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Questi sono solo alcuni dei fatti riguardanti i crescenti problemi di approvvigionamento idrico che viviamo in tutto il mondo e che vedono Cape Town come uno dei casi più gravi. A parte gli ovvi problemi dei cambiamenti climatici di cui la siccità rappresenta una grave minaccia per gli spazi Verdi, per la fauna selvatica, per l’ economia locale, e per il turismo, il pericolo più diretto è per l’agricoltura, così come per la salute e l’igiene. Nel terzo anno consecutivo di siccità , gli abitanti di Città del Capo si sono visti mettere un limite di 50 litri di acqua al giorno e il loro “Day Zero,” dovrebbe arrivare il 9 luglio di quest’anno: quello sarebbe il momento in cui l’approvvigionamento idrico sarà tanto scarso che tre quarti della popolazione avrà i rubinetti dell’acqua asciutti.
Mentre la siccità è un fenomeno naturale nel Western Cape, il cambiamento climatico ha esacerbato le condizioni di vita per gli abitanti di questa regione ed è opinione diffusa che il cambiamento climatico stia giocando un ruolo fondamentale anche nella devastazione dell’ambiente. Mentre il riscaldamento globale ha già portato a condizioni di vita estreme in questa regione, gli scienziati sottolineano la necessità per gli esseri umani di adattarsi ad una nuova realtà in cui, ad esempio, nel Capo Occidentale, il clima dovrebbe continuare a surriscaldarsi di circa 0,25°C nel prossimo decennio. Solo questo fatto significa che la siccità potrebbe aumentare fino a sette volte e influenzare lo stato di salute, di igiene e di insicurezza alimentare in tutta la regione di Cape Town.
E’ arivato in Sud Africa anche uno strano attore che vuole “salvare il Western Cape” è la Coca-Cola Peninsula Beverages, una partnership con la Coca-Cola Foundation e con i suoi affiliati. E’ arrivata, durante la crisi idrica, per tentare di regalare milioni di litri di acqua al Western Cape di Città di Città del Capo, fornendo “acqua preparata” gratuita in bottiglie di plastica riciclabili da 2 litri con scritto “Not for resale.” Il Sudafrica è l’unico paese al mondo che ha una Costituzione che garantisce il diritto all’acqua nella Dichiarazione dei diritti, ma questo diritto viene negato a milioni di abitanti del paese. Nel Western Cape e in altre province, oltre 1 milione di persone sono state colpite da carenza di acqua e da restrizioni idriche e molti hanno dovuto fare decine di chilometri per procurarsi l’acqua potabile. Quindi la protezione delle garanzie costituzionali sull’acqua in Sud Africa è diventata estremamente cara per molta gente.
Nei primi anni 2000, le borgate intorno a Johannesburg e Durban si mobilitarono politicamente per protestare contro la privatizzazione dell’acqua, dato che all’epoca avevano tagliato l’erogazione dell’acqua a 10 milioni di abitanti, mettendo in atto un programma del governo di “cost recovery” ispirato dalla Banca Mondiale “. Questo programma rese la disponibilità di acqua dipendente dalla capacità di una impresa di far quadrare i conti e di fare utili, così più di 100.000 persone nelle province di Kwazulu-Natal si ammalarono di colera dopo l’interruzione dell’erogazione di servizi idrici e fognari per effetto del mancato pagamento della bolletta.
Nella loro brillante esposizione “Who Owns Water?” sulla situazione del Sud Africa e di altri paesi, Maude Barlow e Tony Clarke danno una spiegazione pungente su quello che era in gioco nel 2002, una situazione che oggi è molto più grave. Dicono i nomi delle dieci società che fanno più soldi con l’acqua potabile, a partire dalle società francesi Vivendi Universal e Suez che chiamano “General Motors e Ford dell’industria globale dell’acqua”. Barlow e Clare spiegano come agiscono queste e altre società che operano nel campo:
Bisogna consegnare ai privati i servizi di acqua e delle acque reflue che servono più di 200 milioni di clienti in 150 paesi, mettendoli in gara tra imprese private come Bouygues Saur, RWE-Thames Water e Bechtel-United Utilities, fino ad arrivare a coprire ogni angolo del globo”. Negli Stati Uniti, Vivendi opera attraverso la sua controllata US-Filter, la Suez opera con la sua controllata United Water e la RWE con American Water Works.
