PARAGUAY E GLI ALTRI: OPERAZIONE CONDOR 2

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PRECIPITANO AVVOLTOI SU SIRIA ED EMILIA

Convoco i popoli indigeni e i movimenti sociali dell’America Latina a formare un unico fronte e a unirsi nella difesa della democrazia in Paraguay e del presidente Lugo. (Evo Morales)
Prendete l’esempio della monarchie reazionarie del Marocco, o dell’Afghanistan. Tutti i comunisti degni del nome le devono difendere in caso di aggressione delle potenze coloniali. In altri termini, si deve stare dalla parte del più debole e mai abbaiare contro di lui insieme agli sciacalli imperialisti. (Vladimir Lenin)
Il giorno in cui vediamo la verità e cessiamo di dirla è il giorno in cui incominciamo a morire. (Martin Luther King)
La cosa più importante nel bottino della vittoria è il privilegio di scrivere la storia. (Mark Alexander)
Essere ignoranti della propria ignoranza è la malattia dell’ignorante. (Amos Brenson Alcott)

Scusate gli spot, ma conviene vedere e, a me, conviene far girare per continuare a operare.

Condor II, capitolo secondo

Siamo al secondo colpo di Stato, dopo l’Honduras, del Premio Nobel per le Sette Guerre, Barack Obama. Di cui “a sinistra”, mentre se ne avalla lo stupro della libera Siria, si esalta la disponibilità ai diritti civili delle coppie gay, mentre nel giorno del golpe in Paraguay, il “manifesto” celebra in prima pagina e con megafoto la “civiltà romana” del Gay Pride (di cui è perlomeno azzardato dire che sia di sinistra). A ognuno le sue priorità. Qui ripercorriamo brevemente gli eventi in Asuncion e poi ne illustriamo i retroscena. Fernando Lugo, vescovo autospretato, detto “il vescovo dei poveri” per il suo impegno sociale, nel 2008 è eletto trionfalmente alla presidenza del Paraguay, paese incastonato tra Brasile, Argentina e Bolivia e obiettivo strategico degli Usa nella ripetizione dell’Operazione Condor (dittature latinoamericane anni ’70-’90). Questa volta per la sua posizione a cavallo del massimo aquifero del Sud America, il suo potenziale agroindustriale in chiave OGM, la sua posizione di cuneo tra Stati sfuggiti al controllo Usa: Argentina, Brasile, Bolivia, Uruguay… Alle elezioni per le due camere del parlamento stravincono però le forze politiche dell’oligarchia latifondista, eredi coerenti del dittatore nazista Stroessner che aveva governato per 35 anni, legate agli Usa, prone alle multinazionali, sostenute da un apparato politico, mediatico e militare che Lugo non ha saputo bonificare, nonché dalle spie Usa annidate nell’Ong USAID e nelle Ong europee, e da quelle operanti nell’ambasciata Usa.

Quello che in America Latina è definito il parlamento più corrotto del continente, controllato dall’estrema destra del Partito stroessneriano Colorado, dal Partito Liberale Radicale Autentico e dai rinnegati del Partito Liberale, si inventa un regolamento ad hoc che permette di sottoporre a processo “politico” e, quindi a impeachment, il capo dello Stato. Con due voti contro, la cancellazione dei diritti della difesa, l’incoraggiamento degli Usa e il plauso dell’asse reazionario Cile, Colombia, Panama, con il nuovo ingresso del finto progressista Ollanta Umala, presidente del Perù, Lugo è destituito e va al suo posto il vicepresidente Federico Franco. L’oriundo è uno dei ceffi più abietti del retaggio stroessneriano ed era stato imposto come vice a Lugo dal sempre sfavorevole rapporto di forze sancito dalle elezioni e dal sedizionismo degli apparati di Sicurezza. Mancavano nove mesi alla fine del mandato.

