Tutti vogliono i barbari. Ma i barbari non arriveranno mai

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Di Alceste

Roma, 31 marzo 2024

Tucker Carlson: “Il Nuovo Ordine Mondiale è morto. Il mondo si sta resettando completamente. L’ordine del dopoguerra sta crollando e la NATO, ovviamente, crollerà”.

Tucker Carlson, che ha pure un bel nome, è il nuovo beniamino degli Speranzosi. Agli Speranzosi piace tifare, mica cercare la verità. La verità dei fatti, intendo, che, quasi sempre, equivale a infilare le mani alla cieca in un covo di vipere. Tifare appaga, tifare rilassa, tifare fa comunella, tifare dà sicurezza – ovvero il narcotico rilascio dello sfintere che segue alla consapevolezza d’essere in tanti. Essere in pochi, invece, essere soli, di fatto, soli per tutta la vita, regala brividi di gelo lungo la spina dorsale. Chi vorrebbe vivere una vita così? Giunti a un certo punto ci si sente come dei sassi: sole, vento e pioggia più non importano.

Quindi Tucker afferma: “Abbiamo vinto!”. Fosse stato così semplice, avremmo messo tutti la firma. Una nazione, la Russia, depapuperata sin all’osso, e umiliata dai clientes del Nuovo Ordine sin agli anni Duemila, in vent’anni è riuscita a risorgere e a guidare una reazione vincente appropriandosi di qualche migliaio di chilometri quadrati di un ex nazione, l’Ucraina, depauperata sin all’osso, e umiliata dai clientes del Nuovo Ordine: da 0-4 al trionfo, avendo tutti contro, dagli arbitri al pubblico ai guardalinee, così come non era nemmeno riuscito a Michael Caine e Pelé in Fuga per la vittoria. Domandiamoci, però, se vittorie e sconfitte passano gli uomini o meno. Hic stat busillis. Le tendenze fondamentali del nostro tempo, la tecnica, la digitalizzazione, la sparizione del reale, la globalizzazione della miseria spirituale, ci parlano dell’esatto contrario. Dovremmo chiederci cosa accadrà di questa presunta vittoria fra dieci o quindici anni, quando Putin (e tutti gli altri figuranti della Storia) saranno stabilmente all’ospizio o al cimitero. Chiediamoci, altresì, se questa vittoria è foriera di un’inversione della catastrofe in atto. Lo è? Non sembra. La secolarizzazione avanza; il saeculum impregna totalmente le esistenze dei miliardi, da Dubai a Shanghai a New York. Qualcuno declina, altri paiono ascendere. E allora? Proprio questo il segreto della globalizzazione. La scomparsa di quello che può chiamarsi Europa, e quindi Occidente, non è nient’altro che un atto rituale propedeutico all’abbraccio finale. Certo, nelle more di questa sconfitta universale, si possono equivocare degli eventi contingenti quali vittorie …

Sarei felice, prima di crepare, di vedere i cavalli cosacchi abbeverarsi in San Pietro, e di vivere una vera Pasqua … o un vero Natale …  uno solo … mentre i cardinali del Conclave pendono da qualche forca. Lo vedo difficile, però. Tra le nebulosità della palla di cristallo, chissà perché, mi appare sempre un cartello, anzi più cartelli, di un giallo canarino, appesi a decine sulle colonne del Bernini. Recitano: “FOR SALE”.

Sperare è facile. Lo si fa dal divano. Contrastare alla dissoluzione, invece, risulta assai duro; sgradevole, depressivo; sì, durissimo. Contrastare vivendo la propria vita al contrario, erigendo un’esistenza che dice “no”, questo è ancora più aspro e pericoloso. Qui siamo alla porta stretta, al canapo nella cruna dell’ago. Gli exempla dei santi questo vogliono dirci. E ogni epoca esige il proprio santo ovvero un certo tipo di martirio, di testimonianza. Non basta, nel 2024, sistemarsi, come gli stiliti, sulla cime di una colonna rinunciando del tutto al saeculum. Il nostro tempo corrompe anche i migliori e il tanfo dello zolfo si insinua persino negli eremi più inaccessibili. Serve un “no” onnicomprensivo, ma chi ha il coraggio e la forza di pronunciarlo?

Tucker Carlson cacciato da Fox News! E ora intervista Putin!
Il lettore social-medio di queste sciocchezze (lo 0,1% del corpo elettorale italiano), che non presta più fede all’innocenza di nessun episodio della politica e della storia, annusando il complotto persino nel colore della carta igienica usata presso il Senato degli Stati Uniti, crede, però, che un americano con la permanente gli racconti la verità. Quella semplice frase confonde volutamente ciò che veramente sta accadendo (l’ennesimo reset spirituale e geopolitico) con qualcosa di desiderabile (ci liberiamo della NATO, degli USA, del capitalismo!); e, invece, proprio quel reset (uno dei tanti negli ultimi cinque secoli) è propedeutico al nuovo e definitivo ordine: ciò che mi piace chiamare Monarchia Universalis.

