DI EDUARDO GUDYNAS
Sur Y Sur
Lo sviluppo contemporaneo è stato
uno dei grandi miti del XX secolo. Ha rappresentato il sogno di una
vita migliore per milioni di persone, una legittimazione teorica e pratica
per disseminare in tutto il pianeta il credo nella crescita economica.
Questa posizione è davvero radicata nel profondo, assumendo che le
economie nazionali, e quindi l’economia planetaria, possa crescere per
sempre in un processo di espansione perpetua.
Questi legami intimi tra le idee di
progresso, sviluppo e crescita si sono generati nei primi decenni del
XX secolo e si sono cristallizzati verso la metà degli anni ’40.
Ciò nonostante, dalla metà
degli anni ’60, cominciarono a comparire le prime critiche e le controindicazioni
di questi postulati. Da una parte, si segnalarono i cosiddetti limiti
sociali, come le tensioni negli agglomerati urbani, la segregazione
imposta dagli ingressi monetari o la marginalizzazione spaziale per
cui i poveri si appartano in alcuni quartieri, mentre i ricchi si proteggono
in altri.
Subito si sommarono altre domande e
critiche su quello che potremmo definire come limiti economici. Si segnalarono
serie asimmetrie economiche, dove ciò che veniva presentato come
sviluppo in un luogo era possibile solo a costo del sottosviluppo di
altri angoli del pianeta.
All’inizio della decade degli anni
‘70, vennero evidenziati i noti limiti ecologici. Le risorse non rinnovabili,
come il petrolio o i minerali, sono finite, e dobbiamo affrontare l’esaurimento
di alcuni di questi. A sua volta, le aree naturali si deteriorano e
si riducono anno dopo anno, lasciando una sequela di specie in via di
estinzione. L’inquinamento supera le soglie della capacità di rigenerazione
degli ecosistemi.
In parallelo a queste e ad altre avvertenze
si sono sommati gli allarmi e le denunce delle organizzazioni sociali,
che esprimono i fallimenti concreti di molti progetti di sviluppo, i
suoi impatti negativi sul piano sociale e ambientale, oltre ai suoi
dubbi benefici economici.
Da allora, le tensioni non hanno smesso
di crescere. Alcuni denunciano gli impatti di progetti etichettati come
“sviluppo“, mentre altri tornano a reclamare più sviluppo
per superare la povertà. Anche se alcuni riconoscono i limiti nelle
idee dello sviluppo, ancora non si è giunto a un consenso sui concetti
che dovrebbero rimpiazzarlo. Questo scenario in cui è sorto con intensità
il dibattito sul “buon vivere” che è attualmente in corso nell’America
del Sud.
Ancora estrattivismo
Buona parte di queste contraddizioni
e tensioni si esprimono oggigiorno attorno al cosiddetto estrattivismo:
l’estrazione di enormi volumi di risorse naturali per l’esportazione,
come si osserva nel settore minerario a cielo aperto o nello sfruttamento
dell’industria petrolifera.
L’estrattivismo non è una novità
in America Latina e i suoi antecedenti risalgono ai tempi delle colonie.
Questo spiega perché abbia così profonde radici culturali.
Prevale ancora l’idea che il continente abbia enormi risorse da essere
sfruttate, senza limiti evidenti alla crescita, date le sue enormi estensioni
e la ricchezza della natura. Gli ostacoli sarebbero, in realtà, strumentali,
come la disponibilità degli investimenti o di personale tecnico qualificato.
Le cautele sui suoi limiti, sociali o ambientali, sono minimizzate,
perché la natura viene concepita come un enorme paniere di risorse
che è ben lontano dall’esaurirsi o dal deteriorarsi.
Sotto l’estrattivismo contemporaneo
queste idee vengono portate all’estremo. Sono economie di enclave
che esportano materie prime verso i mercati globali. Alla periferia
si accalcano gravi impatti sociali e ambientali che vanno dallo spostamento
di comunità a un forte inquinamento. Allo stesso modo, i suoi benefici
economici sono più che incerti e, in vari casi, negativi.
Ma, nonostante questo fatto notorio,
è un settore che vive un nuovo apice. Mentre la crisi economica
finanziaria affligge vari paesi industrializzati, gli alti prezzi delle
materie prime e la domanda sostenuta fanno sì che molte nazioni
sud-americane accentuino l’estrattivismo, generando una manna macroeconomica.