 Lugo tra la folla s’impegna alla resistenza

Alla notizia del colpo di Stato, migliaia di sostenitori del presidente deposto, capeggiati dai militanti del Fronte Guasù e comprendenti decine di movimento sociali, si sono affollati davanti al Parlamento, sfidando la repressione della polizia. Lugo si è unito a loro e ha approvato la costituzione di una Fronte di Resistenza. Nonostante l’immediata condanna e il rifiuto di riconoscere il regime golpista da parte della maggioranza dei governi latinoamericani, delle grandi organizzazioni sociali, dai Sem Terra ai movimenti pro-Alba, degli organismi unitari CELAC, Mercosur, Unasur, che raggruppano i paesi rivoluzionarni o progressisti (Usa e UE si strofinano le mani e salivano gli appetiti), non è prevedibile un immediato rovesciamento della situazione e un reinsediamento di Lugo. Il parallelo con l’Honduras funziona solo per la comune matrice Usa-UE-Israele (quest’ultima presente con i suoi mercenari della “Sicurezza”). In Honduras c’è stata una presa di distanza ambigua, ma utile, perfino degli organismi sovranazionali, come l’OSA, dei governi occidentali e, sopratutto, il rifiuto di Manuel Zelaya di accettare la destituzione, cosa che ha dato alle masse un riferimento per una straordinaria resistenza (oggi tuttora vivissima, seppure repressa con una serie ininterrotta di omicidi, sequestri, stragi e cacciata  di contadini dalle loro terre, decimazione di giornalisti).

In Paraguay, Lugo ha tentennato, disorientando una rivolta che doveva essere immediata. Prima, pare abbia accettato il verdetto delle Camere e poi, di fronte alle reazioni internazionali e popolari, si è unito alla protesta, ha condiviso l’appello alla Resistenza e ha  chiesto alle forze interne e agli interlocutori internazionali che si imponga l’annullamento del voto di destituzione. Ha formato un gabinetto parallelo e, sostenuto dalla più potente organizzazione politico-economica del Cono Sud, il Mercosur, che ha sospeso il Paraguay, ha negato ogni legittimità al regime che lo ha rimpiazzato. Sarebbero le premesse per un’insurrezione legittimista, se non fosse che Lugo, da buon prete, ha intimato ai suoi di rinunciare a ogni forma di opposizione violenta. Cosa che a suo tempo avevano fatto anche i dirigenti della resistenza honduregna, contro l’opinione e la volontà di giovani e studenti, condannando l’opposizione all’impasse e rendendo possibile il consolidamento del golpe. Il fatto, poi, che il golpe si sia astutamente dato una veste formalmente “democratica”, parlamentare, rinunciando al brutale intervento dei militari e mercenari colombiani effettuato in Honduras, garantirà ai golpisti una maggiore accondiscendenza di quella cosca che si definisce “comunità internazionale”. Si dovrà vedere quale tenuta, organizzazione e leadership si daranno le masse votate a una nuova epoca di schiavismo e di depredazione.

Franco e il golpisti

Per innesco, i golpisti hanno preso lo scontro che a Curuguaty, alla frontiera con il Brasile, si è verificato il 15 giugno tra poliziotti e campesinos. Questi ultimi, esasperati dalla lentezza di una riforma agraria già posta in cima alle promesse elettorali di Lugo, occupano alcuni ettari da latifondi di 200mila, sottratti dal proprietario al demanio. Infiltrati tra i manifestanti iniziano a sparare. Muoiono 17 persone, 11 contadini e 6 poliziotti. Non è bastato che Lugo abbia poi sostituito i capi della polizia e degli Interni. I successori erano peggio. Ovviamente si è trattato di una trappola allestita dai congiurati, in rappresentanza del Pentagono e di quel 2% di latifondisti che detengono l’80% del territorio, in combutta con l’ambasciata statunitense. Era il pretesto, tipo 11 settembre, o strage di Hula in Siria, per ricondurre alla ragione coloniale e neoliberista, marca Condor 1, il piccolo e prezioso paese. Un’occasione attesa dal 2008, quando un Lugo, per quanto reso diversamente abile dal rapporto di forze parlamentari, dal solito monopolio di pitbull mediatici, dai sabotaggi costanti, iniziò la marcia  per spostare agli strati poveri la ricchezza concentrata al vertice, migliorare il sistema dell’istruzione, garantire una migliore sanità, dare spazio e voce alla protesta sociale e alle organizzazioni popolari. Più irritante di tutto, per gli storici padrini esteri, il suo progressivo avvicinamento ai paesi-canaglia dell’ALBA. Toccava eliminarlo se si voleva proseguire la riconquista dell’America Latina. Certuni in Italia, i soliti grilli parlanti da spiaccicare, di fronte all’ennesima criminale kissingerata in America Latina, hanno preferito dedicare la loro “analisi” a fare le pulci al povero Lugo. Che sarà accusabile di tutte le debolezze, ma che, in condizioni di gravi difficoltà, ci aveva provato. Si tratta, qui come in Siria, di stare con l’aggredito, la vittima, senza se e senza ma. Altro che terze vie. Vedi Lenin sopra.

