Un tenero esserino del futuro

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DI ALCESTE

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San Martino al Cimino, 22 marzo 2018

Certo, il mondo quotidiano è avvilente.
La consapevolezza che anche gli uomini più avvertiti non possiedono la minima contezza della vera posta in gioco induce alla depressione.
In assenza di uomini d’azione (e sia!) avanza il dotto alternativo in grado di resecare crini di cavallo in sezioni di minuscolo e fantastico spessore.
Con tale nuova figura di rivoluzionario e combattente il dialogo è impossibile.
O meglio: una qualsiasi base di dialogo pare inesistente o fragile sino alla catastrofe.
Il dotto alternativo o sapiente rivoluzionario conosce ogni branca del sapere tecnico e tecnologico, in modo così profondo rispetto al volgo comune, da riuscire a sbagliare ogni previsione sulla sostanza delle cose o da azzeccarla a babbo morto erigendosi a profeta postumo

Le labbra inferiori inclinate al disprezzo o il maltrattamento del prossimo fanno parte della recita di tali nuove figure intabarrate nella tipica protervia del genio incompreso – un genio la cui genialità è in diretta proporzione con la dimenticanza che i lettori online vantano nei confronti dei più risalenti scritti del genio suddetto.
Jonathan Swift adombrava tali Isaia al silicio nella terza sezione della sua opera immortale:

Le loro case sono costruite malissimo, le pareti vanno di sghembo e non c’è un angolo retto in nessuna stanza; e questo difetto sorge dal disprezzo ch’essi hanno per la geometria applicata ch’essi disdegnano come cosa volgare e meccanica, dato che l’istruzione che impartiscono è troppo raffinata per l’intelletto dei loro operai, il che dà origine a continui errori. E benché siano assai destri nel maneggiare su un pezzo di carta la riga, la matita e il compasso, nelle attività comuni e nella condotta della vita non ho tuttavia mai visto gente più inetta, goffa e maldestra né così lenta e incerta nei concetti di tutti gli altri argomenti che non siamo quelli della matematica e della musica”.