Queste esportazioni aumentano in valore e volume e la razionalità estrattivista
si espande in altri settori, come le monocolture intensive per l’esportazione
per la soia transgenica.
L’America Latina ripete la sua storia
come fornitrice di materie prime, anche se sono cambiati gli sbocchi
e i prodotti. Mentre, nel passato, esportava le risorse naturali verso
le metropoli coloniali, oggi lo fa verso la Cina. Nel secolo scorso
riceveva in cambio prodotti tedeschi, inglesi o statunitensi; attualmente,
i prodotti cinesi o coreani inondano i centri commerciali o i piccoli
negozi di quartiere.
Impatti ambientali e fragilità
sociale
L’intensificazione dell’estrattivismo
è uno dei principali fattori di impatto ambientale, e spiega il
perché il bilancio attuale sia negativo. La recente relazione sullo
stato dell’ambiente in America del Sud del Centro Latinoamericano di
Ecologia Sociale (CLAES) attesta che si perdono aree naturali e risorse
naturali a un ritmo molto più rapido rispetto ai risultati ottenuti
dalle misure di controllo ambientale.
Alcuni esempi calzanti sono il settore
minerario su grande scala a cielo aperto e lo sfruttamento dell’industria
petrolifera nelle selve tropicali. Qui si osservano casi di inquinamento
di suolo e delle acque da parte del settore minerario o spargimenti
di petrolio negli ambienti amazzonici. Le comunità locali si devono
trasferire, si devia l’uso dell’acqua verso il settore minerario, si
perdono zone agricole e zootecniche e si limita la partecipazione della
cittadinanza. Tutto questo provoca con regolarità proteste intense
e conflitti. Fattori di questo tipo lo rendono un “estrattivismo
predatorio“.
Nonostante tutta questa problematica,
l’estrattivismo continua a godere di un ampio consenso nell’opinione
pubblica, ed è appoggiato persino dai governi della nuova sinistra
sud-americana. In buona misura questo si spiega con un cambiamento sostanziale,
in cui i governi progressisti ottengono parte del reddito generato dall’estrattivismo
per finanziare i programmi di assistenza sociale. Oltre al reale volume
di denaro deviati per questi fini, la cosa certa è che con sempre maggiore
insistenza questi governi difendono nei loro discorsi l’estrattivismo
come fattore indispensabile per sostenere i propri conti e le compensazioni
ai gruppi più poveri.
Questo è un nuovo paradosso:
lo sviluppo classico, e specialmente l’estrattivismo, viene difeso come
necessario non solo per la crescita economica in senso generale, ma
specificamente come mezzo indispensabile per finanziare la lotta contro
la povertà. Ma, percorrendo questa strada, cade in una relazione perversa
dove si fanno compensazioni economiche necessarie per i danni delle
estrazioni, e questo a sua volta richiede di imbarcarsi in nuovi progetti
estrattivi per ottenere le risorse economiche necessarie. Non si riconosce
neppure che queste economie di enclave non permettono di invertire la
subordinazione produttiva e commerciale dell’America Latina, ma anzi
l’aggravano. Per questo tipo di contraddizioni, l’estrattivismo predatore
è un vicolo cieco.
I problemi che si sono attorno ai settori
come quello minerario e petrolifero rendono evidente che l’estrattivismo
sta sbattendo contro i limiti democratici, ecologici ed economici. Ciò
spiega la crescente opposizione cittadina nei confronti dei progetti
minerari in quasi tutti i paesi della regione. Forse le più note sono
le recenti proteste nel dipartimento di Puno, nel sud del Perù, ma
un esame più attento mostra situazioni simili anche in Argentina, Bolivia,
Colombia, Ecuador, in varie nazioni centroamericane, fino all’Uruguay,
un paese che non era minerario, ma in cui il governo ha proposto un
megasfruttamento del ferro.
Dopo l’estrattivismo
La necessità di tentare una via
d’uscita dall’estrattivismo diventa indispensabile. Da una parte,
questo sforzo ha un senso di urgenza, mentre varie comunità locali
soffrono gli impatti sociali, ambientali ed economici delle imprese
estrattive. Dall’altra, questo compito è inevitabile. Le risorse,
come le miniere o i campi di petrolio, si esauriranno inevitabilmente.