L’artiglio della Monsanto

Dove non va il Pentagono, vanno Coca Cola e Monsanto. E USAID, l’organizzazione Usa per l’aiuto e lo sviluppo. Il 1. ottobre 2011 il Ministero dell’Agricoltura dà alla Monsanto, contro il parere del presidente, licenza di seminare e commercializzare Bollgard BT, un cotone transgenico. Furono immediate le proteste dei contadini e delle associazioni ambientaliste. Il gene di questo cotone è mischiato con il Bacillus Thurigensis, un batterio tossico che dovrebbe uccidere alcuni parassiti ma, nel contempo, avvelena e danneggia coltivatori e consumatori. Il capo del Servizio Nazionale per la Qualità e Salubrità Vegetale, Miguel Lovera, rifiuta, sostenuto da Lugo e dai ministeri della Salute e dall’Ambiente, di registrare tale OGM. Lovera, con il concorso degli strepitii del quotidiano padronale ABC Color, viene accusato di corruzione da una sua dipendente, Silvia Martinez. Il marito della Martinez è Roberto Càcares, dirigente di varie imprese agrarie, tra le quali Agrosan, recentemente comprata dalla multinazionale agroindustrikale Sygenta che, con la Monsanto, ha un ruolo decisivo nell’UGP (la confindustria locale). Tra le imprese nazionali spadroneggia nell’UGP il Gruppo agrario Zuccolillo, padrone di ABC Color (vi ricorda qualcosa di domestico?),  ABC Color che  conseguentemente lancia una campagna di veleni anche contro i ministri della Salute dell’Ambiente. Il ministro dell’Agricoltura, commesso viaggiatore delle multinazionali agrochimiche, ci mette del suo dichiarando che una grossa, ma innominata, società agrochimica indiana avrebbe rinunciato a un cospicuo investimento  in Paraguay, con tanti posti di lavoro, a causa della corruzione imperante nel Servizio Nazionale di Qualità e Salute (a causa, ovviamente, del mancato permesso all’OGM). Un po’ meno spudorato di quando da noi si dice che non investono per via dell’art.18, mica per le mafie e gli intrallazzi. Infine, l ‘UGP, approfittando del viaggio in Asia di Lugo, sottopone al vicepresidente Federico Franco 12 motivi per i quali Lovera debba essere destituito. Franco fa il passo più lungo e arriva Lugo, che aveva permesso che si rompessero le palle alla Monsanto in Curuguaty.
Monsanto incassò l’anno scorso 30 milioni di dollari di utili, esportabili esentasse, soltanto per le royalties dalla licenza di utilizzare semi transgenici in Paraguary. Quello che Monsanto ricava dalla vendita di tali semi è sconosciuto. Privacy. Quei semi coprono un’estensione di 3 milioni di ettari e, nel 2010, hanno prodotto 7 milioni di tonnellate di soya. Volete che Monsanto e Co. rinunciassero a cuor leggero, e senza golpe, a duplicare il business col cotone per quattro zotici straccioni che si vogliono coltivare un pezzo di terra? Raccogliessero il nostro cotone, modello Alabama. Alla Direzione della Biosicurezza giacciono richieste di licenza anche per una nuova varietà di cotone Monsanto, doppiamente transgenica, BT e RR, che resiste all’erbicida Roundup. Roundup è cancerogeno e, se a esso sono indifferenti BT e RR, non lo sono gli esseri umani e animali. Da oggi, licenze come se piovesse. In Honduras erano stati quelli delle banane e delle foreste.