Queste notazioni sono inerenti, tuttavia, ai dotti rivoluzionari più intelligenti; ci sono poi i cretini di talento (passano la vita a estrarre energia solare dai cetrioli), gli stupidi (amano i sillogismi: “Un rastrello ha trentadue denti; io ho trentadue denti; sono un rastrello”; ci sono anche gli stupidissimi: “Il mio rastrello ha trentadue denti; io ho trentadue denti; io sono il mio rastrello”), i semplici pazzi (li si riconosce subito: anche online sembrano avere uno scolapasta in testa: colpa della loro interpunzione terroristica) e i patetici (sproloquiano di scie chimiche e sbagliano le “h”; il che, en passant, revoca in dubbio l’esistenza delle scie chimiche).
Queste annotazioni vengono in mente quando si è lontani da Dio e dagli uomini, cioè in campagna, d’inverno, per dieci ore, senza l’onore d’un contatto umano in tutta la giornata. Si fatica, si bestemmia, si tagliano frasche, si raccolgono con il rastrello (che non ha, purtroppo, trentadue denti): tutto perché, sul letto di morte, si è data la parola al proprio avo di conservare vive le terre di famiglia.
Dopo qualche ora di tale disciplina, di solito verso le undici o mezzogiorno, infreddolito, bagnato e atterrito dalla desolazione, col rumore della sega e delle forbici e il frastuono incontrollabile dei propri pensieri che ingombrano la coscienza, si entra in una sorta di crisi esistenziale. La futilità della vita risalta agli occhi interiori con una vividezza impreveduta. Si raggruma, in quei momenti, una cholera nigra che rabbuia ogni volontà. Occorre uno sforzo notevole per resistere e superare tale vetta nichilista; una volta scavallato il passo montano della malinconia, però, la giornata si predispone al meglio. Un’oretta la si passa a fatica, quindi si mangia, si aspetta un pochino, si riprende quasi con allegria. Le restanti ore scorrono veloci, i pensieri vengono spazzati da un vento chiarificatore: si vede meglio. Sono reazioni eminentemente fisiche, ovviamente. Fatica, superamento della fatica, disciplina, gioia della reiterazione valgono quali metafore di scariche biochimiche. Non ne faccio certo una questione mistica. Il risultato di tutto questo è un’insolita chiarezza di pensiero (che non coincide con la verità: sono ignorante, infatti).
La sera, perciò, a leggere della questione facebook-Cambridge Analytica-Bannon-Trump si fanno amare risate.
La fatica e la solitudine inducono a tali inverecondi sghignazzi.
Tutto appare semplice, cristallino, lontanissimo. Alcuni affondano il bisturi dell’analisi, avvoltolandosi nella finissima tela delle supposizioni, ma a te vien voglia di ridere: è talmente chiaro!
A certe distanze non si giudicano i fatti bensì gli uomini.
Non m’interessa ciò che dice Wylie, m’interessa Wylie.
I marker tumorali, peraltro, son sotto gli occhi di tutti: gay, vegano, canadese.
La mia non è una constatazione morale, benché ami le costruzioni morali, tali belle menzogne.
Son solo considerazioni di fatto: Wylie è un prodotto della pace e del declino che la pace induce negli esseri umani rendendoli fatui, sciocchi, senza nerbo, ottusi e indifferenti.
L’esser gay è già una parodia dell’omosessualità: di questi tempi, poi, diportarsi da maschi gay ha una coloritura ridicola e arrogante assieme; ridicola poiché scissa dalla tradizione omoerotica, arrogante in quanto enfia del turbine del mondo al contrario (UDW). A ben vedere questo Wylie non è nemmeno omosessuale, non gli piacciono gli uomini, anzi; e neanche le donne; è solo un blando pervertito come ce ne saranno tanti, innocuo, senza lealtà, edonista e privo di bussola, un ammasso di cellule insensato, né felice né disperato, tecnologicamente sapiente e, perciò, sempre meno intelligente. Un pescivendolo di Bisanzio era enormemente più acuto, vivo e scaltro di tale residuato dell’epoca immateriale. Le bizzarrie tricologiche valgono quali sintomi dello sfacelo. Il volto, peraltro, testimonia della vacuità interiore. In ciò assomiglia a Puigdemont (qualcuno ne ha notizie?) o Tsipras, anche loro arroventatori di tastiere su questioni secondarie.
Vegano! Così come l’esser gay è la clownerie di tipizzazioni e ruoli antichi, così il veganesimo è la pagliaccesca esagerazione del vegetarianesimo e del rispetto dei viventi sublimato nel sacrificio e nell’istituzione del capro espiatorio. Un’etica, quella vegana, tipica dei periodi in cui l’umanità vive nelle paludi dell’immobilismo e della disfatta (Giuseppe Parini la deride ne Il giorno ascrivendola ad aristocratici scansafatiche). Wylie, insomma, è un cosetto alla moda, non certo un ammiratore cauto e profondo dell’Esu carnium. Wylie e Carlo Cracco si danno la mano sul palcoscenico dell’avanspettacolo buonista. Astenersi dalle carni o celebrare il fasto idiota del cibo sono facce diverse di un’unica moneta falsa, smerciata da chi anela un’umanità neutra e stazionaria (non che Cracco e Wylie se ne rendano conto). Su questo già mi diffusi (Il sangue delle bestie): tutto ciò che dico ritorna poiché, in realtà, ciancio sempre della stessa cosa, speziandola in maniera diverse: poiché è della stessa, identica, questione che si deve discorrere.
E poi Wylie è canadese. Inevitabile appartenere a una regione del globo affascinante quanto un mobile Ikea. L’assenza di storia è sempre decisiva. Se Wylie fosse stato Irochese o Urone … invece è un goffo e timido esserino del futuro, manipolabile, plasmabile, senza opinioni proprie … argilla a cui assegnare un finto sapere, un monolocale in uno straziante e asettico comprensorio urbano e quelle limitate e dolci dosi di edonismo e pervertimento buone a farlo restar sottomesso finché non stirerà le zampe. Un omiciattolo senza storia, senza contatti con la terra, il passato, la bellezza; vaccinato contro il gusto; latore di una bontà che è rassegnazione al potere; un golem inanimato, un animale che parla una lingua non propria.
Bastavano quelle tre notazioni (gay, vegano, canadese) a dissuadere qualsiasi persona di buon senso dal toccare tale lurida materia da rotocalco. E invece … e qui si torna all’incipit di tale post. In tondo.
Le implicazioni geopolitiche di tale storiella da Sandro Mayer importano poco. Sono scontri interni al potere o cambi di rotta propagandistici (dal Russiagate al facebookgate), da non prendere in minima considerazione se non quali sintomi di una guerra più vasta contro l’umanità.
La pace come guerra all’homo vetus, il mondo pervertito nelle sue antiche diritture, la profilazione degli homunculi come esercito del futuro, da mantenere quale armento stazionario, la guerra quale metodo per dissolvere le ultime regioni dell’ordine in via di sconfitta (Christopher, il portatore di un nuovo Cristo: una noticina esoterica e apocalittica che suggerisco al vecchio Blondet). In fondo Wylie, Zuckerberg, google, Hollywood, le ONG appartengono a una asettica e modaiola Legenda aurea.

La pace, la pace eterna … milioni di Christopher e Cristofora che cadono dal cielo al contrario, un cielo senza nubi, come in un incubo postborghese … altro che Golconda, persino Magritte se ne ritrarrebbe inorridito spezzando il pennello.

 

Fonte: http://alcesteilblog.blogspot.it

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22.03.2018

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