Quel terribile e temibile amore per la guerra

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Di Saura Plesio, Nessie

Strana gente sul fronte occidentale. Hanno cresciuto i figli del dopoguerra (i cosiddetti baby boomers) e poi i loro figli, i loro nipoti e magari pronipoti con il dogma secondo cui la guerra – ohibò! – è la Madre di tutte le calamità terrestri. A scuola ci hanno fatto leggere e imparare poesie e canzoni contro la guerra. A questo proposito mi piace citare quella arcinota di Bertold Brecht:

La guerra che verrà non è la prima.
Prima ci sono state altre guerre.
Alla fine dell’ultima 
c’erano vincitori e vinti.
Fra i vinti la povera gente 
faceva la fame. 
Fra i vincitori faceva 
la fame la povera gente
egualmente.

 

Non che dicesse bugie, il signor BB, dato che è vero che le guerre scoppiano, si espandono a macchia d’olio, ma poi quando i popoli vanno in miseria, avanzano le carestie con città ridotte in macerie, senza più un tetto sopra la testa, con topi di chiavica che scorrazzano da tutte le parti, afflitti da malattie ed epidemie, laceri e senza più nulla nelle mense, con fiumane di profughi infestati di pidocchi, ci si dimentica del perché i conflitti siano scoppiati. Questo non lo vogliono mai tenere a mente i guerrafondai da salotto, quelli che credono di poter fare delle guerre, quello che si fa col telecomando di un televisore: cambiare canale di fronte a paesaggi desolati come quello testé descritto. Ma ora? Improvvisamente la guerra è diventata un’opzione da non escludere. Specie se nucleare. In particolare, se c’è di mezzo il nuovo uomo coi baffetti (un Putin con tanto di reductio ad hitlerum  ad uso copertina di magazine americani come il TIME), uomo da far fuori ad ogni costo con una cordata di alleanze internazionali, su modello tutti contro uno. A cosa si deve questo mutamento di rotta dall’irenismo al bellicismo più grottesco e velleitario? 

 

In realtà di violazioni dell’art. 11 della costituzione, ce ne sono già state con le guerre per procura e le guerre per l'”esportazione per la democrazia” (Iraq, Afghanistan, Libia), tutte sotto bandiera Nato. Altrimenti chiamate “missioni di polizia internazionale” contro il Terrorismo. Ma tutto era relegato e circoscritto a “fronti lontani”. E a nessun governante saltava il ticchio come Macron attorniato dal suo esercito di ziette dedite a la vie en rose, di parlare di attacchi terrestri. Un amore per la morte che il toy-boy dell’Eliseo ha  appena mostrato mettendo l’aborto in costituzione.  O di Ursula von der Leyen passata con disinvoltura da baronessa vestale delle iniezioni Pfizer, a protettrice di  missili, bombe e armamenti vari. Adesso all’allegra brigata, si è aggiunto anche il polacco Donald Tusk. Non pago dell’insensatezza del vecchio “Morire per Danzica”, aizza i polacchi a “morire per Kiev”  per il tramite di  affermazioni  assai gravi come queste:

 

“I tempi della calma beata sono finiti. L’epoca del dopoguerra è passata. Viviamo in tempi nuovi, in un’epoca prebellica. In effetti, per alcuni dei nostri fratelli non siamo nemmeno più nel periodo prebellico. È una guerra su vasta scala nella sua forma più crudele”, ha aggiunto. “Non è colpa nostra se il nostro vocabolario quotidiano include ancora una volta parole come combattimenti,bombardamenti,attacchi missilistici, genocidio”. (fonte: AGI)

Per non dire del cancelliere tedesco Olaf Scholz e dell’invio indiretto (passando per la GB) di missili Taurus, al governo di  Kiev. Ho già aspramente criticato anche Giorgia Meloni e i suoi bamboleggiamenti pro Zelensky, rimasta come un coniglio ammutolito di fronte alla sua scellerata proposta di stilare liste di proscrizione di cittadini italiani pro Putin. Ma ora torno a  insistere: non fate più scherzi da preti! Nessun italiano vuole morire per Kiev – mettetevelo in testa. E già che siamo in tema, non vuole morire nemmeno sotto attacco Houthi solo perché la Meloni  si è  sbilanciata con un carnefice macellaio come Netanyhau, ragione questa, che ci sottopone a notevoli ritorsioni.

 

Che vada a imparare l’arte della Diplomazia dal fantasma di Andreotti, così bravo a tenere i piedi in parecchie scarpe: col mondo occidentale e col mondo arabo, con la Nato ma anche con chi ci riforniva di petrolio. Non mi piace affatto quel suo atteggiamento di suffragetta bombarola con elmetto. Non so cosa le abbiano promesso all’Aspen o al CFR et similia, ma è certo che se la sua politica estera (quella che in Italia, paese colonia, non abbiamo mai avuto) si limita ed essere quella del giunco che si piega di continuo ai loro voleri, beh, la sua fortuna farà in fretta a scemare e la sua carriera a venire sbalzata via. Per il momento c’è l’assegnazione del premio Atlantic Council 2024, importante think tank – lo stesso premio già assegnato a Draghi nel 2022, nel segno di una perfetta continuità col suo predecessore. Per i cittadini italiani, non è  certamente un buon indizio.

In questi giorni c’è grande polemica nei confronti del Papa e della sua intervista sulla tv svizzera, colpevole per una volta tanto, di aver fatto il Papa. Il Vaticano sarà corrotto e da tempo non è più un vero riferimento per i cattolici, ma non si può dire che non abbia  i suoi canali d’informazione con notizie fresche sul fatto che “la martoriata Ucraina” sta combattendo una guerra che è già persa in partenza.

Pertanto, continuare il conflitto, non può che far aumentare nuove vittime, nuovi civili. Inoltre l’accenno alla “bandiera bianca”, che tanto ha fatto scalpore, non è in sé segno di resa, ma di richiesta di una trattativa.

La utilizzavano anche gli indiani quando volevano trattare coi soldati yankee e viceversa.  Perché allora non cercare di immettere energie nel negoziare allo scopo di raggiungere un accordo invece di evocare l’Apocalisse? Ma questo non lo afferma solo Bergoglio; lo dice pure Lucio Caracciolo della rivista di geopolitica Limes, uomo di provata fede atlantista. Ecco le parole proibite che non si pronunciano più nel nuovo lessico bellicista attuale che tanto piace alle cancellerie europee: negoziato, trattativa, compromesso.

 

“L’avvicinarsi della possibilità di una guerra mondiale atomica” scrive lo psicologo Claudio Risé “è una prospettiva talmente folle ed empia (distrugge la creazione) che diventa del tutto irrilevante chi ha ragione e chi ha torto”.  “Ognuno dei belligeranti in qualsiasi situazione sia, è colpevole in quanto più o meno dominato dal fascino mortifero della guerra” (…)
Per scendere nel pratico, dato che i soldati ucraini ormai scarseggiano, si danno alla macchia e non vogliono più saperne di combattere, non vorrei che in questa Neuropa in preda ad un cortocircuito permanente, coi suoi guerrafondai da salotto chic, passasse l’idea di inviare truppe di nostri soldati. Si ricorda che all’Ucraina abbiamo versato fior di  quattrini, inviato armi,  mentre gli ucraini vengono ospitati in veste di profughi che scappano da un conflitto, quindi con uno status di privilegiati, rispetto ad altri.

 

Pertanto, nessun soldato italiano osi mettere lo stivale sul suolo fangoso ucraino. Ma soprattutto, dopo oltre due anni di conflitto dal quale non se ne viene a capo, è diventato tassativo farla finita. E questa non è solo un’idea del Papa, ma è il comun sentire d’ogni italiano di buona volontà. La Nato non è  più da tempo un sistema di alleanze, addetto alla nostra sicurezza e protezione, ma persegue finalità aggressive ed espansioniste, confermandosi il braccio industrial-militare e finanziario della globalizzazione a guida anglo-americana.
Di Saura Plesio, Nessie

 

13.03.2024
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