El condor pasa

Honduras insanguinato e in fiamme.
Gli accadimenti del Paraguay sono la pagina di un libro che va infittendosi, man mano che i burattini manidiforbici Wall Street a Washington, Bruxelles, Tel Aviv, costruiscono il quadro per la riconquista di un’America  Latina perduta, disobbediente, quanto meno riottosa. Il prossimo scenario, continuazione del golpismo o, in Medio Oriente, il terrorismo Al Qaida, avrà per protagonista il Messico, alle urne il 1.luglio. Con il colpo di Stato in Honduras (il 28/6/2009 cade il terzo anniversario) e la sua estensione pseudo- parlamentare sotto Pepe Lobo, ormai tornato partner presentabile nei consessi interenazionali, gli Usa non avevano finito con questo scacchiere. A Tegucigalpa, le multinazionali e le oligarchie minerarie e terratenientes integrate, alimentano il bagno di sangue, con la Comunità Internazionale voltata dall’altra parte, a  promuoverne altri in Medioriente. Le monoculture biocide di palma da olio, o soya, del clan Facussé, uno dei più voraci e spietati gruppi agro-immobiliari dell’America Latina, si riprendono le terre ancestrali dei Lenka e di altri popoli nativi che, con Zelaya, erano avviate a una progressiva assegnazione ai campesinos. Stragi di contadini si verificano nel Bajo Aguan, dove si è sviluppata la più forte e organizzata resistenza campesina. I mezzi di comunicazione sociali vengono aggrediti o chiusi. Si ammazzano più giornalisti in Honduras, in rapporto ai 10 milioni di abitanti, che in qualsiasi altro paese del mondo. Periodicamente cadono sotto il fuoco, i coltelli e gli “incidenti automobilistici” di sicari, militanti e dirigenti dell’opposizione. Berta Cacares, leader del movimento di resistenza antimperialista e anticapitalista COPINH, viene minacciata e incarcerata. Le organizzazioni indipendenti dei Diritti Umani (Amnesty e HRW ovviamente latitano), a fatica, sotto la costante pressione terroristica e poliziesca del regime (consiglieri israeliani), forniscono statistiche di uccisioni, ferimenti, sequestri, stupri, devastazioni, che rendono la situazione dei diritti umani non dissimile da quella orripilante del narcostato Messico. E narco-hub per la distribuzione nell’area della cocaina colombiana è tornato a essere l’Honduras. Per i territori delle popolazioni afro-latinoamericane si prevedono devastanti speculazioni immobiliari con i carcinomi urbanistici, sociali e culturali che sono le “città modello”, specie di New Towns alla californiana. Della favorevole situazione hanno approfittato il Pentagono e la Cia per potenziatre la gigantesca base di Palmarola, che Zelaya voleva chiudere, aggiungerne altre e costellare il paese di basi per droni. Alcuni di questi hanno recentemente compiuto una strage di civili. Naturalmente “sospetti”, come da lista degli assassinandi, personalmente compilata ogni settimana dal presidente più liberal che gli Usa abbiano avuto, dopo l’iniziatore del massacro del Vietnam e  l’incursore della Baia dei Porci a Cuba, John Kennedy. In Honduras ero piovuto col golpe e una formidabile resistenza di piazza in atto. Credo che il docufilm che ne ho tratto illustri ancora adeguatamente condizione del paese, golpe, resistenza, analisi delle forze in campo, prospettive.

