Proteste, manganelli e televisioni

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Riceviamo e pubblichiamo.

Di Luigi Contadini

Un bel gruppo di cittadini, dunque, è sceso in piazza a Pisa nei giorni scorsi per sostenere gli studenti malmenati e per esprimere contrarietà nei confronti delle posizioni del governo riguardo la tragedia palestinese, bellissimo gesto che rinfranca il cuore e che viene voglia di emulare. Tuttavia, è necessario elaborare ulteriori considerazioni per cercare di contestualizzare l’evento ed analizzarlo, seppur brevemente, nella sua complessità.

I deprecabili episodi repressivi contro i giovani manifestanti sono stati spesso ricondotti all’attuale governo e identificati dunque come espressione della destra violenta che in questi casi mostra il suo vero volto. Tuttavia, è possibile anche osservare che in questa epoca storica, tali azioni inaccettabili sono il frutto di una tendenza tecnocratica dominante (espressione di un neoliberismo senza scrupoli) che transita dal nazionale e si espande nel globale (e viceversa) e che nelle questioni fondamentali (a parte alcuni aspetti meno rilevanti) fa le stesse cose sia quando si manifesta attraverso governi di destra sia quando si manifesta attraverso governi di sinistra. In effetti, mi sembra ormai che la frattura politica non sia più individuabile su una linea verticale come quando era pertinente dividere la destra dalla sinistra, due diversi ambiti politici e culturali. La frattura è ora osservabile su un piano orizzontale, al di sopra di essa troviamo un’élite di potere sorretta da una maggioranza (con motivazioni diverse: dal fanatismo al calcolo, dalla necessità di aggregarsi all’indifferenza) in cui la vecchia destra e la vecchia sinistra si confondono. Mentre al di sotto della frattura troviamo la minoranza, un residuato o, se vogliamo essere ottimisti, un distillato eterogeneo che cerca di organizzarsi tra tante difficoltà, impedimenti e comprensibili disorientamenti e che proviene anch’esso sia dalla destra sia dalla sinistra che furono: sono “gli scarti” di ciò che un tempo costituiva la principale dialettica politica del nostro Paese, ma che non hanno ancora perso lo spirito critico, la consapevolezza e la forza di protestare.

Se oggi le violenze sono imputate al governo di destra, bisogna ricordare che durante il governo Draghi, fu proprio la sinistra (che formava parte del governo) a tacere, a sostenere o a giustificare gli idranti e le cariche delle forze dell’ordine contro i portuali di Trieste che manifestavano contro il green pass; le manganellate che si sono visti piovere in testa i disoccupati (con diversi ricoveri gravi) che manifestavano contro Draghi in visita a Napoli; i manganelli contro gli studenti contrari al green pass a Torino; e ancora le manganellate e gli allontanamenti subiti dai pescatori siciliani come risposta al loro desiderio di incontrare Draghi a Roma; i contenimenti delle proteste pacifiche e la criminalizzazione continua dei manifestanti, ecc.

Questi avvenimenti, a differenza di quello pisano, non hanno avuto copertura mediatica adeguata e significativa e sono stati condannati come espressione di disordine, di impedimento della ripresa del Paese, relegati a questioni di ordine pubblico o derisi e giudicati come manifestazioni di incoscienza e di irresponsabilità.

La partecipazione e lo sdegno diffuso rispetto ai fatti pisani si è potuta concretizzare anche perché i mezzi di informazione hanno mostrato esplicitamente la violenza e le conseguenze su chi le ha subite, e vi è stata una condanna a livello istituzionale.

Pertanto, non possiamo fare a meno di osservare che le televisioni e i principali mezzi di informazione, nel mostrare in questa occasione un evento drammatico (e censurandolo o manipolandolo in altre occasioni), hanno confermato di avere un ruolo decisivo nel coinvolgere e nell’orientare le idee e i comportamenti; ciò non toglie che i pisani non siano scesi in piazza con convinzione e spirito di solidarietà. Con tutto ciò, dunque, dobbiamo constatare per l’ennesima volta che chi ha in mano i mezzi d’informazione ha in mano il potere, il potere che conta, e troviamo l’ennesima conferma che le nostre società sono sempre più vulnerabili collettivamente e individualmente nei confronti del potere dei media ormai sempre più invasivo, subdolo e decisivo e rispetto al quale c’è sempre meno consapevolezza specialmente sul fatto che, come l’aria che respiriamo, riesce ad agire senza che noi ce ne rendiamo conto.

Se è vero che la copertura mediatica è stata determinante, è vero anche che nei fatti menzionati è stato altrettanto importante il contenuto della protesta, come se ci fossero motivazioni che esigono rispetto e altre, invece, per le quali è consentito l’uso dei manganelli.

Se non si condividono le motivazioni di un certo dissenso non si può comunque approvare o rimanere indifferenti di fronte ad una repressione violenta. Non si può, viceversa, condannare la violenza solo quando si condividono le motivazioni di chi sta protestando. Se si è contro la violenza lo si è sempre e non selettivamente. Invece, sempre più spesso, l’indignazione si diffonde per due principali motivi: in primo luogo, quando la violenza viene mostrata in maniera chiara ed esplicita dai media e viene messa in risalto la sofferenza delle vittime; in secondo luogo, se sono condivise le motivazioni politiche che animano tale protesta.

Queste prese di posizione, però, funzionali solo ad una soddisfazione momentanea, ad una polarizzazione dogmatica o a un calcolo effimero, ci allontanano sempre più dalle autentiche pratiche democratiche. E così, come in una corsa senza freni, perdiamo velocemente persino il ricordo delle nostre prerogative e responsabilità di cittadini che dovremmo difendere con forza e consapevolezza.

Di Luigi Contadini

05.03.2024

Luigi Contadini. Professore associato, Alma Mater Bologna.

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