Scenari e conflitti per il dopo-petrolio: la corsa per il gas naturale…

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Quando l’oro-nero non ci sarà più, i gas naturali diventeranno la fonte energetica più appetibile. Le strategie di conquista delle potenze occidentali e delle grandi compagnie

DI ARTHUR LEPIC

Le economie sviluppate devono concepire politiche economiche che garantiscano loro l’accesso alle fonti di energia. Il petrolio, ad esempio, è diventato una delle principali poste in gioco nei rapporti internazionali. Anche per il gas naturale vale la stessa cosa. Ma si tratta di un prodotto particolare, ad esempio non può essere facilmente trasportato a lunga distanza e si deve consumare in prossimità dei luoghi di produzione. La sua appetibilità suscita quindi anche alleanze e conflitti differenti da quelli connessi al petrolio. In entrambi i casi, le stime delle riserve sono politicamente deformate quando le istituzioni governative o le grandi compagnie le rendono pubbliche globalmente. Non vi è invece cartello o “Organizzazione dei paesi esportatori di gas” che possa avere, in determinate circostanze, interesse a falsare le stime. Tra l’altro, le stime relative alle riserve in Russia, il paese maggiormente fornito, non costituiscono un segreto di Stato, contrariamente a quelle del petrolio. Le stime sono più attendibili se vengono rese pubbliche, a fini tecnici, dalle compagnie “esploratrici” (scout companies). Ci baseremo su queste per la nostra analisi. L’Associazione per lo studio del picco mondiale della produzione petrolifera (Association for the Study of Peak Oil, Aspo) si occupa anche delle riserve e della produzione mondiale di gas naturale, basandosi per quanto possibile sui dati tecnici; questi, generalmente si vendono a peso d’oro in quanto, a parte il valore strategico, sono difficili da determinare. Le società specializzate nella pubblicazione di tali dati, ad esempio Petrologistics di Ginevra, devono raccoglierli in tutte le parti del mondo, sul campo, per aggirare i “filtri” politici e commerciali. In uno studio pubblicato nel 2004, Jean Laherrère, geologo petrolifero e cofondatore dell’Aspo, ha cercato di redigere l’inventario dei siti del gas naturale a livello mondiale. I suoi grafici costituiscono uno strumento prezioso, soprattutto per capire la dinamica imperiale anglosassone e le poste in gioco dell’estensione e dell’integrazione economica europea.

Se gli Stati Uniti si trovano in una situazione particolarmente critica per quanto riguarda il loro futuro rifornimento di gas naturale, l’Europa non è in condizioni migliori. Tuttavia, le rispettive situazioni geografiche li inducono a muoversi in modo diverso. L’Europa si trova in prossimità dei propri fornitori (Russia, Medio Oriente) e ha tutto l’interesse di avvicinarsi politicamente ad essi. Viceversa, il Nordamerica deve affrontare una situazione di isolamento che spinge la sua industria dell’energia a volere imporsi là dove si collocheranno iniziative e profitti. Questo elemento comporta inevitabilmente l’ingerenza, la divisione, attraverso l’interesse privato e la corruzione delle élites.

La domanda mondiale di gas naturali prevista è smisurata. Da un lato, si tratta di una fonte energetica molto pratica, utilizzabile quasi senza bisogno di trasformazioni, facilmente trasportabile su scala continentale. Dall’altro il picco della produzione mondiale (2030, ascondo l’Aspo) interverrà a distanza di 20 anni circa da quello del petrolio (2007, sempre secondo l’Aspo). Il che fa del gas naturale l’energia fossile di transizione ideale. Le proiezioni contano dunque su un ritmo di incremento della produzione doppio rispetto a quello previsto per il petrolio. Tuttavia, gli esperti indipendenti si preoccupano, per il fatto che buona parte delle riserve “provate” di gas naturale sono situate in zone non ancora sfruttate. La loro estensione non trova ancora conferma in tassi di produzione che ne attestino la portata. Si punta quindi su riserve teoriche, che potrebbero risultare inferiori alle attese.

Esaminando l’elenco dei principali paesi produttori di gas naturale, ci si accorge che molti di questi stanno oggi attraversando una fase di declino, spesso irreversibile. Matt Simmons, membro dell’Aspo nonché Pdg della Simmons Co. International, ritiene che la produzione globale debba aumentare del 20% per essere in grado di rispondere alla domanda, laddove il 65% dei giacimenti è in calo. Per giunta – sempre secondo Simmons – una delle caratteristiche del gas naturale è il fatto che il calo della sua produzione è in genere brusco, per evidenti motivi fisici connessi alla sua volatilità. Ad esempio, in America settentrionale, attualmente, un pozzo di gas naturale messo in produzione perde in media l’80% del rendimento in un solo anno!