La Resistenza, formalmente coesa nel rifiuto di golpe e dopo-golpe, si è diversificata in due approci. Zelaya, riferimento unitario dell’opposizione popolare, rientrato da San Domingo ha scelto di percorrere la via istituzionale con un partito, Libertà e Rifondazione (LIBRE),  con il quale si illude che gli lasceranno vincere le prossime elezioni. Lo hanno seguito soprattutto le forze sindacali e i rientrati  del ceto medio e alto del Partito Liberale, partito da cui Zelaya era stato abbandonato. Popoli nativi, afro-latinoamericani, lavoratori, contadini, numerose associazioni sociali, gli studenti, credono nella lotta di massa proposta dal COPINH (Consejo Cívico de Organizaciones Populares e Indígenas de Honduras) di Berta Cacares, nell’organizzazione di base, nel rifiuto totale di qualsiasi mediazione con il regime e, confortati dal sostegno dell’ALBA, in una strategia rigorosamente di classe, giustizia sociale, anticapitalismo e sovranità nazionale.

Soluzioni soft sono state adottate per Salvador e del Perù, dove è stato agevolata la vittoria di finti progressisti, immediatamente disponibili a soddisfare le esigenze, vuoi delle transnazionali minerarie, ansiose di affettamento e inquinamento del territorio, vuoi del narcoflusso dalla Colombia al Messico e agli Usa, massimo mercato del mondo, massimo ricevitore dei suoi utili. Che sono – ma non si dice – la terza voce degli introiti finanziari statunitensi, dopo armi, furto di risorse minerarie altrui e prima dell’agrochimica.

In Guatemala si è andati giù un po’ più “democraticamente duri”. Il “democratico” sono le elezioni, il “duro” sono le intossicazioni e decerebrazioni del monopolio mediatico. Sbocco della cocaina e di milioni di migranti sul Messico, vi è stato reinsediato un fiduciario Usa, l’ex-capo di stato maggiore Otto Perez Molina, che, da militare della Scuola delle Americhe, s’era fatto le ossa con lo sterminio di 200mila campesinos e indigeni nella pulizia etnica degli anni ’80. Costarica, Panama e Colombia danno tutte le garanzie del mondo e da decenni. Il Cile è in mano ai pinochettisti, anche se traballa fortemente grazie alle sollecitazioni sismiche di un irriducibile movimento studentesco, alleato di quello indigeno Mapuche, e con un vastissimo seguito tra tutti gli strati popolari (innesco: la mossa strategica principe della Cupola mondialista: devastazione e svuotamento dell’istruzione, vedi Profumo, Berlinguer, Gelmini, Di Mauro).

I terremoti si possono prevedere (e fare?)

L’intervento più brutale in assoluto, con l’effetto collaterale di 300mila morti, l’ha subito la sventurata Haiti, ancora in debito per aver osato, all’alba dell’Ottocento, la prima rivoluzione nera dell’emisfero e per aver più recentemente sostituito i dittatori Duvalier, cari al Dipartimento di Stato e a Madre Teresa di Calcutta, con un presidente, Aristide, poco docile al colonialismo e all’oligarchia. Un terremoto catastrofico (gennaio 2010), previsto quasi al minuto dagli Usa che nei giorni precedenti avevano concentrato in Florida le forze d’intervento e il giorno successivo erano già sul posto con un apparato mastodontico, ha offerto a Obama il destro per occupare militarmente l’isola, escludere o drasticamente limitare la partecipazione di altri ai soccorsi, garantire la diffusione del colera che ha ulteriormente decimato una popolazione dimostratasi insofferente all’occupazione e agli abusi dei caschi blù dell’ONU, incorporare l’isola ribelle nel cimitero di villaggi vacanze, miniere e basi d’attacco, che sono i paesi democratizzati dall’Occidente.

C’è una specie di contropentagono in America Latina, di cui l’originale, per quanto impegnato allo spasimo tra altri meridiani, non può accettare la concorrenza, pena un contagio letale del virus antimperialista e antiliberista. I lati sono Venezuela, motore biologico di tutto il resto e grande retroterra geopolitico per i paesi ancora sovrani in Africa e Asia. Poi Bolivia, Ecuador, Nicaragua, Cuba. In Venezuela Chavez, per quanto minato da un tumore che misteriosamente colpisce solo i governanti dei paesi ostici agli Usa (per Arafat, a Israele è bastato il veleno, per Milosevic hanno fatto sgambetto al cuore), a ottobre vincerà per l’ennesima volta trasparentemente le elezioni (nei sondaggi supera il 60%). A dispetto di un’opposizione cui arrivano sacchi di dobloni dagli Usa, terroristi da Miami e paramilitari colombiani, ma che non è riuscito a produrre uno straccio di coesione dietro al candidato-agnello sacrificale, Henrique Radonsky. Per il Venezuela di Chavez che, sotto la spinta delle organizzazioni popolari, ha rinnovato lo slancio in direzione del Socialismo del XXI Secolo con una nuova serie di nazionalizzazioni e il controllo sul sistema finanziario, dopo 13 anni di presidenza, il terzo mandato di Chavez  sembra poter essere messo a repentaglio solo da lui, morendo.