Carlson non è che la vaselineggiante speranza regalata all’omarino occidentale di scapolare l’apocalisse. Perché apocalisse sarà, sebbene nelle specie dell’asofalipse: comoda, sdraiata e rotta, a volte, da videomessaggi epilettici, minacce allo zucchero filato e sanguinose faide telematiche.

Sperare, sperare!
La ben oliata speranza accompagnerà alla porta d’uscita i due grandiosi rami della quercia sacra europea, classica e cristiana, per sostituirli con un geranio di plastica.

Yeats prefigurò un nuovo avvento in Leda e il cigno, ma, anche lui, forse abbacinato da una misticanza inutilmente complessa, non intravide davvero la catastrofe.
Risulta curioso, per mia personale esperienza, come alcuni genî della letteratura e del pensiero, arrivati ai bordi dell’abisso, ne siano rifuggiti farfugliando soluzioni ed escapismi che, loro per primi, sapevano essere irrealizzabili. Solo pochi, minori nella considerazione, ebbero il coraggio di reggere il punto, e di crepare guardando il mostro in faccia. Nietzsche si mise a cicalare di giustificazione estetica dell’esistenza, il grande Giacomo di “social catena”; solo alcuni emarginati, eccentrici rispetto alla grande arte, rimasero fedeli alla disperazione sin all’estremo palpito: non solo tramite i loro scritti, a quel punto inessenziali, ma testimoniando con la loro stessa vita.
Forse, privi di una vera forza artistica e filosofica, non trovarono adeguate soluzioni a tale rivelazione. E si lasciarono morire, in un modo o nell’altro. Alcuni grandiosi suicidi, più o meno mascherati da cosiddette “scelte di vita”, son lì a dimostrarlo.

Ma c’è la guerra! Ecco la guerra! I missili tattici! Ipersonici! Gli sbudellamenti! Il sangue! L’occhio della madre!
Certo, ecco la guerra, in tutto il suo orrore, ma dov’è? Laddove il Potere vuole distruggere. Nei luoghi ove è già tutto distrutto, infatti, vige la pace. A che pro atomizzare Los Angeles o Dubai? Nelle terre in cui resistono ancora individui capaci della guerra, e residuano istinti buoni per la guerra, lì, invece, si ha a cuore la distruzione. Per uccidere quanto più possibile, per devastare, con la complicità degli stessi governanti di quelle terre, pedine dell’Usura e del Mercimonio dello Spirito. Le ferite e lo spettro della guerra, in Siria, in Iraq, in Afghanistan, in Serbia, in Iran, in Ucraina, ma non a Milano o a Parigi o a Madrid, oramai città irreali, svuotate della loro storia, pinacoteche di un’umanità a nessuna dimensione. In Europa si hanno al massimo attentati, attentati islamici naturalmente, simulacri di guerra per vaselineggiare il coglione europeo e renderlo consenziente alla propria fine. Magari ci fosse la guerra, la guerra dovremmo invocarla al suono delle campane, la guerra benedetta! Ma, pensiamo, ci regaleranno mai la guerra? La guerra fisica, spirituale, quella che genera pensiero, e fazioni, e odio? Perché la guerra è pericolosa, risveglia, rende chiaro il ragionamento, raffina i sentimenti, anzi: li affina; depura le parole sin all’osso, e consente la vista a distanze inimmaginabili riavvicinando il cielo alla terra.

L’euro, il dollaro, la rupia, lo yuan, i BRICS, le aree valutarie, gli squilibri macroeconomici … come si fa a perdere tempo con queste sciocchezze quando le linee di tendenza convergono tutte in un punto? Le configurazioni antiche cedono, si disgregano in una miscela asettica da cui è impossibile tornare indietro. Questo conta. Chi si oppone viene eliminato. Un processo inarrestabile, grandioso, senza confini. Dietro di noi, spianate di mozziconi bruciati. Alcuni piangono, altri no. Presto se ne perderà persino il ricordo.

La guerra! Dove sta la guerra, qui da noi? Razzolate nel fango, avete perso i vostri compagni, le madri o i fratelli, il tetto vi è caduto in testa? Magari ci fosse, sospiro, passando ovviamente per guerrafondaio. Noi solo assistiamo alla guerra, come in un videogioco, guardando morire gli ultimi uomini degni di stare a questo mondo. Noi, privati della guerra, abbiamo persino paura a camminarci sopra, al mondo: il Signore di Questo Mondo ha già deciso la nostra eliminazione; e noi diciamo sì, pur proferendo un apparente no. Il passato ci è indifferente, l’autenticità della vita, anche. Ci siamo liberati del fardello di ciò che siamo stati: esso giace presso di noi, sconsacrato come una laida pelle di serpente. Siamo liberi, finalmente! Le trombette ce lo ripetono ogni santo giorno. E di far che? Le passiones, i patimenti, sofferenza e sacrificio del Golgota quotidiano,  sono del tutte espunte dal vivere; anche i migliori, gli ultimi araldi del sentimento, avvertono una debolezza, l’incipiente resa: ciò che li ap-passionava stinge, infatti, in fastidio e delusione perché anche le rutilanti accensioni della passione hanno bisogno di essere condivise dal prossimo, o anche solo di un pubblico ostile che, addirittura, le detesti: indizio, pur sempre, di un’empatia. L’indifferenza, infatti, uccide i migliori, livella le eminenze, ingloba nel proprio nichilismo da tran tran postmoderno. A che pro lo scandalo? Pur chi ha vissuto la vita al contrario, come il sottoscritto, tende, infine, a una sorta di resa, al mutismo. Nudi, inermi, non resta che gonfiare la piccineria col disprezzo e la più squallida cattiveria, surrogato a un’anima che non è più.