Ma che possiamo dire della Banca Mondiale e dei suoi programmi di “recupero-costi”? Non funzionano? La risposta semplice SI: funzionano bene e contribuiscono ad rimpinguare le casse della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale perché i paesi poveri continuano a diventare sempre più poveri e Barlow e Claire ci dicono:
Vengono appoggiati dalla Banca Mondiale e dal FMI, che stanno costringendo sempre più paesi del Terzo Mondo ad abbandonare il sistema pubblico di distribuzione dell’acqua e a firmare dei contratti con i giganti dell’acqua, in modo da ridurre il loro debito pubblico. Le prestazioni fatte da queste aziende in Europa e in tutto il mondo in via di sviluppo sono state ben documentate: enormi profitti, prezzi più alti per l’acqua, taglio dei servizi a chi non può pagare, nessuna trasparenza nei loro conti, riduzione della qualità dell’acqua erogata, malcostume e corruzione.
In un paese in cui una minoranza di contadini bianchi (seicentomila) consuma il 60% di tutte le riserve idriche del paese per l’irrigazione, non sorprende che 15 milioni di cittadini neri non abbiano accesso diretto all’acqua. Sindacati come la South African Municipal Workers Union hanno collaborato con attivisti delle borgate per organizzare azioni nei quartieri dove i cittadini si collegano direttamente alla tubature dell’acqua, eliminando i contatori. Le ingiustizie compiute delle aziende straniere che arrivano in Sud Africa vengono denunciate, ma serve a poco se si continua a tagliare l’acqua agli abitanti delle borgate, mentre è raro che l’acqua venga tagliata ai bianchi sudafricani.
Questa è la vita nel ventunesimo secolo, quando i vecchi accordi commerciali come il NAFTA (Accordo di libero scambio nordamericano) hanno visto i governi ritirare la firma da azioni di controllo sulla erogazione dell’acqua domestica e hanno visto fallire il successivo tentativo di creare una zona di libero scambio delle Americhe (FTAA) e del WTO. È sempre più chiaro, dato lo stato attuale della siccità, quali siano i corpi che hanno accesso all’acqua e quali invece che non ce l’hanno. E malgrado il desiderio di “regolare” questi problemi organizzando degli hackathons nel Desertro del Nevada o aggiustando il sistema di gestione con una manutenzione computerizzata (CMMS) che può servire per affrontare strutturalmente la siccità, la realtà è che esiste una specie di controllo neo-coloniale su quelle aree del mondo che vivono in condizioni di forte siccità e che ci sono un sacco di istituzioni di bianchi e di occidentali che fanno soldi con la morte e con le difficoltà con i corpi con la pelle scura. Quindi, ovviamente, non sorprende vedere dei bianchi Sud Africani che chiedono che sia la Coca-Cola a gestire le riserve idriche del paese!
Facendo un salto dall’altra parte dell’Oceano Indiano nello stato indiano del Tamil Nadu negli ultimi anni è scoppiata una storia simile. Gli indiani hanno protestato contro le condizioni di siccità profonda verso cui erano stati spinti da Pepsi-Cola e Coca-Cola che avevano prosciugato le risorse idriche locali. Amit Srivastava, direttore dell’India Resource Center, una ONG ecologista, stima per produrre una bottiglietta di Coca-Cola servano 1,9 litri di acqua senza contare lo zucchero. Anche per coltivare la canna da zucchero, però, serve molta acqua e la Coca-Cola è l’acquirente numero uno di canna da zucchero mentre la Pepsi-Cola il numero tre. Se si tiene conto dell’acqua che serve per creare tutti gli ingredienti di Pepsi-Cola o di Coca-Cola, alla fine servono 400 litri di acqua per fare una bottiglia di coca cola.
Azioni contro le bevande gassate nel Tamil Nadu presero slancio nel marzo 2017, quando l’ Alta Corte respinse la richiesta di una petizione per vietare l’uso dell’acqua del fiume Thamirabarani usata da Coca-Cola e Pepsi-Cola. Questo rifiuto ha annullato una precedente ingiunzione emessa da un tribunale nel novembre 2016. I firmatari dicono che migliaia di agricoltori del Tamil Nadu hanno sofferto di carenza idrica e di siccità, mentre tutte e due le società stavano liberamente utilizzando l’acqua del fiume per i loro guadagni commerciali. In coincidenza con la decisione della Corte Suprema, nella primavera del 2017, c’è stato anche un divieto per lo svolgimento dello jallikattu, una forma locale di lotta contro i tori. Queste due decisioni giudiziarie hanno provocato una protesta di massa ancora più vigorosa contro Coca-Cola e Pepsi-Cola . E nello stato del Kerala a marzo 2017, tutti i rivenditori di bevande hanno deciso di bandire le bibite gasate.