Non manca all’operazione Condor II la componente militare sotto la forma della IV Flotta, riattivata da Obama, dopo essere stata lasciata in sonno dalla fine della seconda guerra mondiale. Con funzioni non indifferenti di intimidazione, controllo e spionaggio, costeggia l’intero continente, dimostrando disponibilità e prontezza a eventuali sbarchi di marines. Marines e squadroni della morte detti “forze speciali”, o “istruttori”, sono del resto già ampiamente presenti  nelle nuove basi di Colombia (7), Honduras, Panama, Antille, Cile (Cristina Kirchner ha annullato la decisione del governatore del Chaco di installarne una, “umanitaria”, nella sua provincia). Ma al momento l’arma più acuminata all’opera contro i governi di Nicaragua, Ecuador, Bolivia e la destabilizzazione interna, con i soliti strumenti “di velluto” delle vetrine dirittoumaniste Cia, USAID, Freedom House, Brooking Institute, National Endowment for Democracy (NED), Istituto Repubblicano Internazionale e altri. A volte soccorsi anche da nostre Ong indigeniste, per le quali gli indigeni sono come, per i politically correct,  i gay e le donne: buoni a prescindere. Infatti sono le comunità indigene che questi apparati muovono alla protesta e alla rivolta, cogliendo appigli da ogni mossa del governo che sembri minacciare l’ancestrale sistema indio di convivenza, rapporti sociali, controllo sulle risorse.

Così una strada, vitale per la partecipazione boliviana agli scambi internazionali e che sfiora un parco nazionale rivendicato in esclusiva da 4000 indios, per quanto sostenuto dalla maggioranza anche delle popolazioni originarie, diventa la pistola fumante per la messa in discussione di Morales. Fallito il golpe poliziesco in Ecuador, contro Rafael Correa si manovrano settori indigeni che pretendono di gestire l’acqua a esclusivo beneficio delle proprie comunità, sollevandosi contro il proposito governativo di far fluire quel bene comune universale, sotto controllo pubblico, a tutti i settori della società. Arcaismi culturali (come il maschilismo e rivalità intertribali), egoismi comunitari, particolarismi economici e, come mi ha illustrato Luis Macas,  ex-presidente della CONAIE (massima organizzazione indigenza del Ecuador), addirittura progetti di frantumazione degli Stati esistenti in vista di una grande entità india, sono tra le sollecitazioni messe in campo dai complottisti del Nord. Come se non bastasse, vi si aggiungono, accanto ai noti iper-indigenisti, i supponenti sinistri dell’eurocentrismo pseudo-marxista e leninista, che non perdono l’occasione di bastonare ideologicamente i governanti progressisti per non aver, nel giro di 24 ore, abolito la proprietà privata, istaurato la dittatura del proletariato, impiccato l’ambasciatore Usa nella pubblica piazza e elevato monumenti a Marx.

Del Messico, laboratorio dell’Impero e buco nero del mondo, ci occuperemo prestissimo, a voto concluso e, possibilmente, non rubato da uno come il narco-Cia Felipe Calderon, con l’assistenza del subcomandante Marcos (ma perché “sub”, se è da 18 anni, intramezzati da ampie ferie, che per l’EZLN parla, anzi affabula, lui, solo lui, il suo ridicolo passamontagna – sono più seri quelli visti a Syntagma –  la romantica pipa e il sub-sub Bertinotti?).

SIRIA, balon d’essay per la resa dei conti?