La guerra! Tu vuoi la guerra! Ma, rispondo, ciò che è apparentemente desiderabile non coincide con quello che è necessario alla vita. Il conflitto ri-genera la vita che, altrimenti, deperisce lentamente, sino all’estinzione. Potete individuare in ciò una delle massime tragedie umane, perché no: ed estendervi qualche trattatello. I carnai, combattuti in nome di un’idea e d’una cultura, hanno sempre rinnovato la spinta a vivere; ora, invece, fioriscono in nome del Nulla, per arrivare alla piena distopia del Nulla. La guerra di frizione fra Russia e Ucraina, serve, appunto, a decimare, a usurare. Ci aspetta la pace, al fondo di questo, la pace irreversibile del governo zootecnico. Se, per avventura, cadesse una bomba termobarica in Italia, questa lo farebbe o su San Pietro o sugli Uffizi, vestigia oscure e malvagie di qualcosa che più non deve esistere, o solo essere concepito. Ci limitiamo, quindi, ad aspettare i barbari, gente che rivitalizzi le nostre spente passioni. Chi ci darà, però, questi barbari? Non ne vedo, li vedete voi? Io vedo solo i simulacri dei barbari, le sagome di cartone del pericolo islamico, del pericolo russo, del pericolo iraniano. Tutte finte, inganni, evocazioni buone per il cretino 2.0, illusioni da teatrino d’ombre. Dove sono i barbari, la guerra, dove sono i salvatori che rinvigoriranno la nostra morente civiltà, si chiede Konstantinos Kavafis:

Perché d’un tratto questo smarrimento
ansioso? (I volti come si son fatti seri)
perché rapidamente le strade e piazze
si svuotano, e ritornano tutti a casa perplessi?

S’è fatta notte, e i barbari non sono più venuti.
Taluni sono giunti dai confini,
han detto che di barbari non ce ne sono più.

E adesso, senza barbari, cosa sarà di noi?
Era una soluzione, quella gente.

Cosa sarà di noi senza i cavalli cosacchi a San Pietro? Gli Italiani vogliono essere liberati, e vollero essere liberati negli ultimi cinquant’anni, da qualunque barbaro, americani negri ebrei la mistica India la Cina è vicina … tutto, pur di non ammettere che tale anelito di libertà promanava dall’essere oramai marci, e pronti per la fossa.

Ma, questa la domanda, se anche vi fosse una guerra, questa servirebbe?
E allora? Preghiamo per la guerra?
Pregate di essere qualcosa, innanzitutto, a rifiutare di non essere più niente.
Pregate per una Pasqua, perché il Principe di Questo Mondo e degli inganni è fra noi, silente, e reca il simbolo della vittoria. Pregate che non abbia potere su di voi, per rigettarlo nell’imperio suo del caos.
Pregate per i vostri morti, e quelli a noi tutti comuni, perché ricordano ancora come si vive.
Pregate per Flavia Amoena.

Nel colombario imperiale di via Villa Pamphilj, a Roma, si poteva contemplare, sino a pochi decenni (ora, chissà), il titoletto posto in esergo al vaso che conteneva le ceneri di una giovane liberta, Flavia Amoena.
Esso, giocando sull’equivoco fra Amoena e amoena, recitava:

UT ROSA AMOENA HOMINI EST

QUOM PRIMO TEMPORE FLORET

QUIE ME VIDERUNT SEIC EGO AMOENA

FUI

Come incantevole si mostra all’uomo la rosa, fiorente nella sua prima stagione, così io, Amoena, apparivo a coloro che mi guardavano.
L’incisione ordinata delle lettere capitali doveva esaltarsi ancor più per via del colore rosso cupo che le evidenziava.
Perché eternare il ricordo di una morta? Con tale spreco di forze, di materiali, di premure? Non era, anche lei, un’accozzaglia di atomi? Buona per il concime?
Perché profondere tanto impegno?
La risposta contiene uno dei segreti della Vittoria, questa sì materiata di Verità e impossibile a essere strappata.
Il ricordo.
E cos’è il ricordo, cos’è, se non ciò che strappa all’anomia e ci sostiene, resistendo alle tenebre dell’eterna notte?
Affermando che la vita di ognuno è un miracolo eguale a nessun altro?
E ora, ditemi, quale popolo ha mai operato tali miracoli?

Però tutti vogliono i barbari. Ma i barbari non arriveranno mai.

 

Di Alceste

 

Titolo originale : Buona Pasqua 2.0

 

Fonte: https://alcesteilblog.blogspot.com/2024/03/buona-pasqua-20.html

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