Nel 1999, la Coca-Cola ha costruito un impianto di imbottigliamento nel villaggio di Kaladera, nel Rajasthan, uno stato desertico in cui gli agricoltori per le loro coltivazioni potevano contare solo sulle loro falde acquifere. Da allora, questi agricoltori si sono trovati di fronte a un forte calo del livello idrico, per cui l’irrigazione della terra e il sostentamento delle colture sono diventate quasi impossibili. I documenti Ufficiali del ministero delle acque del governo dicono che il livello dell’acqua è rimasto stabile dal 1995 al 2000: “Secondo i dati compilati dal dipartimento delle acque sotterranee del Rajasthan, nei 16 anni successivi al 1984 il livello delle acque sotterranee di Kaladera è sceso da 13 a 42 piedi, con una media annua di 1,81 piedi. Ma dal 2000 al 2011, il calo è precipitato da 42 a 131 piedi al ritmo di 8,9 piedi l’anno”.
L’India e il Sudafrica non sono i soli paese che soffrono di questa usurpazione delle risorse pubbliche da parte del settore privato. A San Felipe Ecatepec, nello stato del Chiapas, una fabbrica di Coca-Cola gestita dalla FEMSA sta svuotando i pozzi, costringendo così gli abitanti del posto a dover comprare acqua in bottiglia. È stato riferito che questo “impianto di imbottigliamento” consumi più di un milione di litri di acqua ogni giorno. La FEMSA afferma di essere “impegnata nello sviluppo sostenibile delle aziende associate, delle comunità e dell’ambiente”, ma sono poche le azioni che possono dimostrarlo. E in Brasile, Guatemala, Colombia e Messico la PepsiCo affronta problemi simili per le critiche che subisce per aver provocato l’esaurimento delle risorse idriche di queste zone. Sia la Pepsi-Cola che la Coca-Cola cercano di ripulire la loro immagine e per questo hanno bisogno di portare dalla loro parte l’opinione pubblica anche se molto di quello che fanno e dicono è solo teatro. Anche se la Coca-Cola afferma di reintegrare l’acqua che estrae dalla terra, c’è un fattore incontestabile per cui l’acqua non può tornare alla fonte da cui è stata originalmente estratta. E per quanto queste aziende cerchino di cambiare il loro brand e di “green up” la loro immagine, non riusciranno mai a conquistare il consenso di una popolazione a cui rubano l’acqua pubblica per poi rivenderla alla stessa popolazione. Ad esempio, la East African Bottling Company dell’Etiopia ha introdotto nel suo mercato la Dasani ripetendo agli africani la solita storiella : la Coca Cola possiede la Dasani.
Nel 2017 81 milioni di persone nel mondo hanno sofferto di gravi carenze o di insicurezza alimentare. Circa l’80% delle persone colpite vive in Africa. A dire il vero carenza di cibo e di acqua possono essere affrontate e sconfitte, ma non potremo mai farlo se le nostre multinazionali non riconoscono la necessità di comprendere che la privatizzazione e l’abuso – da parte delle stesse multinazionali – delle risorse pubbliche sta aggravando le condizioni che portano alla siccità. Il contributo dell’uomo che ha portato carestia e sete, vissute in paesi come Etiopia, Somalia, Yemen, Nigeria e Sud Sudan, benché in misura maggiore, sono emblematici per spiegare quanto sta accadendo oggi in Sud Africa, India, Messico e altrove.
Oggi è in atto una presa di possesso da parte delle multinazionali sulle risorse pubbliche e noi dobbiamo appoggiare una Convenzione Globale sull’Acqua secondo il modello proposto in The Treaty Initiative: Condividere e Proteggere i Global Water Commons, scritto da Maude Barlow e Jeremy Rifkin dove si spiega cosa dobbiamo fare per garantire il diritto di accesso all’acqua. Ci sono anche altre proposte per una Global Water Convention simile al modello suggerito da Barlow e Clarke nell’articolo pubblicato su Nation nel 2002. Ma esiste ancora tanta gente in tutto il pianeta che non si è mobilitata per chiedere un decreto legale che obblighi alla condivisione delle risorse idriche e alla fine dell’occupazione delle risorse pubbliche fatta dalle multinazionali. Dato che l’acqua è il bene più prezioso del XXI secolo, dobbiamo agire rapidamente per garantire che la limitazione della risorsa acqua non si traduca in una limitazione della risorsa vita.
Fonte: https://www.counterpunch.org
20.03.2018
Il testo di questo articolo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali, citando la fonte comedonchisciotte.org e l’autore della traduzione Bosque Primario