Chi porta morte, chi difende la vita.
L’abbattimento giorni fa dell’F4 turco, aereo da combattimento e bombardamento, seppure (dicono) non armato (ma vallo a sapere), sopra territorio siriano, con un simpatico missile Pantsyr S-1, ha offerto alla muta di scondinzolanti cicisbei mediatici di Hillary Clinton l’ennesima occasione per coprirsi di sconcio e di ridicolo. Subito a rampognare il dittatore Assad per aver abbattuto il jet su acque internazionali (con i rottami, anfibi, deambulanti sott’acqua, e trovati in vista del bagnasciuga siriano). Subito a rafforzare l’assunto, inventandosi delle mai fatte “scuse del governo siriano” per il criminale gesto. Subito a invocare l’art. IV del patto Nato che impegna tutti a correre in soccorso militare al membro attaccato. Tutti con la lingua di fuori a spargere bava e leccare sangue. Poi il governo turco ammette, nientemeno che col presidente Gul, che il Phantom aveva invaso il territorio siriano. “Momentaneamente”, ha detto, ma basta meno di un momento per incenerire un quartiere, o una fabbrica. Da Damasco, da dove era partita immediatamente l’attivazione dei mezzi di soccorso per il recupero dei piloti nemici, si precisa che non di scuse si è mai trattato, bensì di civili espressioni di rammarico per l’incidente occorso.

”Free Syrian Army”

Due sono le cose. I turchi ospitano quel che resta del governo-pupazzo siriano, Consiglio Nazionale, dopo le scissioni, ma, soprattutto la famigerata “Free Syrian Army”, che gli inviati gigolò fanno passare per profughi e “disertori” siriani (e così, purtroppo, anche Michele Giorgio del “manifesto”, che non dovrebbe mai avventurarsi fuori dalla Palestina), mentre sono documentati 1.500 disertori da un esercito di 500mila, rifugiati a casa o nei paesi vicini, e qualche ufficiale superiore che ha trovato più cospicua la busta paga e le garanzie di democrazia del Qatar e dell’Arabia Saudita. Ebbene, o i turchi hanno voluto, irrimediabilmente su  ordine Nato, testare le difese aeree della Siria e, allora, hanno ricevuto una risposta tonitruante; o hanno voluto creare il casus belli, per invocare l’intervento come da art.IV. In ogni caso, la Turchia è un paese molto vasto e ai turchi, oltre al mare, non manca di certo lo spazio aereo per testare, come dicono di aver fatto, i loro aerei a casa loro. Quanto alla Siria, sotto attacco turco da un anno e mezzo, aggressione perfidamente surrogata al mercenariato salafita e agli squadroni della morte francesi e angloamericani con base e protezione in Turchia, aveva ogni diritto di abbattere un jet da combattimento  di uno Stato che sospinge e arma orde di aggressori, aereo che aveva invaso a bassa quota il proprio territorio.

Probabilmente sono fondate entrambe le supposizioni: controllare la capacità di reazione siriana, e creare la pistola fumante. Quella che non è per niente fondata è la speranza dei tagliateste del Golfo e della Nato, con un bellicoso quanto ridicolo “tecnico” Terzi, ministro degli esteri, a suonare la fanfara, di aver ragione delle sconfitte militari subite dai propri disparati (e già rivaleggianti, come in Libia) gruppi di lanzichenecchi, supportando il flusso di armi dalle democrazie del Golfo e rafforzando le proprie teste di cuoio sul campo. Quelle democrazie, un lacchè cretino milanese (lo vedete nel mio film “Armageddon sulla via di Damsco”)  me le aveva qualificate “monarchie illuminate che tollerano partiti di destra e di sinistra”.

