DI WAJAHAT ALI
Counterpunch
Wajahat Ali intervista lo scienziato politico e scrittore americano Dr. Norman Finkelstein, interrogandolo in merito al rifiuto oppostogli dalla dalla DePaul University alla sua docenza sul tema dell’antisemitismo e della sfida allo status quo accademico sul conflitto israelo-palestinese.
WAJAHAT ALI: Nella recente disputa con la DePaul University circa la Sua cattedra, Lei e un gruppo di sostenitori avete ipotizzato che “pressioni esterne” avrebbero forzato l’Università a negarLe l’insegnamento, nonostante la Sua sorprendente popolarità tra i colleghi e gli studenti. Come si spiega questo rifiuto?
NORMAN FINKELSTEIN: Non voglio fare la parte del martire. E’ stata sicuramente un’esperienza sgradevole, ma la mia principale preoccupazione adesso come adesso è di andare avanti e di lasciarmi tutto questo alle spalle. Le persone intelligenti non hanno dubbi sul perché mi sia stata negata la cattedra. I fatti parlano da sé. Per quanto mi riguarda, ero in possesso di tutti i requisiti necessari per ricoprire quel ruolo alla DePaul. La cattedra mi è stata negata a causa della mia aperta opposizione alla politica israeliana nei territori palestinesi occupati.Per quanto riguarda i Suoi studi, Lei ha messo in dubbio e ha sfidato quelli che sono da alcuni considerati i presupposti fondamentali del conflitto israelo-palestinese, cioè le reali intenzioni e motivazioni di alcuni soggetti, quali ad esempio il Governo israeliano, gli Stati Uniti e il mondo arabo. Allo stato attuale, quali ritiene che siano gli ostacoli fondamentali e principali che, se rimossi, potrebbero dar vita ad una sembianza di pace sostenibile in quella regione?
Le basi per porre fine al conflitto non sono un mistero: vengono ricomprese ogni anno nella stessa risoluzione dell’Assemblea Generale [ONU] intitolata “Risoluzione Pacifica della Questione Palestinese”. Con tale documento si richiede innanzitutto il completo ritiro degli israeliani dai confini stabiliti nel giugno 1967. Tutto il mondo è d’accordo con questo proposito, tranne gli Stati Uniti, Israele e questo o quello degli atolli del Sud Pacifico (Nauru, Palau, Tuvalu, Micronesia, Isole Marshall). Una volta che l’America ed Israele accetteranno questa risoluzione, ci saranno le basi per giungere ad una risoluzione del conflitto.
Nel Suo libro dal titolo Beyond Chutzpah, Lei espone le prove contro il libro del Dr. Alan Desrhowitz’s, Case for Israel, e giunge alla conclusione che tale lavoro è un miscuglio di plagio, ricerca scadente e povera erudizione. Ma se il libro del Dr. Dershowitz è così pieno di errori, come può accadere che diventi un autorevole punto di riferimento sull’argomento?
Per essere acclamati dalla corrente dei media su certi argomenti, basta semplicemente seguire pedissequamente la linea del partito: ciò ha davvero poco a che vedere con la vera ricerca. L’olocausto nazista e il conflitto israelo-palestinese sono due di questi temi. Il terrorismo è un altro. Ho appena letto questo ridicolo libro scritto da una persona definita come massimo intellettuale americano, tale Paul Barman, intitolato Terror and Liberalism. Il libro è privo di fatti. Potrebbe davvero essere definito una pazzia in una cultura razionale. Inizia premettendo che nessuna nazione al mondo ha fatto di più per i musulmani degli Stati Uniti. Questa è la premessa centrale. Può solo immaginare dove vada a finire da qui in poi. Naturalmente, è diventato un best-seller in America. E’ difficile immaginare quanto decadente sia la cultura intellettuale americana. Anche se, in tutta onestà, dubito che si sia già assestata sul livello della Francia, dove Bernard Henri-Levy viene definito un filosofo.
Nel suo controverso libro, The Holocaust Industry, Lei sostiene essenzialmente due argomenti. Il primo è che l’esaltazione dell’unicità della “sofferenza degli ebrei” sperimentata durante l’olocausto sia utilizzata per far scudo e deviare critiche del tutto legittime a Israele. Il secondo, che una tale supporto permette ad un potente settore di bollare ogni tipo di critica, indipendentemente dalla sua legittimità, come antisemita. Che ruolo ha giocato tale “etichettatura” negli anni recenti, con riferimento alle critiche mosse contro le politiche domestiche ed interne?