In breve, oggi la preoccupazione globale, ancora una volta, non è sapere da dove proverranno le risorse che si aspettano i paesi in via di sviluppo (per questi non si prevede niente, né potranno competere su un mercato guidato dalla domanda), ma piuttosto dove si riforniranno i paesi sviluppati quando la crisi sarà precipitata davvero.

Per quanto riguarda il Nordamerica, il verbale delle riserve e della produzione in atto è più che preoccupante. La curva delle scoperte per gli Stati Uniti, spostata di 28 anni per riflettere la produzione, illustra perfettamente le convinzioni di Simmons: la produzione ha conosciuto un calo relativamente lento dopo 30 anni, perché la domanda era frenata dalla politica energetica, mentre esplodeva il numero delle trivellazioni per compensare il calo di produttività per ogni pozzo. D’ora in poi la domanda s’impenna, ma la produzione continentale è al limite.

Il mercato regionale, dunque, procede fino alla saturazione. L’unica soluzione, l’invio tramite un oleodotto gigante proveniente dalla Russia via Alaska, o un’infrastruttura di trasporto marittimo di portata senza precedenti, con reparti di liquefazione, terminali adatti, metaniere, ecc. Essendo il costo del trasporto di gas naturale cinque volte più elevato di quello del trasporto di petrolio, la vicinanza tra produttori e consumatori è un fattore di enorme incidenza. Tanto più che, mediamente, il 35% della produzione di un pozzo di gas naturale si consuma nel processo di liquefazione criogenica e nel trasporto. Così stando le cose, per le compagnie incaricate di rifornire gli Stati Uniti è non meno impellente accaparrarsi il massimo di capitale e di rientri sugli investimenti, incluso in progetti che non riguardino direttamente gli Stati Uniti.

Si è avuto, così, modo di osservare le primizie della politica d’urgenza di rifornimento in gas naturale degli Stati Uniti al momento del tentativo di colpo di Stato nella Guinea equatoriale, dove la compagnia Amerada Hess doveva concludere un contratto per la costruzione della fabbrica di liquefazione più grande del mondo, alla fine del golpe sorretto dai servizi anglosassoni.

L’Africa, del resto, conosce un netto incremento di produzione, accompagnato dall’aumento delle esportazioni. Il che significa che consuma ben poco dell’energia di cui dispone e, per questo, non riesce a svilupparsi. Simmons ritiene che occorrano 40 nuovi grandi progetti di produzione di gas naturale liquefatto nei prossimi sei anni per compensare la perdita di produzione locale. Malgrado gli importanti progetti offshore brasiliani, il Sudamerica sta più o meno nelle stesse condizioni, tranne il fatto che non ha né il capitale né la forza militare per fare fronte alla crisi. In compenso, dipende meno dal gas naturale per mantenere la propria economia.

Anche l’Europa si trova di fronte a un imminente brusco calo della sua produzione. Ma dispone di un vantaggio di fondo: la vicinanza geografica alle due regioni produttrici, vale a dire l’ex Unione sovietica e il Medio Oriente, che sono già ora tra i principali partner economici. Con possibilità di inoltro tramite gasdotti e quindi con costi minori, l’Europa dovrebbe perciò riuscire a reggere la propria crisi in fatto di gas naturale in maniera più morbida.

La preoccupazione dei geologi, comunque, riguarda la sopravalutazione delle riserve dell’ex Unione Sovietica (30%, secondo Jean Laherrère) e il fatto che l’Iran, seconda riserva mondiale, progetti di immettere parte della sua produzione di gas nei propri giacimenti petroliferi per mantenerne la pressione.

Si tocca quindi con mano l’esigenza, per l’Europa, di integrare economicamente i paesi che costituiranno i futuri corridoi del passaggio di gas naturale, e cioè soprattutto la Lettonia, l’Ucraina, la Bielorussia e la Turchia. Non vi è alcuna ragione, peraltro, perché le ricchezze generate da questo futuro rapporto economico debbano uscire dall’«anello continentale» che si costituirà naturalmente. La cosa non farebbe che danneggiare tutti: produttori, consumatori e paesi di transito.

Arthur Lepic
(Traduzione dal francese di Titti Pierini)

Fonte:www.liberazione.it
29.03.05

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