La Siria tiene il punto da aver scosso perfino l’ex-segretario ONU e diplomatico Usa, Kofi Annan. Costretto dalla difesa di una minima credibilità internazionale, di fronte alla sempre più abbagliante evidenza del complotto Nato-Golfo-Israele contro la Siria, delle atrocità della sua fanteria e di fronte alla saldezza delle forze armate e del popolo siriano, a Ginevra ha detto cose impensabili e scandalose. Riferendosi alle salmerie Usa, intitolate “Amici della Siria”, le ha rampognate per aver compromesso il suo piano di pace, “rischiando di scatenare una  lotta distruttiva nel paese”. Nientemeno. E anche il generale Moon, capo degli osservatori ONU, già dubbioso sulla paternità siriana del massacro di Hula e di altri, si è opposto all’invio, voluto dagli Usa, di altri caschi blù, ma stavolta armati e finalizzati a ripetere il modello Haiti.  E noi che cosa avevamo detto? Non basta, ancor più scandaloso, Annan ha supportato la proposta russa di una conferenza dei paesi vicini, compreso l’Iran, aborrito da Hillary, e della maggiori potenze. Anatema. E quindi confusione estrema nel campo, esasperata ulteriormente dalle rivelazioni, non smentite, del New York Times secondo cui la Cia smista armi ai “ribelli” e quindi viola il precetto internazionale della non ingerenza e del rifiuto della guerra d’aggressione. Figura di merda per i nostri tamburini mediatici della “rivoluzione siriana” e ulteriore confusione. Il fatto è che, spesso, dallo stato di massima confusione scatta fuori, quasi per caso, il coniglio della guerra totale. Magari atomica.

Sua Santità

Chicca finale. Rincorso tardivamente da un trafelato papa che, forse occupato a dipanare la matassa delle scorrerie finanziarie dei suoi, non aveva udito lo sparo dello starter sismico, è giunto in Emilia il Dalai Lama. Con la via lastricata dai petali di rosa e dalle corone d’alloro intrecciategli da fessacchioti come il “manifesto”, il sindaco “laico e progressista” di Milano, Pisapia (che, per un minimo di decenza democratica e qualche yuan, non ha offerto la cittadinanza onoraria, ma solo un ricevimento istituzionale), o Beppe Grillo, sua santità Tenzin Gyatso, il più gran figlio di zoccola mai apparso sulla scena dell’oscurantismo reazionario, è venuto a dire ai terremotati, elegantemente, “Vi regalo 50mila euro” e, fornerianamente, “Lavorate duro, lavorate duro”. Invito, questo, di cui gli emiliani sentivano il massimo bisogno. Quanti ai 50mila, se la sono risa: pensare che veniamo finanziati, noi dell’ex-Emilia rossa, da uno che prende i soldi dalla Cia!

Ma ci hanno pensato il PD e soccorritori vari a far svaporare nell’etere  le recentissime rivelazioni, di documenti di Stato Usa, secondo cui sua santità, eroe della pace, della nonviolenza, dei diritti umani, premio Nobel per questi travestimenti, negli anni del conflitto con la Cina aveva chiesto agli Usa uomini e armi per i suoi. Da tempo, poi, si era volatilizzata la notizia che, da allora, il sant’uomo e governante-usurpatore era al soldo della Cia e del Dipartimento di Stato. Due campioni dei valori che dalla sua sacra figura emanano. Infine, neanche i nostri liceali arrivano, nei libri di storia e di geografia, al capitolo in cui si narra del Tibet, indipendente dalla Cina per soli 70 su alcune migliaia di anni, governato tirannicamente e saguinariamente da un’alleanza monaci-nobili con diritto di vita e di morte sui sudditi, con la pratica di rapire i figli dei contadini e farne pedofilamente monaci, con scuole e ospedali di esclusivo uso dei governanti, padroni di tutto. Tale è il regime che sua santità vuole restaurare a forza di destabilizzazioni occidentali. Tale è buona parte del buddismo monacale. Tale è la speranza che Aung San Suu Khy ha suscitato nei monaci tailandesi, ansiosi, come il papa, di riprendersi e spremere scuole e ospedali, fin lì pubblici e gratuiti. Tale è il capitalismo reale in Qatar e Arabia Saudita. Tale è il futuro che vorrebbero riservare a tutti noi. Oggi alla Siria.

Fulvio Grimaldi
Fonte: http://fulviogrimaldi.blogspot.it
Link: http://fulviogrimaldi.blogspot.it/2012/06/paraguay-e-gli-altri-operazione-condor.html
27.06.2012

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