Ogniqualvolta Israele si trova sotto pressione internazionale per la risoluzione in via diplomatica il conflitto israelo-palestinese o per la segnalazione delle violazioni dei diritti umani che accadono, riporta in vita quello spettacolo definito come il Nuovo Anti-Semitismo. Nel 1974, la Lega Anti-Diffamazione, una lobby israeliana presente negli Stati Uniti, ha pubblicato un libro dal titolo “Il Nuovo Anti-Semitismo” e nel 1981 un altro dal titolo “Il Vero Anti-Semitismo”. Subito dopo l’inizio della nuova intifada, la lobby israeliana è ancora ritornata al Nuovo Anti-Semitismo. I propositi di tale “agitprop” sono abbastanza ovvi: delegittimare tutte le critiche rivolte ad Israele definendole come motivate dall’antisemitismo e far apparire i colpevoli come vittime. Sembra che l’effetto di tale atteggiamento sia stato minore negli anni recenti a causa di un abuso del medesimo: quando Jimmy Carter inizia ad essere definito come antisemita, la gente inizia davvero ad interrogarsi.
Chiunque conosca questa industria dell’ “infotainment”, sa bene che istrioni “acculturati” e polemici creano emuli fedeli, dando così una spiegazione al fenomeno di conduttori di programmi radio irriverenti e orientati a destra e del sorgere di esperti polemici. Qual è il ruolo, nella nostra società isterica, dell’accademico e storico professionale ed etico, e nello specifico di uno la cui attenzione è concentrata sul Medio Oriente? La Sua esperienza con la DePaul University è forse un avviso a coloro che percorrono quello che alcuni considerano il Suo cammino controverso?
Non credo che alla mia esperienza personale possa essere attribuito un significato più ampio. Sono stato bersagliato in quanto politicamente attivo e perché non mi limito ad un passivo e professionale ascolto degli altri accademici. Ho una reputazione pubblica ed è stata tale reputazione che la lobby israeliana ha cercato di screditare, peraltro con successo, come è stato dimostrato. Ma gran parte degli studiosi parlano ad altri studiosi.
Il “mondo musulmano” ha acquisito un’attenzione considerevole dopo l’11 settembre grazie anche ai critici che hanno parlato di “scontro di civiltà”, “radici della rabbia musulmana” e della nuova etichetta che ha parlato dell’emergere dell’”islamo-fascismo”. Lei vanta una considerevole esperienza con i musulmani e i musulmani americani. Crede nell’esistenza del conflitto tra il cosiddetto Occidente e l’Islam? E, in caso positivo, noi società americana come possiamo guadagnare nuovamente fiducia, credibilità e comprensione da parte dei musulmani, soprattutto alla luce della guerra in Iraq, del conflitto israelo-palestinese e della retorica aggressiva nei confronti dell’Iran, che alcuni musulmani considerano come ampia prova di una guerra all’islam piuttosto che una realpolitik?
Il termine “islamo-fascismo” non significa nulla. Se non vado errato, è stato coniato dal commentatore Christopher Hitchens. Il termine riporta a quando la sinistra giovanile, di cui io stesso facevo parte, apostrofava tutti coloro con i quali non era in accordo come “maiali fascisti”. Questa è una versione kosher-halal di tale epiteto. Il fascismo faceva riferimento ad un preciso fenomeno storico, sebbene sia in dubbio se l’espressione possa comprendere anche regimi diversi come l’Italia di Mussolini e la Germania di Hitler. Ma quando si inizia ad usare l’espressione per riferirsi a bande di terroristi che vogliono portare indietro l’orologio di diversi secoli e far resuscitare il Califfato, esso diventa un epiteto vuoto al pari di “Impero del Male” o “Asse del Male” e via dicendo.
I Suoi genitori sono sopravvissuti al ghetto di Varsavia e ad Auschwitz. I lavori e gli studi da Lei pubblicati, nonostante siano definiti come anti-semitici dai Suoi critici, sono generalmente dedicati ad onorare e preservare l’integrità di quelle vittime, come i Suoi genitori, le cui sofferenze sono state sfruttate a fini politici. Come altri nel Suo settore, Lei avrebbe potuto evitare ogni controversia semplicemente seguendo la corrente principale. Con tutte le questioni che ha dovuto affrontare a seguito dei suoi studi, cosa la motiva a continuare per questa strada?
Ogni volta che mi interrogo sul perché faccio questo – e mi succede di attraversare momenti di autocritica- mi ricordo delle sofferenze dei miei genitori, penso ai miei amici che vivono nei territori occupati, e i dubbi svaniscono. Vado avanti, consapevole del fatto che prima o poi scomparirò dalle scene, nella speranza di aver fatto qualcosa di buono e di non aver arrecato troppo danno.
Wajahat Ali è un commediografo, saggista, umorista, laureato in giurisprudenza, la cui opera, “The Domestic Crusaders,” (www.domesticcrusaders.com) è il maggior lavoro sui musulmani americani che vivono nell’america del dopo 11 settembre. Waiahat Ali può essere contattato all’indirizzo e-mail [email protected]
Titolo originale: “On Islamo-Fascism and Other Vacuous Epithets”
Fonte:http://www.counterpunch.org
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20.11.2007
Traduzione di RACHELE MATERASSI per www.comedochisciotte.org