenimento delle installazioni, che dovrebbe
essere realizzato da robot con un minima presenza umana e la
supervisione a distanza. Stiamo parlando di robot auto-riparabili e
con capacità di decisione (intelligenti?). Attualmente non disponiamo
di una tecnologia simile. Non ci sono impianti che funzionano per anni
senza la presenza umana, in un ambiente tanto ostile come la superficie
lunare o marziana. Abbiamo bisogno della tecnologia di Star-Trek?
Il trasporto
La velocità
di fuga è una misura dell’energia
necessaria per poter estrarre un oggetto al di fuori del campo gravitazionale
di un pianeta, una condizione necessaria per raggiungere altri pianeti
o satelliti.
La velocità di fuga della Terra
è di 11,2 km/s. Quella della Luna 2,4 km/s e quella di Marte 5,1
km/s. Tradotto in energia per chilogrammo di massa (usando l’equazione
che ci dà l’energia cinetica E = m*v^2 / 2), arriviamo ai dati seguenti
(considerando un potere calorifico di 46,0 MJ/kg di benzina e una densità
di 680 g/l).
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Assumendo (ed è una grande assunzione)
che tutta venga sfruttata tutta l’energia, bisognerebbe sommare 0,1
litri di combustibile ad ogni chilogrammo di materiale trasportato dalla
Luna.
Considerando che il costo dell’energia
sia pari al 15% dei costi di produzione nell’industria mineraria (un
dato molto variabile, poiché non è la stessa cosa estrarre minerale
di ferro o di Uranio), si può ipotizzare un sovraccosto globale che
va dall’1% (per le vene di elementi rari, come il minerale di uranio,
con un costo di 130 dollari/kg) fino al 1000% (per le vene di elementi
meno rari, come il ferro).
Tralasciando gli altri fattori, il
trasporto sarebbe poco condizionante per le risorse scarse, e molto
per le più abbondanti. L’estrazione extraterrestre ha solo senso
per i materiali
scarsi.
Una menzione a parte va riservata ai
rischi associati al trasporto di sostanze pericolose o radioattive durante
migliaia di chilometri, e l’ingresso in atmosfera alla velocità di
alcuni km/s. Un piccolo errore e il risultato potrebbe essere una pioggia
inquinante che abbraccia migliaia di chilometri quadrati.
Luis Cosin
Fonte: Una mina en la luna
21.02.2012
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE