SUL PERCHÉ PIAZZE E URNE NON POSSANO ESSERE POSTE IN ALTERNATIVA

Continua la serie di articoli inerente le prossime elezioni amministrative ed europee previste per l’ 8 e 9 giugno prossimi, dove si dà spazio a tutte le opinioni, come è giusto e come CDC è abituato da sempre a fare. Nel rispetto reciproco di chi scrive, di chi legge e di chi commenta.

Come avrete notato, non si dà spazio ad alcun partito (niente interviste/cronache politiche ecc..), ma soltanto alle libere opinioni della comunità di CDC sull’utilità o meno del voto e su cosa significhi.

Il fatto di non dare spazio ai partiti in lizza è una scelta precisa. Come è una scelta precisa dare spazio a tutte le posizioni legittime e argomentate in ambito astensione/non astensione.

Siamo consapevoli che il tema del voto è divisivo: pubblicare articoli in ogni direzione (andare a votare/non andare a votare) non significa schierarsi per l’una o l’altra scelta, ma vuol dire dare spazio ad un dibattito che nella società italiana, o quello che ne rimane, dimostra di esserci, anche se magari cova sotto la cenere o viene espresso ormai via digitale attraverso mezzi e apparecchi elettronici, visto che sembra purtroppo l’unica partecipazione che attecchisce.

Ognuno poi farà le proprie libere scelte. Si prega di mantenere un tono ed un dibattito civile e rispettoso delle opinioni di tutti, come è tradizione e prassi di questo spazio web.

La tesi del  voto, così come del NON voto è stata e sarà ampiamente trattata ancora, come è giusto che sia.

Basta andare QUI e si possono trovare tutti gli articoli, che rispecchiano ogni orientamento.

Chiunque voglia contribuire puo’ scriverci a [email protected]

La Redazione

Riceviamo e pubblichiamo.

 

Di Riccardo Paccosi

 

Su stimolo dell’amico Raffaelle Varvara, pongo qualche conciso spunto di riflessione che funga da controcanto all’articolo da egli pubblicato recentemente su Comedonchisciotte e intitolato “Democrazia è diserzione dalle elezioni”.

Le organizzazioni politiche che hanno sostenuto il movimento di massa contro il green pass, sono complessivamente apparse – sia in occasioni delle elezioni politiche del 2022, sia e ancor più nelle fasi successive – come inadeguate sul piano dell’elaborazione strategica e teorica, sul piano della colleganza sociale, sul piano della gestione della democrazia interna e finanche sul piano della qualità meramente umana e della capacità interrelazionale dei loro portavoce. Chi scrive, è presidente di una di queste organizzazioni e, naturalmente, potrei elencare vari tratti che ritengo distinguano qualitativamente la mia dalle altre. Un mio chiamarmi fuori, però, non aiuterebbe affatto a mitigare la sensazione di sconforto generale che regna nell’area. Sarebbe bene, invece, che tutti gli esponenti dell’opposizione anti-sistema si facessero carico di tale sconforto, senza limitarsi a dire che sono solo “gli altri” a essere deficitari.

Le cause del quadro che si è venuto a creare sono molteplici e sarebbe troppo lungo elencarle qui, diciamo solo che il processo antropologico-culturale della società liquida – fatto di atomizzazione individuale, frattalizzazione delle visioni del mondo e autoreferenzialità digitale – non riguarda solo coloro che si sottomettono spontaneamente all’ideologia dominante: trattandosi ormai di un vero e proprio antropema, suddetto processo finisce per investire anche noi oppositori e dissidenti.

Malgrado la situazione fin qui descritta, però, l’astensionismo elettorale, quando assunto a paradigma generale, ritengo rappresenti un errore strategico di lettura della fase. E questo per due ordini di motivi.

  • Il primo motivo riguarda come l’astensione sia in crescita nei paesi occidentali, già da molto tempo. Se in Italia si tratta d’un fenomeno relativamente recente (almeno entro le attuali dimensioni), negli Stati Uniti e in Gran Bretagna si sono viste tornate elettorali con picchi di astensione al 60% lungo una linea di tendenza che parte fin dagli anni 90. Da allora, nel dibattito pubblico si è parlato ricorrentemente di crisi della rappresentanza ma, negli ultimi decenni, possiamo dire d’aver intravisto anche una crisi sistemica?

Possiamo dire d’averla intravista sì, ma in seguito alla crisi finanziaria del 2007-2008, non certo in relazione all’astensione. Anzi, il calo progressivo dei votanti ha consentito ai liberal-progressisti di arrivare a teorizzare la fine del suffragio universale: in seguito alla Brexit e alla vittoria di Trump, infatti, sono emerse posizioni – come quelle del politologo Jason Brennan in America o di Eugenio Scalfari in Italia – che hanno enunciato chiaro e tondo la necessità di un esame d’idoneità al voto per tutti i cittadini.

E qui, allora, sorge una domanda che rovescia il celebre aforisma da alcuni attribuito a Mark Twain, ovvero quello secondo cui se l’atto di votare facesse una qualche differenza non ci sarebbe permesso di praticarlo. La domanda rovesciante tale assunto, ebbene, è la seguente: se il voto è così tanto funzionale agli assetti di potere, perché allora i portavoce del medesimo ne teorizzano la limitazione? E ancora: se il sistema della rappresentanza parlamentare esprime solo interessi di casta, per quale motivo in Italia si susseguono da trent’anni riforme e tentativi di riforma – sia istituzionali che costituzionali – tutti finalizzati a sottrarre potere al Parlamento al fine d’aumentare quello dell’esecutivo?

Insomma, che il non-voto possa avere una funzione delegittimante il potere, ritengo sia tesi platealmente smentita dall’aumento dell’astensione e dal fatto che in contemporanea a suddetto aumento stia maturando, senza incontrare resistenze e ostacoli significativi, quella mutazione dei sistemi occidentali in senso tirannico-assolutista che vediamo ogni giorno materializzarsi sotto i nostri occhi.

  • Il secondo elemento di confutazione della tesi enunciata dall’amico Varvara, riguarda invece la pars costruens del suo ragionamento, ovvero il concetto insito nella sua affermazione secondo cui l’alternativa al voto “non può che essere l’azione organizzata di cittadini consapevoli fuori dalle istituzioni per concorrere a indirizzare le scelte politiche”.

Avendo una pluridecennale biografia vissuta nelle piazze, vorrei gettare uno spunto di riflessione storiografica per il prossimo futuro, giacché non può essere questione esauribile in un breve intervento.

La riflessione in questione, ritengo possa articolarsi tramite una batteria di domande quali, ad esempio…

La dicotomia tra autorganizzazione sociale e rappresentanza istituzionale, ha un fondamento storico concreto? Ovvero: si sono mai visti cambiamenti sociali generati da uno solo di questi fattori?

Volendo utilizzare la terminologia del secolo scorso, la domanda può essere altresì riformulata nel seguente modo: nei paesi occidentali, prassi riformista e istanza rivoluzionaria sono mai stati davvero autosufficienti? O piuttosto esse, laddove siano riuscite a conseguire risultati a livello di diritti sociali, hanno operato sempre in sinergia, pur guardandosi in cagnesco?

Orbene, se le colpe del riformismo le conosciamo bene e possiamo farne risalire già agli anni settanta la deriva ideologica in senso neoliberale, meno chiara e meno nota è la responsabilità delle istanze antagoniste, extraparlamentari e anti-sistema nella storia recente. Se prendiamo il contesto italiano, infatti, vediamo che l’attacco “da sinistra” al parlamentarismo e alla Costituzione (accusata d’imbrigliare le forze affluenti della società, anche se non veniva mai specificato attraverso quale Articolo ciò avvenisse), ha contribuito a svuotare lo spazio politico facendo sì che i poteri economico-finanziari assumessero sempre più il controllo di quest’ultimo.

Se prima la democrazia si sostanziava di una forte sfera pubblica statale e di un’altrettanto forte sfera pubblica non-statale fatta di movimenti, associazionismo e civismo, l’aver messo in alternativa reciproca tali aspetti ha portato alla dissoluzione di entrambi. In altre parole l’attacco al parlamentarismo avviato dalla seconda metà dei ’70 e da allora mai interrottosi, non ha affatto generato il Paradiso della democrazia diretta, bensì ci ha gettati tutti quanti nell’Inferno della società privatizzata.

In sintesi, non dobbiamo porre antinomie laddove dovrebbero esserci, invece, delle complementarietà: se non si può fare a meno delle piazze e dell’autorganizzazione sociale, parimenti non si può fare a meno del fatto che la società esprima rappresentanza istituzionale.

Tutto questo, naturalmente, nulla toglie alla constatazione della situazione disastrosa che qualifica oggi l’opposizione anti-sistema. Il punto è se sia necessario o meno auspicare la possibilità che essa sappia, un giorno, declinarsi anche a livello elettorale.

Riccardo Paccosi è attore, regista teatrale e  scrittore.

Continua la serie di articoli inerente le prossime elezioni amministrative ed europee previste per l’ 8 e 9 giugno prossimi, dove si dà spazio a tutte le opinioni, come è giusto e come CDC è abituato da sempre a fare. Nel rispetto reciproco di chi scrive, di chi legge e di chi commenta.

Come avrete notato, non si dà spazio ad alcun partito (niente interviste/cronache politiche ecc..), ma soltanto alle libere opinioni della comunità di CDC sull’utilità o meno del voto e su cosa significhi.

Il fatto di non dare spazio ai partiti in lizza è una scelta precisa. Come è una scelta precisa dare spazio a tutte le posizioni legittime e argomentate in ambito astensione/non astensione.

Siamo consapevoli che il tema del voto è divisivo: pubblicare articoli in ogni direzione (andare a votare/non andare a votare) non significa schierarsi per l’una o l’altra scelta, ma vuol dire dare spazio ad un dibattito che nella società italiana, o quello che ne rimane, dimostra di esserci, anche se magari cova sotto la cenere o viene espresso ormai via digitale attraverso mezzi e apparecchi elettronici, visto che sembra purtroppo l’unica partecipazione che attecchisce.

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