Di Raniero Mercuri per ComeDonChisciotte.org
Uccidono i giovani. Ai bambini, per ora, rubano le caramelle. Ai ragazzi no, a loro violentano gli anni più belli, quelli dell’adolescenza, della prima e meravigliosa giovinezza, insondabile stato puro e fragile dell’anima. Ed è nella loro capacità straordinaria di elasticità umana che i paladini dell’oscurità contemporanea sono entrati a defenestrare la sacralità del loro percorso di crescita, inquinandolo da veri lupi travestiti da agnelli.
Come? Introducendo a scuola nuove e false terminologie, con annesse implicazioni disidentitarie e destrutturanti, sostituendo così un po’ alla volta termini certi, solidi e di assoluta moralità sui quali generazioni di studenti hanno costruito negli anni le loro fondamenta d’animo.
Prendiamone due: inclusione e resilienza. Il primo vuol dire inglobare, massificare e rinchiudere indistintamente identità diverse all’interno di un grande recipiente, umanamente distaccato e asociale, nel quale vale per tutti la più importante regola del gioco: non si esce dal contenitore.
Qui dentro ragazzo sei libero di essere tutto ciò che vogliono. È molto peggio del gregge di una volta, almeno lì qualche margine per pascolare poco più in là lo avevi. Qui no, qui non è aria per pensarla a modo tuo. Qui non c’è proprio aria. E non c’è più neanche l’intelligenza come diritto primario e naturale dell’individuo, perché qui dentro ti dicono anche che devi “aprirti” a compromessi con l’intelligenza artificiale (il male assoluto, sintesi demoniaca di oscuri percorsi affaristi e transumani). Qui non sei tu e non lo sarai mai.
L’opposto di inclusione? Integrazione. Già, l’abbiamo sempre conosciuta, forse a volte data per scontata. Integrare è il termine che i ragazzi devono conoscere e che da “puri”, senza prefiltraggi imposti, applicherebbero in modo naturale: confrontarsi con identità diverse, usi e costumi diversificati, anche nettamente, per apprendere gli uni dagli altri, creando arricchimento umano e quindi cultura. Mantenendo però una chiara identità individuale, rifiutando così di diventare massa vuota e identica.
L’altro termine da sballo è resilienza. La senti dappertutto. Va bene per ogni circostanza, anche culinaria: “sono resiliente al caffè”. Così, senza motivo. La spacciano per una sorta di caparbietà all’acqua di rose. In realtà è accettazione passiva di ciò che ti accade intorno, degli eventi imposti, anche i più cruenti, spaventosi e soprattutto contrari al tuo pensiero; agli studenti dicono che è una virtù quella sapersi adattare ai cambiamenti voluti da altri, anche se opposti alle loro idee. Questo è gravissimo.
La vera virtù opposta alla passività resiliente già l’avevamo: si chiamava resistenza e per secoli migliaia di ragazzi ne hanno fatto un pilastro delle loro vite. Semplicemente difendendo il diritto a pensarla unicamente a modo loro, sia nelle piccole situazioni quotidiane, sia a volte sacrificando addirittura la vita pur di resistere contro modelli di oppressione di ogni tipo.
Questa è una presa di posizione netta, a difesa della purezza dell’adolescenza, dell’età che non ha età.
Ma dovrebbe essere una crociata condivisa da tutti, soprattutto dagli insegnanti, che spesso preferiscono belare con i forti e abbaiare con gli studenti, ignorando il danno irreparabile alla loro formazione.
Coraggio ragazzi, «guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci! Dai loro frutti li riconoscerete» (Mt, 7,16).
Di Raniero Mercuri per ComeDonChisciotte.org
Raniero Mercuri. Docente in discipline umanistiche nella scuola secondaria. Giornalista.