Ora si ammette che siamo entrati nell’epoca
del picco petrolifero, e a ciò si aggiunge l’evidenza che ciò
avviene anche per alcuni minerali. I limiti ecologici menzionati in
passato non erano una fantasia ma ora ci siamo arrivati e, in alcuni
casi, sono stati superati. Questo fa sì che la discussione di una strategia
ferma successiva all’estrattivismo, invece di essere un qualcosa di
accessorio, è in realtà una necessità immediata. I paesi che per
primi inizieranno a progettare un’uscita post-estrattivista saranno
i meglio preparati per questo futuro prossimo.
Avendo questo in chiaro, si deve riconoscere
che è necessario agire sull’estrattivismo predatore. Una via di
uscita deve riconoscere due componenti: da una parte, la necessità
di realizzare misure emergenziali per risolvere le situazioni più drammatiche
e urgenti, e dall’altro queste azioni devono servire a promuovere
nuovi passi verso trasformazioni più profonde.
Il primo componente implica fermare
il dissesto predatorio dell’estrattivismo attuale, impiantando urgenti
misure sociali, ambientali ed economiche che contrastino questi impatti.
In alcuni casi si dovranno chiudere le aziende che sono ambientalmente
e socialmente distruttivi e in altri casi si dovranno contemplare politiche
reali ed efficaci di controllo ambientale, promozione sociale, tassazione
adeguata e altri scopi produttivi. È una transizione a un estrattivismo
sensato, e poi a un altro che risponda a necessità indispensabili.
Il secondo componente si basa su riconoscere
che l’estrattivismo predatorio attuale risponde alle idee convenzionali
contemporanee sullo sviluppo. Pertanto, per liberarsi di questa cultura
estrattivista bisogna cambiare le idee sullo sviluppo. Detto altrimenti,
le critiche alla dipendenza mineraria o petrolifera è anche un interrogativo
sul liberismo attuale che obbliga a cercare alternative a queste concezioni.
La ricerca di un estrattivismo sensato non è un fine in sé stesso,
dato che è una misura di emergenza, ma deve permettere di approfondire
l’esplorazione di alternative allo sviluppo contemporaneo.
Tra queste idee alternative quelle
che suscitano un certo interesse sono quelle relative al “buon
vivere”. Hanno l’enorme vantaggio di abbandonare i legami col
termine “sviluppo” e mettono a fuoco direttamente il
benessere delle persone e delle comunità. Ma il “buon vivere“,
a sua volta, è possibile solo se simultaneamente si assicura il benessere
della natura.
Questi concetti del “buon vivere”
sono stati rilevati dai sedimenti di alcuni saperi indigeni, specialmente
andini, come ad esempio il suma qamaña (la buona convivenza)
degli aymara boliviani o il sumak kawsay degli kichwas
dell’Ecuador. Ma recuperano anche posizioni critiche sullo sviluppo
generate nel sapere occidentale, come quelle che hanno promosso l’ecologia
profonda o il femminismo.
In questi e in altri casi, il “buon
vivere” diventa plurale, e continua a essere un’idea in costruzione.
Invece di essere un problema, questa pluralità permette un’articolazione
multiculturale che è indispensabile in America Latina. In questo modo,
ognuna delle posizioni conserva la sua specificità originaria in ogni
particolare circostanza culturale, sociale e ambientale, mentre condividono
una serie di punti in comune. Per esempio, il biocentrismo degli ambientalisti
non è identico alla suma qamaña boliviana, ma queste e altre
posizioni condividono la critica allo sviluppo e una serie di pilastri
basilari nella costruzione di un’alternativa.
Tra le coincidenze basilari, si possono
segnalare il recupero di un’altra relazione etica con la natura, l’abbandono
della credenza nel progresso perpetuo e la messa a fuoco nella qualità
di vita delle persone e delle comunità. Questo fa sì che il “buon
vivere” possa essere interpretato come una “piattaforma
politica” a cui giungono distinte posizioni che cercano di
trascendere la cultura dello sviluppo contemporaneo, e che serve di
sostegno per costruire alternative. Questo è un compito indispensabile,
poiché senza di esse non ci sarà un futuro possibile.
Fonte: Desarrollo, postextractivismo y “buen vivir”
21.01.2012
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE