Quando muore un Medico

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DI EMANUELA LORENZI

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Il 23 aprile è morto il 150esimo camice bianco, vittima più o meno diretta di questa epidemia. Medico di famiglia a Treviolo (Bergamo) e specialista in dermatologia, uomo gentile e di una disponibilità infinita, Medico con la M maiuscola dotato di una Weltanschauung realmente olistica e integrata dell’essere umano e di un amore per lo studio articolato e la ricerca costante, dalla medicina sistemica e funzionale all’omeopatia alla PNEI, medico di terreno dunque, oltre che sul campo come medico “di base”, con un recente interesse particolare per la medicina ambientale sulla quale tanto ci siamo confrontati. Gianbattista, oltre a curarmi con una con visione ‘cosmica’, mi ha restituito la fiducia che avevo perso dopo il mio vissuto personale e famigliare, la fiducia che dietro a un camice bianco potesse ancora esserci un medico, fedele al giuramento di Ippocrate e al sacro fuoco dell’Ars Medica. La perdita è immane.

Questo è solo un minuscolo omaggio a un grande essere umano, umile come lo sono i grandi, omaggio che va ad onorare tutti i medici veri, quelli che ancora, quijotescamente, si prendono “cura” della persona intera e non della malattia, nonostante i mulini a vento dei tagli alla sanità, le miopie dei governi, le pressioni onnivore di big pharma big food e big thought e il paradigma riduzionista.

 

 a Gianbattista Perego, medico e amico

 

Quando muore un Medico

 

Mi squarcia l’assenza dei cipressi

sotto i quali camminarti

l’addio beffardo

ad amputare il premuroso

ascolto il pacato sguardo

e il matto studio della perduta armonia

dietro l’enigma della pelle

finestra sul cortile interno

porosa armatura dell’animo

terrea mappa e calligrafia

muta alla miopia dei saccenti.

Nessun tronfio dogma

nel taschino del camice

solo umili lenti

per la fonetica del corpo

  • l’entropia

che abbaglia il clinico

ma parla al medico

in cerca della semantica

arcana lingua della malattia.

 

Mi squarcia l’assenza del racconto

e le dense chiacchiere

di ftalati e ozono e citochine

di tako-tsubo nel petto e le endorfine

dell’abbraccio di tango

che mi era pasticca

prescritta in dosi ortomolecolari

epigenetica della tristezza.

Ti avrei detto del coagulo distopico

e delle scenografie del pianto

nelle vertigini lunari

  • la paura

 

“Cammina sull’erba

per il vago elettrico,

dormi sulla destra

per i garbugli del cuore,

poi ricorda

  • la cura

ricorda

di respirare”.

 

E siamo tutti più sguarniti.

 

(Emanuela Lorenzi)

Fonte: comedonchisciotte.org

27.04.2020

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